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La delega fiscale del Governo Meloni spiegata al contribuente

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Se per caso un contribuente qualunque, il proverbiale signor Tal dei Tali, un uomo comunissimo come noialtri, decidesse d’improvviso di interessarsi alle norme che regolano i tributi, si ritroverebbe davanti ad una amara verità: sono incomprensibili e indecifrabili, molto più di una misteriosissima lingua arcaica.

È persino molto più semplice risolvere il cubo di Rubik che comprendere appieno il diritto tributario. Pare che una persona normale, e ciò vale a dire con un quoziente intellettivo nella media e senza particolari doti di talento, dopo un paio di settimane di studio delle tecniche di risoluzione, sia in grado di risolvere il cubo in un paio di minuti. Anche se, ad onor del vero, è bene dire che la maggior parte delle persone rinuncia dapprincipio e lancia per aria il cubo, abbandonando per tutta la vita l’idea di comprenderne il meccanismo. Allo stesso modo, una persona normalissima ci impiega anni per comprendere i soli lineamenti del diritto tributario, senza ovviamente essere in grado di abbozzare uno stralcio di riforma risolutiva. E anche in questo caso la maggior parte dei contribuenti rinuncia da subito e si rassegna a pagare a comando, consolandosi con qualche lamentela di tanto in tanto sull’esosità delle tasse.

Non si capisce mai se questo sia la dimostrazione di un errore dei nostri legislatori o il prodotto di una brillantissima furberia. Esemplare è la domanda posta, qualche decennio fa, da Indro Montanelli in una nota trasmissione televisiva sull’incomprensibilità del testo di una norma tributaria: «Chi ha scritto questa cosa è un furbo o un fesso? Lascio decidere voi

Lasciamo anche noi ai lettori l’onere della risposta.

Il compito che invece ci riserviamo è quello di spiegargliele, le norme tributarie. Cosicché possa un volta tanto provare a disboscare la selva di dichiarazioni che hanno occupato lo scenario politico in materia di «delega fiscale» nell’ultimo mese. La «delega» in questione è quella approvata lo scorso agosto dal Governo Meloni; e, tanto per cominciare, quando si parla di delega fiscale non si intende mai una norma già in vigore, ma una legge che riconosce al Governo il potere di dare attuazione ai suoi contenuti attraverso l’emanazione dei decreti attuativi – in questo caso il Governo avrà due anni di tempo per approvarli. Solo allora le norme contenute nella delega saranno in vigore, e quindi vincolanti per Amministrazione e cittadini.

La delega approvata dal Governo Meloni – composta da 23 articoli – apporta delle modifiche importanti (IRPEF, IRES, IRAP, il concordato biennale, eccetera), alcune delle quali cambieranno in maniera rilevante il rapporto tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria.

Le modifiche allo Statuto del contribuente.

Uno dei primi punti della riforma riguarda lo Statuto dei diritti del contribuente. Esso contiene i principi generali del diritto tributario, e per questo rappresenta il punto di riferimento per l’applicazione dei tributi. La delega fiscale rafforza lo Statuto, riconoscendo il ruolo di «criteri di interpretazione adeguatrice» alle norme contenute al suo interno. Ciò vuole dire che, nel dubbio, tutti i soggetti che si trovano ad avere a che fare con i tributi (giudici tributari, Amministrazione finanziaria, contribuenti, commercialisti, eccetera) dovranno dare un’interpretazione del tributo conforme alle norme contenute nello Statuto

Altre modifiche importanti sono apportate all’interpello, lo strumento di cui si serve il contribuente per chiedere delucidazioni all’Agenzia delle Entrate sulle regole da seguire in determinati casi. Gli interpelli saranno a pagamento (sarà previsto un contributo), e l’Agenzia delle Entrate sarà impegnata a fornire delucidazioni preventive con delle circolari sulle materie di maggiore rilevanza. In questo modo si dovrebbe anche evitare un utilizzo smodato dell’interpello e un molto probabile congestionamento degli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Poi viene istituito il Garante nazionale dei contribuenti (sino ad oggi esistevano solo i garanti regionali). Questa nuova figura avrà un mandato di cinque anni e avrà qualche potere in più rispetto ai garanti regionali: in particolar modo, potrà intervenire in casi di conflitti negativi per il contribuente e fornire delle indicazioni vincolanti per l’Amministrazione finanziaria.

Le imposte sui redditi e l’aliquota unica.

