La vicenda ormai la conosciamo tutti. C’è uno spot di una nota catena di supermercati che mette in scena la storia di una bambina con genitori divorziati (qui il video). Mentre è a fare spesa con la madre, la bambina prende una pesca che in seguito utilizzerà come mezzo per far ‘riavvicinare’, anche solo affettivamente, i genitori separati. La bambina infatti donerà al padre la pesca fingendo che si tratti di un regalo da parte della madre. Non c’è altro, questa è la trama del video pubblicitario. Se non fosse che questo spot ha generato una serie infinita di polemiche sui social.
Non staremo qui a riassumerle tutte, anche perché spesso si tratta della stessa polemica vista da angolature diverse. Il punto principale è che, stando ai suoi detrattori, lo spot in questione alimenterebbe uno stereotipo negativo di famiglia separata veicolando due messaggi: 1) solo le famiglie unite sono famiglie felici; 2) le separazioni sono sempre drammatiche e moralmente disdicevoli. In particolare il messaggio (2) sarebbe legato alla centralità che lo spot darebbe al dolore della bambina, dimenticando che anche i genitori hanno diritto a essere felici. I critici più severi si soffermano anche su dei particolari della sceneggiatura che susciterebbero ulteriori inferenze problematiche. Ad esempio, la scena in cui il padre fissa con sguardo languido la finestra dove non c’è più nessuno dovrebbe veicolare il messaggio che è il padre/l’uomo a essere stato lasciato dalla madre/donna. Come ulteriore conseguenza di questa inferenza, lo spettatore dovrebbe inferire in aggiunta che la madre è la sola, cattiva responsabile della situazione familiare. Ma in generale questa interpretazione è giusta?
Partiamo da un presupposto onesto: ogni interpretazione è possibile. Non esiste, e non esisterà mai, alcun argomento che dimostri in maniera incontrovertibile che l’interpretazione dei detrattori sia sbagliata (o che un’altra sia ‘quella giusta’). E questo semplicemente perché le interpretazioni non sono entità soggette a giudizi di questo tipo. Le interpretazioni non sono né vere né false, né giuste né sbagliate. Al massimo, ed è qui quello che ci interessa, le interpretazioni sono più o meno giustificate (o più o meno legittime). Nota bene: questo vale anche laddove l’ideatore dello spot dovesse uscirsene dicendo che la tal interpretazione è quella giusta, perché rispecchia le sue ‘reali intenzioni’. Decenni di studi sulla comunicazione umana ci hanno insegnato che le intenzioni del parlante sono solo una delle determinanti del significato. Noi non abbiamo accesso alle intenzioni altrui. Quello che conta sono quindi gli indizi, verbali e non, che gli altri consapevolmente ci offrono nella comunicazione per ricostruire quello che hanno in testa. A partire da quelli, ci prendiamo la responsabilità di derivare le inferenze più probabili su ciò che il parlante poteva intendere con quella frase (o con quel video). Che il parlante dica a posteriori che intendeva che x quando però ha fatto di tutto per far capire che y, o non ha fatto niente per evitare che lo pensassimo, conta poco (come scriveva Wittgenstein: “Fa questa prova: Di’ «Qui fa freddo» e intendi «Qui fa caldo». Puoi farlo?”).
Il problema, quindi, è un problema di giustificazione. E allora l’interpretazione critica dello spot è giustificata?
Ora a qualcuno non sarà sfuggito che nel presentare l’interpretazione dei detrattori è stata utilizzata una serie di condizionali (sarebbero, susciterebbero, dovrebbe ecc.). Ovviamente tutti questi condizionali non ci sono nelle tesi originali, ma gli stessi verbi sono tutti all’indicativo: lo spot dà centralità al solo dolore della bambina; lo spot veicola l’idea che è colpa della madre; lo spot mostra che le famiglie separate sono infelici; ecc. Il primo punto da notare è proprio questo: le polemiche sullo spot sono in forma assertiva. Si dà per certo o per scontato che quelle immagini veicolino certi significati, che dietro certe scene ci sia quell’intenzione particolare, e così via. Nel far questo però ci si dimentica di alcune regole fondamentali di cui tenere sempre conto quando si va a caccia di un’interpretazione, soprattutto se di un artefatto umano. Queste regole, e qui è il punto centrale, sono quelle che ci aiutano a non derivare significati immaginari, a non assumere l’esistenza di sovrastrutture, messaggi subliminali, non detti e stereotipi che molto probabilmente non esistono e non sono incoraggiati dallo spot in questione.
