Le leggi sulle successioni “influiscono straordinariamente sullo stato sociale dei popoli […]. Esse operano sulla società in modo sicuro e uniforme poiché si impossessano dell’uomo prima che nasca e nel tempo stesso gli danno un potere quasi divino sull’avvenire dei suoi simili“. Con tali parole, Alexis de Tocqueville iniziava il suo discorso sulle successioni negli Stati Uniti del suo tempo.
Da ormai due settimane, in Italia infuria la polemica sulla proposta del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, di modificare il regime fiscale delle successioni e di finanziare, con i proventi di detta tassa, una “dote” per i maggiorenni. Ciò che qui interessa, tuttavia, non è la proposta in sé (di cui si è già discusso su Immoderati) bensì le ragioni più profonde per cui la stessa veniva avanzata.
La vulgata vuole che la tassazione delle successioni sia necessaria, in quanto i beni ottenuti mortis causa non sarebbero frutto del merito e costituirebbero una sorta di rendita. Se questa può indubbiamente costituire una ragione, non è la motivazione principale. Riprendendo la citazione iniziale, e con essa le parole di chi ha saputo esprimersi meglio di quanto potrebbe fare chi scrive, il diritto delle successioni “costruit[o] in una certa maniera, aggruppa intorno a qualche individuo la proprietà e con la proprietà il potere, facendo così nascere quasi dal suolo l’aristocrazia. Condott[o], invece, da principi diversi e lanciato per un’altra via, ha un’azione ancor più rapida: ess[o] divide, spartisce, dissemina i suoi beni in modo tale che spesso si resta stupiti della rapidità della sua marcia; allora, disperando di arrestarne il movimento, si cerca almeno di creare delle difficoltà, di controbilanciare la sua azione con sforzi contrari. Espedienti inutili! Essa spezza e manda in schegge tutto quel che trova sul suo passaggio, si alza e si abbassa incessantemente sul suolo fino a che non lo ha ridotto in una polvere impalpabile su cui si asside la democrazia.“
Questa lunga citazione de “La Democrazia in America” contiene tutto quanto è necessario per comprendere il tema oggetto d’esame. Nello stesso senso va letta la frase di F.A. Von Hayek che in questi giorni viene citata come un mantra da chi vuole convincere di non avere tendenze socialisteggianti: egli ha infatti sostenuto, in un suo saggio, “Individualismo: Quello Vero e Quello Falso”, che le imposte sulle successioni possano essere un buon sistema per attuare quello smembramento delle proprietà presente anche nella citazione che precede.
La frase cui si è fatto riferimento poco fa, per quanto poco rilevante ai nostri fini, ci permette di creare un ponte con l’altro grande tema, quello del merito: lo stesso Hayek, infatti, ne “La Società Libera” ci avverte dei pericoli che si corrono impedendo o limitando fortemente la trasmissibilità di beni materiali; egli, infatti, ci avvisa della possibilità che la trasmissione avvenga secondo modalità differenti, idonee a cagionare danni di diverso tipo al corpo sociale, oltre che ben peggiori, ad esempio assicurando ai figli, tramite la propria influenza, una posizione sociale idonea a garantirgli un identico tenore di vita. Per quanto non scritto dall’autore, è ragionevole pensare che, in conseguenza di ciò, si possa pervenire a una situazione di immobilità sociale, oltre che di assenza di merito nelle carriere, in grado di portare nelle nostre società i germi di quell’aristocrazia che Tocqueville, anche tramite il diritto delle successioni, voleva evitare.
Il momento della successione, inoltre, non è che l’ultimo momento in cui vi è un incameramento di fortune in modo non meritorio. Le condizioni di nascita, ci dice lo stesso autore, fanno sì che istruzione e stile di vita siano fortemente diverse, a seconda del contesto in cui si nasce. Proseguire sul campo del merito, non accettando le conseguenze della mera sorte, porterebbe a estremizzazioni non piacevoli e a ricostituire, parimenti, quel sistema aristocratico cui faceva riferimento Tocqueville.
Rimuovere o limitare la circolazione mortis causa dei beni, creerebbe anche un incentivo a un maggior “spreco” di risorse e ridurrebbe le possibilità delle generazioni successive. Si tratta, certo, di uno scenario un po’ estremo, data la quantità di chi, ad oggi, è interessato al problema, ma era inevitabile rilevarlo.
In ultimo, tanto lo smembramento di cui parla Tocqueville, quanto la trasmissione di un nuovo patrimonio anche culturale, sono fenomeni che coprono necessariamente molte generazioni e che per questo non sembrano essere l’obiettivo di una politica, quella italiana, che propone solo quanto può essere propagandato come una panacea con effetti immediati. La proposta è più facilmente inquadrabile nella tendenza a promettere denaro a una categoria target (i giovani, in questo caso), togliendoli a una categoria che viene demonizzata (oggi, come spesso accade, un non meglio precisato 1% più ricco).
Se l’intenzione, invece, era di aiutare davvero la categoria sociale che più ha sofferto le ultime crisi, la via delle successioni, o di altre forme di redistribuzione, non è quella corretta e si sarebbe dovuto perseguire quella della libertà economica, in cui l’Italia è, per sua scelta, uno dei fanalini di coda europei.
Se l’intenzione era quella di garantire lo smembramento della proprietà, la soluzione non può certo consistere nel conferire a un soggetto terzo, lo stato e, con esso, i suoi organi, una signoria assoluta sui beni dei suoi “sudditi” da conferire ad altri sudditi, in base a un piano calato dall’alto: non otterremmo altro che la costituzione di una nuova aristocrazia, come quella che l’autore opportunamente citato voleva scongiurare.