Convinti di essere super partes, lo sbandierano i pacifisti in piazza e gli intellettuali sui social e in tv: ma perché “né con Putin, né con la NATO” è una retorica sbagliata?
Ogni volta che si toccano temi caldi, specie di quest’entità, si rischia sempre di cadere in fraintendimenti e incomprensioni. Per questo credo vadano fatte le dovute premesse, prima di espormi al pubblico ludibrio.
Premessa 1
Putin è, ormai a tutti gli effetti, un dittatore a capo di una democratura autoritaria e plutocratica (mi si perdoni il fusarismo). Il sistema oligarchico su cui si regge la cleptocrazia russa è qualcosa di inaccettabile, ma niente in confronto al sangue (metaforico e reale) di cui si è macchiato il suo presidente negli oltre vent’anni del suo governo “democraticissimo”. Per questo, senza mezze misure, le azioni che sta compiendo in questi giorni sono da condannare da tutti i punti di vista: giuridico, etico ed umano. Questo non è discutibile.
Chi crede che sia legittimo che un paese esterno ne invada un altro, avanzando pretese sulla libertà di altre popolazioni e inamovibile nelle condizioni del “cessate il fuoco”, è semplicemente un folle. E, dato che so a cosa state pensando, e questo non è un articolo favorevole all’interventismo in generale, ciò mi porta dritto alla seconda premessa.
Premessa 2
Se siete tra i malpensanti che hanno subito gridato “E ALLORA LA NATO?” o “E ALLORA GLI USA?”, vengo subito al punto: logica vuole che vicende storiche simili tra loro o comparabili vengano giudicate in maniera altrettanto simile. Una posizione logica, infatti, sarebbe quella di condannare tanto Putin in questa specifica crisi russo-ucraina, quanto ogni altro fatto storico analogo, anche se commesso dagli Stati Uniti o dalla NATO.
Si presume che eventi dalla stessa struttura logica vengano letti con la stessa logica e, dunque, implichino medesime posizioni etiche e analitiche. E, ovviamente, Putin non è il primo (né, temo, l’ultimo) che nella storia attacca, occupa o invade altri territori con palesi intenti offensivi o imperialistici, giustificandoli poi come “guerra difensiva”: attestazioni di strategie belliche di questo tipo ne abbiamo almeno dall’antica Roma. E non è errato affermare che gli Stati Uniti si siano spesso sporcati di questa colpa nella loro storia militare. La politica estera degli USA ci fornisce molteplici casi possibili, ma solo alcuni paiono praticabili: tolta Cuba (in cui concause molto diverse hanno concorso nella vicenda, tanto da renderla un esempio inadeguato), un buon parallelismo sarebbe l’intervento statunitense in Afghanistan nel 2003.
Prendiamo in esame la seguente struttura logica: “uno stato invade un territorio vicino o lontano e avvia un conflitto (che si ripercuote sulla popolazione) per precisi interessi politici o economici, ma giustifica l’atto come guerra di difesa“. Cambiando i termini dell’enunciato, si direbbe che questa struttura logica sia applicabile a tantissimi casi, tra cui quello americano in Afghanistan e quello russo in Ucraina:
“Gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan e avviano un conflitto (che si ripercuote sulla popolazione) per interessi economici ed energetici, ma giustificano l’atto come guerra al terrorismo ed ‘esportazione di democrazia e libertà’.”
“La Russia invade l’Ucraina e avvia un conflitto (che si ripercuote sulla popolazione) per interessi espansionistici e identitari, ma giustifica l’atto come denazificazione e difesa preventiva dal possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO (non effettivo).“
Sarebbe sensato, a questo punto, rigettare tanto l’invasione dell’Ucraina quanto l’imperialismo americano, reo delle stesse oscenità: se credo che la guerra russo-ucraina vada condannata, perché Putin non ha il diritto di invadere un altro Paese per i suoi scopi, provocando un incidente di portata internazionale, credo altresì che le azioni militari statunitensi in Afghanistan e in altri paesi fossero illegittime per lo stesso motivo. Non comprendo la difficoltà di ammettere che ambedue i casi, così come tutti gli altri che nella storia rispondono ad analoghe dinamiche, sono da incriminare, a meno che non si usino doppi standard.
Ricondurre ancora una volta il pericolo all’imperialismo americano sarebbe sensato se non ci fosse una de facto guerra in atto: per quanto la politica estera americana sia deprecabile e lungi da me difendere certe porcherie, alla prova dei fatti è stata la debole Russia a scatenare il caos, senza mostrare l’intenzione di arrendersi, ma anzi continuando a istigare e minacciare. Mi sembra che i fatti, almeno per questo preciso evento, smentiscano la retorica anti-atlantista che, se in circostanze pacifiche è perfettamente legittima, in questo caso è semplicemente fuorviante, non aiuta la causa ucraina e sposta il focus dal reale problema: arginare il pericolo russo.
