Sfogliando Il mondo al contrario ci si rende da subito conto del taglio marcatamente polemico, quasi pulsionale, e non scientifico che la penna di Roberto Vannacci ha assunto in quelle pagine. Non è un’opera di dottrina, non è un saggio speculativo e non è di certo un manifesto politico avanguardista – anche perché, fatta eccezione per alcuni termini più bizzarri e grossolani (come «batacchio tra le gambe»), sarebbe lo stesso programma portato avanti da Fratelli d’Italia negli ultimi quattro anni.
È invece un saggio d’opinione, uno sfogo letterario come tanti se ne vedono ad oggi, di evidente carattere conservatore, reazionario e intollerante. Per quella pubblicazione Roberto Vannacci è stato destituito, ed ora è in corso un procedimento disciplinare che cercherà di verificare se ci siano state violazioni dell’ordinamento militare.
Una corposa fascia della popolazione, alla cui testa ha tentato di fissare una bandierina di rappresentanza il fronte disunito delle opposizioni, ha espresso una relativa soddisfazione per la scelta del Ministero della Difesa e ha addirittura rilanciato chiedendo un inasprimento delle misure (cautelative) sino ad ora assunte. La ragione alla base dell’avversione all’opera di Vannacci è da ritrovare nella intolleranza di opinioni che si riterrebbero «non adeguate» al ruolo che ricopre l’autore.
La sanzione che rischia Vannacci
L’ordinamento militare rappresenta un unicum nella congerie di norme che regolano i mestieri in Italia, perciò sono chiaramente avventati tutti i paragoni che si intendano fare tra la libertà d’espressione riconosciuta ad un normale funzionario pubblico e quella garantita ai militari italiani.
Una esaustiva dimostrazione della legittimità formale (legittimità secondo la legge) di eventuali sanzioni è stata fornita dal professor Michele Spina all’Huffington Post. Roberto Vannacci potrebbe rischiare al più una sanzione di corpo – categoria di sanzione meno grave nell’ambito delle sanzioni disciplinari – e non sembra ci siano profili di rilevanza penale. Quindi, detto in soldoni, niente condanna penale e al massimo sarà costretto ad una consegna con rigore di quindici giorni.
Sebbene la legge consenta di sanzionare disciplinarmente un militare che pubblica un saggio d’opinione senza la dovuta autorizzazione, sarebbe utile domandarsi se ciò sia conforme al senso di giustizia per cui si combatte (anche) la messa in pratica di quelle opinioni intolleranti.
Le conseguenze della censura
Fuori dal confine positivo della norma scritta, è il senso di giustizia che dobbiamo interrogare in questi casi. Riconoscere come censurabile l’espressione di un pensiero personale equivale ad affermare che quel determinato pensiero possa ledere un altro interesse ritenuto maggiormente meritevole di tutela dal nostro senso di giustizia.
La giustizia, come è ovvio, per essere tradotta in pratica deve essere dotata di una sua gerarchia: quando due comportamenti legittimi sono in conflitto tra loro, si deve scegliere quale dei due tutelare, e quindi censurare quello meno importante.
L’espressione del pensiero di Roberto Vannacci non si ritiene che possa ledere i diritti delle persone non binarie o trans gender, né di tutti gli altri soggetti citati nel suo saggio (donne, scuole inclusive, immigrati, eccetera). Si ritiene invece che possa essere «gravemente lesivo del prestigio e della reputazione delle Forze Armate o del corpo di appartenenza» (art. 751, n. 17, Codice ordinamento militare).
Il concetto di prestigio e di reputazione delle Forze Armate è di certo evanescente e di difficile fissazione concettuale. Inoltre, sarebbe davvero pericoloso affermare che il militare possa ledere il prestigio del suo corpo anche quando agisce o si esprime da civile.
Questo porterebbe a due conseguenze alternative ugualmente aberranti: o la qualifica di militare assorbe totalmente l’individuo tanto da comprimerlo in un’unica dimensione esistenziale (quella del militare appunto), non lasciandogli l’indispensabile libertà di condurre una vita propria e all’insegna dei diritti umani. Oppure la qualifica di militare attribuisce al soggetto che ne beneficia il dovere di rappresentanza anche all’infuori delle ordinarie attività di servizio, riconoscendogli un rango sociale e una rilevanza giuridica che supera per gerarchia quella del normale cittadino. La prima conseguenza è appannaggio dei regimi totalitari, la seconda degli stati di polizia.
Il mondo al contrario
La vicenda di Roberto Vannacci ci restituisce un’immagine tremenda della nostra società: un banale saggio d’opinione diventa il motivo per sollevare mandrie di invasati che s’affrettano ad esorcizzare l’omofobo, immaginando così di assolvere al loro dovere d’essere buoni cittadini.
Un attivismo tanto infiammato, se tale lo si può chiamare, lo si riscontra quasi sempre in argomenti dalla portata marginale – si vedano gli attacchi di qualche anno fa, quasi analoghi per estremismo verbale e per intransigenza, a Corrado Formigli per aver invitato rappresentanti dei no-vax ad esprimere la loro opinione in prima serata su La7 –, mentre le grandi questioni sociali, internazionali ed etiche vengono sempre accolte con una certa freddezza e con un coinvolgimento molto più esiguo.
L’estremizzazione delle posizioni politiche, la polarizzazione ideale e l’intransigenza sembrano essere diventate le armi quotidiane che un frangente ormai corposo della popolazione televisivizzata utilizza per schierarsi su argomenti da talk-show, lasciando agli esperti questioni di maggior impatto sociale e politico.
In tutto ciò emergono due paradossi sconfortanti. Il primo è che sotto la purificante bandiera della tolleranza fiotti di persone attaccano l’espressione del pensiero intollerante d’un privato cittadino, acquisendone i metodi e concretizzandone involontariamente i fini generici. Il secondo è che tutti gli avversatori di un saggio d’opinione che ritenevano non pubblicabile sono riusciti, con una rumorosissima tempesta mediatica, a farlo divenire il libro più venduto della settimana. Questo sì che è il mondo al contrario.
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1 comment
mio podcast più o meno d’accordo con l’autore.