Uno dei punti cruciali della delega fiscale è stata, almeno in termini mediatici, la tassazione dei redditi. «Si va verso l’aliquota unica» si sono subito affrettati ad affermare i membri della maggioranza. Oppure «finalmente si arriverà alla flat tax per tutti» dicevano altri.

Ma la dura verità è ben diversa. Se da un lato è vero che l’obiettivo delineato è quello del raggiungimento di un’unica aliquota per la tassazione dei redditi (oggi sono 4 e vengono applicate per scaglioni), dall’altro lato è altrettanto vero che non si avrà mai una tassa piatta per tutti (flat tax universale). La ragione è semplice: la Costituzione impone che il sistema tributario sia progressivo (più è alto il reddito, più è alta la quantità di tributi che paghi), e anche con un’aliquota unica – immaginiamo del 15% –  a garantire la progressività dovranno essere le riduzioni dell’imposta (detrazioni) e le riduzioni del reddito imponibile (deduzioni). Da qui si comprende che la proposta di una «flat tax universale» altro non è che una splendida trovata mediatica destinata a rimanere nelle astratte righe dei programmi elettorali, a meno che non si riformi la Costituzione.

Tanto per rendere più agevole la comprensione delle novità previste dalla delega, è bene fare una breve premessa. Il sistema della tassazione dei redditi oggi è composto da due tributi: l’IRPEF (che si applica alle persone fisiche) e l’IRES (che si applica alle società). Il reddito delle persone fisiche si calcola attraverso la somma di sei categorie di redditi (fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa e diversi). L’IRPEF si calcola applicando l’aliquota prevista per lo scaglione di riferimento al reddito complessivo. L’IRES invece applicando una aliquota unica del 24% al reddito delle società.

Le novità in materia di IRPEF e IRES.

Quanto all’IRPEF, i redditi prodotti dai fabbricati – che rientrano nella categoria dei redditi fondiari – vedono una estensione della cedolare secca. È oggi previsto un regime di agevolazione per chiunque conceda in affitto un immobile per finalità abitative. In questo caso si applica la c.d. cedolare secca, che consiste nell’applicazione di una aliquota fissa, del 21% o del 10% a seconda del tipo di canone stipulato, sul valore effettivo del canone di affitto. In questo modo i redditi derivanti dall’affitto della casa non concorrono a formare il reddito del contribuente, ma vengono tassati separatamente. La delega fiscale prevede l’applicazione della cedolare secca anche ai canoni di affitto per immobili affittati per finalità commerciali, d’impresa o di lavoro autonomo.

Proseguendo, viene prevista la costituzione di una categoria unica dei redditi finanziari. Infatti, una delle storture del sistema tributario italiano è prevedere che i redditi finanziari (cessione di partecipazioni, interessi, guadagni derivanti da eventi certi e incerti) siano divisi in due categorie: redditi di capitale e redditi diversi. Questa divisione, ragionevole una volta ma del tutto ingiustificata oggi, porta a dei paradossi: primi fra tutti la presenza di regole diverse per la stessa tipologia di redditi e l’impossibilità di compensare perdite e oneri in maniera unitaria.

Un ulteriore punto è rappresentato dalla tassa piatta incrementale per i lavoratori dipendenti (flat  tax incrementale). Gli straordinari, la tredicesima e i premi di produttività che eccedono una determinata soglia – soglia che verrà stabilita per decreto – subiranno l’applicazione di un’aliquota piatta[1]. Questa misura, insieme con la riduzione del cuneo fiscale prevista per la Legge di Bilancio 2023, ha come obiettivo il sostegno alle esigenze economiche dei lavoratori dipendenti, messi duramente alla prova dagli alti tassi di inflazione.

Quanto all’IRES, si applicherà il cosiddetto doppio binario. Verrà prevista una riduzione dell’aliquota per le imprese che destineranno il reddito prodotto in investimenti qualificati o all’assunzione di personale. Per tutte le imprese che non dovessero rientrare in questa misura saranno comunque previsti degli incentivi e delle agevolazioni, sempre nel caso in cui destinassero una parte dei redditi prodotti all’assunzione di nuovo personale.

L’IRAP, l’alcol e le sigarette elettroniche.

Un ulteriore obiettivo della delega fiscale è giungere alla definitiva, anche se graduale, abolizione dell’IRAP. L’imposta regionale sulle attività produttive si potrebbe definire, senza timore di eccessiva semplificazione, una sorta di doppione delle imposte sui redditi d’impresa. Infatti, ad essere colpiti dall’imposta sono solo le imprese e i lavoratori autonomi che si occupano della vendita di beni o servizi attraverso un’autonoma organizzazione.