La prima di queste regole da tenere sempre a mente è che i comportamenti hanno realizzabilità multipla. Si tratta di un termine un po’ tecnico utilizzato da Hilary Putnam in un altro contesto, quello della filosofia della mente, per dire che gli stati mentali (es. provare dolore) possono essere realizzati da combinazioni diverse di stati neurali/cerebrali. Nel nostro caso prendiamo a prestito l’espressione per dire che ogni comportamento può essere realizzato, cioè può originare, da una molteplicità di intenzioni e credenze diverse; talvolta anche da credenze e intenzioni fra loro contraddittorie. Si tratta di una verità banale, ma di cui spesso ci dimentichiamo. Credere che il fumo provochi il cancro e voler evitare il cancro possono essere razionalmente coerenti col fumare dieci pacchetti di sigarette al giorno se sei più interessato alla posa da fumatore che a evitare il cancro, e se pensi che fumare dieci pacchetti al giorno ti dia più occasioni per fare colpo sugli altri. In altre parole, i nostri comportamenti non hanno una spiegazione uni-causale, ma gli stessi possono essere realizzati da combinazioni diverse di credenze e intenzioni. Per tornare al caso dello spot questo significa che uno stesso comportamento di un personaggio può essere egualmente spiegato da più combinazioni diverse di intenzioni, tutte in linea di principio plausibili. Il gesto del padre che guarda verso la finestra può essere spiegato dall’intenzione di ricercare la donna che lo avrebbe lasciato (interpretazione critica), ma può essere ugualmente spiegato da un’interpretazione diversa: es. è il padre ad avere lasciato lei e lui cerca lo sguardo della moglie per premurarsi che lei stia bene e non soffra la separazione.
È fondamentale capire che entrambe le interpretazioni, in assenza di indizi ulteriori (come in questo caso), sono ugualmente plausibili, cioè giustificate, cioè legittime. Non c’è nessun argomento, nessuna osservazione che può mostrare che la prima interpretazione è giusta e la seconda è sbagliata. Semplicemente non c’è. Il gesto di privilegiare l’una piuttosto che l’altra è una scelta attiva dell’interprete che, in maniera arbitraria, decide che la sua interpretazione è l’unica legittima. Quindi dire che lo sguardo del padre suggerisce l’inferenza che è la madre ad averlo lasciato è un’interpretazione che ha la stessa valenza di qualsiasi altra che parte dalle stesse evidenze. Anzi, è possibile che ulteriori considerazioni ci portino a dire che questa inferenza è addirittura meno giustificata di altre che derivano dalla stessa base.
Una di queste considerazioni è di parsimonia esplicativa. A parità di altre condizioni, è sempre meglio preferire un’interpretazione che necessita di meno assunzioni possibili per poter funzionare. Se l’interpretazione A e l’interpretazione B riescono a spiegare efficacemente lo stesso evento, ma B si regge su dieci ipotesi ad hoc, è conveniente privilegiare A in assenza di evidenze che suggeriscono il contrario. L’interpretazione che la madre sia la stronza della coppia si regge sull’ipotesi che lei abbia lasciato lui; ipotesi di cui non abbiamo alcuna evidenza nel video. A sua volta, l’ipotesi che lei abbia lasciato lui si dovrebbe reggere sull’ulteriore ipotesi che lui abbia guardato la finestra in cerca di lei e di un ricongiungimento; cosa che, di nuovo, è tutta da dimostrare, visto che esistono altre interpretazioni ugualmente plausibili della stessa scena (senza contare che dal guardare una finestra al desiderare un ricongiungimento c’è già un salto non indifferente…).
Ma allora da quale interpretazione dovremmo partire? L’ideale sarebbe applicare sempre un principio di benevolenza interpretativa rispetto a quello che un soggetto vuole comunicare. Dovremmo cioè sempre partire dall’interpretazione più razionale o ragionevole possibile, assumendo sempre il messaggio del parlante nella sua forma più sensata. Poi, e solo poi, si può modificare questa assunzione in presenza di indizi ed evidenze che ci spingono a farlo. Quella contro lo spot di Esselunga, invece, è una polemica “da social” in questo senso fondamentale: non si parte con l’assunzione che il soggetto, in questo caso un video, veicoli qualcosa di ragionevole, ma ci si mette subito in cerca di interpretazioni che si basano sull’assunzione opposta. Se il cortometraggio avesse invertito i ruoli della madre e del padre molto probabilmente qualcuno avrebbe sostenuto che lo spot veicola lo stereotipo della donna fragile ed emotiva, che guarda la finestra in cerca del padre della bambina perché incapace di stare sola. Oppure se lo spot non avesse assunto la prospettiva della bambina si sarebbe detto che è un cortometraggio insensibile, che non considera il dolore della separazione vissuto dai figli ecc. Il punto è che, in qualsiasi versione della storia, si possono trovare sempre delle interpretazioni stereotipate se non si parte dall’assunzione che il messaggio intenda essere ragionevole.
E questo dovrebbe farci riflettere: se in qualsiasi riformulazione della storia la nostra teoria individua degli stereotipi dovremmo chiederci se non sia proprio la nostra teoria ad avere qualche problema.
1 comment
Bello;
per me il senso è “la pubblicità serve solo a fare soldi, per parlare di questioni etiche/esistenziali/personali ci sono i film e i libri”. punto