Porre sullo stesso piano i valori fondativi faticosamente formatisi in Occidente e quelli di un’altra cultura, pescata nel mucchio tra le fila del terzomondismo d’accatto, è anzitutto profondamente irrispettoso, nei confronti di chi ha dedicato una vita intera a promuovere quei princìpi di cui oggi comodamente godiamo. È inoltre assurdamente miope e terribilmente egoista se pensiamo a tutti coloro che ancora di questi princìpi non riescono godere. No, le culture non hanno tutte la stessa dignità e sono davvero stanco di sentirlo dire.
I casi come quello di Saman Abbas devono farci profondamente riflettere sulle difficoltà che il variegato panorama islamista sta incontrando nell’assecondare un processo di secolarizzazione tutt’altro che inerziale e scontato, di cui non solo oggi non scorgiamo l’orizzonte temporale, ma che a tratti sembra vivere recrudescenze capaci addirittura di invertirlo. Basti guardare all’Iran, ai Paesi del Golfo ed in tempi più recenti alla Malesia. Paesi che hanno sempre avuto una forte componente musulmana, ma le cui culture (e le conseguenti politiche) si sono fatte progressivamente meno democratiche e più religiosamente connotate.
Esistono Stati, anche nostri alleati, in cui la pena di morte per crocifissione è ancora prevista, la professione dell’avvocato difensore non esiste e le donne vengono ammazzate a sassate dalla folla. Occorre ribadire la centralità dei diritti umani, partendo dal riconoscerne la concezione prettamente Occidentale.
Ce lo siamo sentiti ripetere spesso, il mantra dell’inclusività, secondo cui le culture sono tutte egualmente degne d’esistere. Questo semplicistico approccio ha finito col diventare popolare, perché apparentemente rispettoso della multilateralità, ma un’analisi più profonda (solo qualche spanna più profonda in realtà) porta facilmente alla luce una contraddizione: il progressismo per definizione supera una cultura per abbracciarne un’altra, ovviamente vista come migliorativa.
Gli Stati altro non sono che l’espressione dei propri popoli (e della loro Storia), hanno una cultura di fondo, radicata nelle generazioni, per nulla compliante agli agenti esterni, che per natura tende all’irrazionalità. Il pensiero liberale, nel senso più alto del termine, può essere coltivato dovunque, ma necessita di tempi lunghissimi per trovare concreta applicazione e certo non si può pensare che, ad esempio, con un’iniezione monodose di democrazia in Afghanistan mettano su una loro Camera dei Lord nel giro di qualche decennio, recuperando di botto 3000 anni di dibattito filosofico sull’uomo e sulla libertà.
Siamo frettolosi ed approssimativi. Tendiamo a convincerci di un automatico parallelismo tra culture, tra l’islam e il cattolicesimo che, forte per altro del centralismo della Chiesa, è stato connotato da un lento e difficoltoso percorso di secolarizzazione. Attribuiamo al mondo islamico lo stesso processo, traslato semplicemente più avanti nel tempo, ignorando completamente le profonde differenze che caratterizzano il tessuto sociale e le istituzioni, religiose e non: la monarchia e la diretta contrapposizione all’organizzazione gerarchica dell’islam sunnita per citarne una.
La concezione positivista del progresso è in ultima analisi frutto di un inconscio collettivo cristiano, che pervade enormemente la nostra società (a prescindere dalla fede di ognuno) e che vede nel futuro la salvezza, un avvenire positivo in cui le cose andranno inevitabilmente meglio per tutti. Inutile sottolineare come questa visione, verificata in alcuni ambiti, ma non in altri, non sia il naturale punto d’arrivo di nessun processo.
La cultura Occidentale oggi non è sotto assedio, si sta semplicemente esaurendo perché molti occidentali, ciechi agli innumerevoli privilegi di cui godono e incalzati dallo scollamento tra politica e cittadini, non sentono più il bisogno di coltivarla e diffonderla. La vedono come una delle tante visioni del mondo, tutte egualmente degne d’essere propinate.
Senza scadere in infantili derive scioviniste da una parte e grottesche posizioni acquiescenti dall’altra, personalmente nel dibattito sui diritti umani so esattamente da che parte schierarmi: la nostra. Non foss’altro che per le tante Saman Abbas che quei diritti li hanno compresi e rivendicati, ma non hanno trovato una società capace di difenderli.
2 comments
ma davvero pensate che l’occidente sia il progresso? O semplicemente un adattarsi al diktat economico che vede il denaro sopra a tutto? Dove il furbo vince sempre? Forse, oltre che essere studiate, certe culture andrebbero vissute dentro e non con l’occhio del turista. L’occidente à in decadenza perché non trova più alimento nel ”lavorare, consumare, crepare”.
Qui si parla di cultura sovrapponendola malignamente agli elementi etico -politici,riprendendo le teorie deliranti dello psicopatico Samuel Huntington.
Le culture sono un concetto vago ,e includono aspetti(ingua ,alfabeto,alimentazione) che coi diritti umani non c’entrano nulla
Il concetto di diritti umani non è figlio della “cultura occidentale” generica,ma di una precisa”ideologia” politica :il socialismo,che presente “sottotraccia”in tutte le culture del mondo(perché alla base del senso del “bene” che hanno tutte le” brave persone”) è fiorito per primo in Europa grazie all’illuminismo nel XVIII secolo,maturando una visione sempre più nitida grazie al marxismo e riuscendo a divenire dottrina fondante di un’organizzazione umana stabile(escludo quindi le precedenti sperimentazioni) con la rivoluzione d’ottobre,irradiandosi in tutto il mondo.
Grazie alla sua forza ideale ha causato la rapida ascesa di diritti umani nel momdoa cui però si sono opposti numerose forze anti umaniste ed antiilluminisye( l’America puritana e razzista che “confida in
Dio ,la monarchia britannica ,il terzo Reich,l’impero giapponese ,i Freedom fighters jihadisti di Reagan,l’Arabia Saudita,l’Iran imperiale e poi khomeinista ).Dalla sua ” sconfitta” ,le forze dell’oscurantismko hanno faripreso piede in tutto il mondo ,con più facilità ovviamente nelle aree del mondo con meno “anticorpi” socialisti,tra cui il mediooriente).