Il mito della sovranità alimentare non è certo cosa nuova in Italia, l’argomento è sempre stato caro alla sinistra nostrana che sguazzando tra bio, km 0 e no-OGM ha sempre venduto l’idea di un sistema agricolo e industriale che per sfamare 8 miliardi di persone (o 60 milioni di italiani se preferiamo) potesse basarsi sul modello dell’orto di casa: autocoltivazione autarchica e inefficienza ambientale. Un modello basato sull’esatto opposto di sostenibilità ambientale ed efficienza al quale si presume non vi sarà grande opposizione.
Che tutto sia iniziato servendo all’aperitivo carote viola coltivate in 5 metri cubi di terra nel centro di Milano o bandendo dall’Africa sub-sahariana il mais BT è difficile da ricostruire. Fatto sta che ad un certo punto dell’evoluzione storico-culturale del nostro paese, non più tardi di una ventina di anni fa, ci siamo convinti che in un mondo dove le terre coltivabili non bastano per sfamare tutti fosse vantaggioso sfruttare più risorse per produrre meno cibo.
Inizialmente fu posta in termini di salute, d’altronde si sa che le cose come una volta sono fatte meglio e che coltivare una zucchina al metro quadro secondo il ritmo delle stagioni non è affatto uno sfizio da radical-chic, un lusso, ma un modello da estendere a tutte le colture del mondo sviluppato, colpevoli di aver perso il legame con la Natura, entità impersonificata.
Poi fu detto che quel modello doveva estendersi anche ai paesi in via di sviluppo, perché proprio lì il sentimento luddista ed antioccidentale poteva trovare terreno fertile. Queste multinazionali che vendono mais resistente ai parassiti non facevano che rovinare il naturale equilibrio delle cose, dove la gente crepa di fame e di malaria. Non fu un caso che infatti spesso a sovrapporsi al mito dell’alimentazione miracolosa vi fosse anche quello dei fitoterapici: Oli essenziali, estratti e parti vegetali d’ogni sorta, ognuna assolutamente priva di dimostrata efficacia clinica ma capace di consumare suolo come una vacca da latte, pur senza produrre alcun nutriente.
Infine ci si convinse che la carne fosse il nemico comune e che prima di vietare le coltivazioni di barolo, di sigarette o di pop corn, prima ancora di rinunciare al tanto necessario aperitivo, fosse necessario estirpare l’allevamento intensivo, perché come è noto inquina. Poco importa quanto produca in rapporto.
Come coronamento della metafisica passatista il bio approdò in Parlamento e consigliammo allo Sri Lanka di sfamare con esso 22 milioni di persone. A nessuno importò quando il paese collassò su sé stesso.
Il Ministero della Sovranità Alimentare non è nemmeno un concetto così da buttare, se inteso come ente governativo atto a tutelare nel mercato globale una serie di prodotti di nicchia italiani. Lo diventa quando spaccia per maggiormente salutari o ecologici, complice il cortocircuito sul naturale, una serie di prodotti non solo assolutamente privi di vantaggi per la salute, ma più avidi di risorse rispetto a quelli industriali.
“Gli Ogm non fanno parte del nostro modello”, “il cibo sintetico è innaturale e dannoso” precisa il neoministro Francesco Lollobrigida, che in effetti non ha torto: un po’ tutto il cibo è innaturale dal momento che il concetto stesso di coltura è completamente contro-natura, per non parlare poi di quello di selezione in atto dall’alba dei tempi.
Il breeding è ciò che ha permesso di sviluppare piante e animali capaci di sopperire alle necessità umane. Iniziò nel sahara circa 10mila anni fa, quando qualcuno decise di non ripiantare tutti i semi di un cereale selvatico, ma solo quelli più grossi. Continuò senza ingegneria genetica né laboratori nell’antico Egitto dove erano già presenti vacche capaci di produrre continuamente il latte al di fuori della gravidanza (come quelle odierne) e culminò con l’invenzione della pecora da lana. Nel 1000 A.C. il progresso tecnologico che portò all’affinamento delle cesoie consentì di privilegiare la selezione degli esemplari con una particolare mutazione genetica (o epigenetica): un mantello forte ed in perenne crescita con il quale fosse possibile, dopo la tosatura, creare indumenti.
Anche per questo oggi gli OGM sono stati ribattezzati NBT (new breeding techniques), a sottolineare la manifesta continuità con il normale processo di selezione in atto da millenni.
L’allora ministra Bellanova provò ad inserire i decreti attuativi relativi al progetto europeo di riforme in atto sul tema OGM, che avrebbe consentito il loro impiego anche in Italia, ma purtroppo senza successo. La dura opposizione che incontrò, esterna ed interna al suo partito (PD, poi Italia Viva), fu il perfetto fer a cheval necessario alla futura quadra sul Ministero della Sovranità Alimentare, dove si fiancheggiano destra sovranista e sinistra regressista ancora una volta unite più che mai contro lo sviluppo tecnologico e la vera sostenibilità ambientale.
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2 comments
perfetto come sempre :)
Mammamia quante imprecisioni e veri e propri errori.
Le pecore non si inventano, le vacche (ne quelle più primitive, ne tantomeno quelle ultraselezionate di oggi) non “sono capaci di produrre latte continuamente, senza bisogno di gravidanza”.
Che il breeding e i processi di selezione artificiale (animale e vegetale) poi siano iniziati nel 10000 ac, nel sahara e in egitto è una semplificazione al limite della mistificazione e ad oggi le aree di selezione dei principali cereali e dei principali capi di allevamento sembrano essere altre e sopratutto molto più etereogenee nel territorio (nel middle east per il grano e le pecore, estremo oriente per il riso… Ma anche la patata dolce nelle americhe) e nel tempo. Il passaggio dal 10000 avanti cristo all’egitto del 1000 ac è quasi comico poi, tanto è superficiale.
Tanto quanto le frasi per cui si è sempre intervenuto sul cibo che mangiamo.
Insomma, ultrasemplificazioni da manuale, a cui ormai da lettoria siamo abituati, sono utili solo a portare avanti la solita moderna propaganda per cui l’attuale selezione e manipolazione genetica sarebbe simile a quella selezione artificiale millenaria (processo molto più antico di 10000 anni probabilmente); vengono riportate inesattezze e falsitá, chiaramente senza affrontare i veri cavilli e reali problemi dell’attuale modello di GMO. Uno dei problemi per i coltivatori americani, per esempio, è relativo alla fertilitá dei moderni semi e alla possibilitá dell’agricoltore (non solo genetica ma anche legale e contrattuale) di poter ripiantare i nuovi semi post raccolto che sono, in quanto gmo, di “proprietà” della azienda produttrice e non del coltivatore.
Ma invece è più facile fare i finti conoscitori della “historia magista vitae” cosí da poter dire di avere qualche ragione primigenia a qualsiasi discussione su cosa sia meglio fare, su limiti e possibilitá, vantaggi e svantaggi dell’innovazione tecnologica, che andrebbero studiate e affrontate con spirito critico e non con queste mistificazioni e visioni parziali e di parte.
Che poi la sovranitá e l’autarchia alimentare sono sempre (e anche giustamente molto probabilmente, visto che sarebbero una utopia/distopia) schernite, cosí come è schernito chi le cita… Ma intanto le stesse testate e articolisti (megafoni della propaganda) dall’alto del loro piedistallo morale ci parlano, nell’era della UE unita, di quanto sia bella, utile e anzi necessaria, la sovranitá e l’autarchia energetica, ovviamente in nome della “vera” sostenibilitá ambientale e del “giusto” sviluppo tecnologico