Anche se è un’imposta doppione l’IRAP è necessaria per le regioni, dal momento che contribuisce in maniera rilevante al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale. La delega fiscale traccia dunque le linee direttive per la sua abolizione: verrà introdotta un’imposta addizionale all’IRES, senza prevedere un maggior aggravio fiscale per i contribuenti; e, come d’altronde è già previsto per le regioni a statuto ordinario, in caso di necessità interverrà il fondo perequativo.

La delega seguita ad occuparsi della salute del contribuente – nel diritto tributario queste misure si definiscono interventi extrafiscali. Ma lo fa in maniera sbilanciata e a tratti protezionista: prevede la semplificazione degli adempimenti per la vendita di alcolici e, allo stesso tempo, applica una stretta – in realtà un vero e proprio divieto – alla vendita a distanza delle sigarette elettroniche e dei rispettivi liquidi da parte di Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Quando verranno approvati i decreti attuativi, sarà possibile acquistare sigarette elettroniche extracomunitarie solo dai rivenditori autorizzati sul territorio nazionale.

Il concordato preventivo biennale e altre misure.

In un’ottica di semplificazione del sistema di obblighi che gravano sui contribuenti, il Governo ha inteso favorire l’adesione spontanea al pagamento dei tributi. Proprio in questo orizzonte si colloca il concordato preventivo biennale per gli imprenditori individuali e per gli autonomi entro certe dimensioni.

In parole molto semplici, si permette ad alcuni soggetti di stabilire preventivamente la base imponibile, sulla base di un contraddittorio e delle analisi incrociate di una banca dati. Un vero e proprio accordo tra Fisco e contribuente sulle tasse da pagare. Una volta stabilita la quantità di tasse da pagare nel biennio (il quantum debeatur) risultano irrilevanti le imposte IRPEF e IRAP, ma rimangono fermi gli obblighi contabili e di dichiarazione.

Molte sono poi le misure che verranno tracciate con maggior dettaglio nella fase attuativa. Si va dalle misure per rendere più efficiente la riscossione a quelle per digitalizzare il processo tributario, sino alla revisione delle sanzioni tributarie. Si specifica, nelle disposizioni finali, che dalla delega fiscale non deriveranno maggiori oneri per i contribuenti o una maggiore spesa per lo Stato.

Le conclusioni, tra riforme organiche e riforme.

Tutto sommato la delega fiscale del Governo Meloni ha i presupposti per incidere in maniera rilevante sul rapporto tra Fisco e contribuente. Poi la riduzione delle aliquote IRPEF potrebbe rendere più semplice la previsione delle tasse da pagare per il contribuente, a patto che vengano accompagnate da una riorganizzazione (riordino) delle deduzioni e delle detrazioni. L’abolizione dell’IRAP è buona cosa, ma vedremo se il Governo sarà in grado di assicurare lo stesso gettito per la sanità. Sono riforme incisive e non risolutive, d’altronde.

Come il signor Tal dei Tali avrà capito, la materia tributaria è un intruglio diabolico fatto di tecnicismi, casistica e linguaggi incomprensibili. Comprendere appieno tutto il sistema della norme che regolano i tributi e progettarne una riforma organica è affare degno delle più elette menti della nostra epoca, oltreché dei più coraggiosi legislatori.

Gli uomini comuni, legislatori o studiosi che siano, quasi sempre s’avventurano con una certa candida determinazione in qualche progetto di riforma «organica» del Fisco. Ma quando poi s’accorgono che non è cosa semplice e che lo spostamento sbagliato di un tassello può compromettere tutto il sistema, lanciano all’aria la riforma organica, urlando che «Non si può fare, più di così non si può fare». E così da decenni ci accontentiamo di qualche piccolo spostamento di tanto in tanto. Proprio come noialtri facciamo con il cubo di Rubik.


[1] Una misura molto simile è stata prevista dalla Legge di bilancio 2023 per le imprese individuali e i lavoratori autonomi. Prende appunto il nome di flat tax incrementale e prevede l’applicazione di un’aliquota del 15% agli aumenti di reddito rispetto all’anno in cui si è prodotto il maggior reddito nel triennio precedente. Il beneficio della tassa piatta non può comunque superare il plafond di 40.000 euro.

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