Come sempre, purtroppo, le cose non sono così semplici e, ovviamente, tale astrazione logica non incontra la complessità delle molte contingenze storiche, geopolitiche ed economiche che sono confluite in questi macro-eventi. Se sul piano logico possiamo concordare sulla necessità di assumere la stessa posizione in merito all’imperialismo di Putin e al neoconservatorismo interventista americano, è giusto anche non trascurare l’esistenza di molteplici livelli di analisi: più layer ci sono, infatti, più è complicato comparare gli eventi e maturare le stesse posizioni su di essi.
Escluse le opinioni personali esplicitamente a favore dell’una o dell’altra parte nella storia (d’altronde c’è chi sostiene le motivazioni di Putin e chi supporta strenuamente gli USA come “poliziotti del mondo”), qualcuno potrebbe obiettare che quanto accaduto in Afghanistan era cosa ben diversa dalla guerra in Ucraina e che, pertanto, avere due posizioni discordanti sui due fatti non sia affatto illogico. Ma ciò è sensato solo se questa posizione è stata raggiunta considerando i molti piani interpretativi e le molte contingenze: fatti storici lontani nel tempo, causati da fattori differenti, portati avanti da figure politiche differenti e con mezzi e dinamiche differenti, impattano sull’opinione pubblica in modo diverso e risulta difficile ridurli a semplici analogie, perché esse ignorerebbero la complessità dell’intorno, del contesto in cui quei fatti sono avvenuti.
Tuttavia finora abbiamo parlato degli States e non abbiamo ancora citato la NATO. Che ruolo ha nelle colpe storiche dell’interventismo americano?
Un po’ di storia
Come molti analisti, storici ed esperti più titolati del sottoscritto hanno ricordato in questi giorni, la NATO è un’alleanza difensiva, contraltare del Patto di Varsavia durante la Guerra Fredda. Eppure il suo primo impiego bellico fu solo nell’Operazione Allied Force del 1999, durante la guerra del Kosovo, dove condusse una campagna di bombardamenti contro la Jugoslavia (allora composta solo da Serbia e Montenegro), sulla base del movente giuridico internazionale di “ingerenza umanitaria” e in soccorso delle popolazioni albanesi-kosovare, all’epoca oggetto di pulizia etnica da parte serba. In quel caso, la NATO agì entro la cornice della difesa/tutela, nonostante in un primo momento non avesse ricevuto l’iniziale autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che successivamente sollecitò l’intervento.
Fu solo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, che, per la prima volta nella sua storia, la NATO invocò il celebre articolo 5, il quale stabilisce che ogni attacco a uno stato membro è da considerarsi un attacco all’intera alleanza. Alle minacce dei gruppi terroristici, come i talebani e Al-Qaida, che hanno dominato il primo decennio del ventunesimo secolo, gli USA di Bush risposero con la “guerra al terrore”, una serie di operazioni militari internazionali note come Operazione Enduring Freedom, in cui guidarono una coalizione di Paesi NATO e non-NATO contro “le nazioni, organizzazioni o persone” accusate di aver “pianificato, autorizzato, commesso o aiutato” gli attentati dell’11 settembre.
La più nota è senza dubbio la missione in Afghanistan del 2003, in cui la NATO, per la prima volta fuori dall’area nord-atlantica, accettò di prendere il comando dell’ISAF (International Security Assistance Force), che al momento dell’accordo era guidata da Germania e Paesi Bassi, gli stessi Paesi che richiesero l’intervento. Il controllo dell’Afghanistan passò ufficialmente da Enduring Freedom alla missione ISAF a guida NATO solo nel 2006, almeno finché, nel 2014, Obama non annunciò la fine dell’operazione.
Le fallacie del discorso anti-NATO
Fatta chiarezza sull’unico vero esempio di interventismo NATO (e comunque con tutti i discrimini del caso, come le minacce concrete alla sicurezza internazionale), le retorica anti-NATO a tutti i costi è sbagliata e pericolosa per molti motivi. Tornando al presente, infatti, il discorso “né con Putin, né con la NATO” ha diversi problemi logici e semantici.
In primo luogo si tratta di una retorica che guarda alla crisi russo-ucraina come a una tifoseria, come un match sportivo. E se anche fosse così, la “partita” che si sta disputando non è tra la NATO e Putin, è tra Putin e l’Ucraina, ed è un pretesto sufficiente a mobilitare il mondo intero, se pensiamo alle cause che scatenarono le due guerre mondiali. Benché l’Ucraina volesse fare richiesta per entrare nella NATO, non è ancora nella NATO e difficilmente vi sarebbe entrata in una situazione normale, data la sua posizione (geografica e politica) ambigua rispetto alla Russia e alla presenza di milizie neonaziste: questo argomento, pertanto, sovrascrive la narrativa putiniana contro i rischi di una proliferazione verso est della NATO (che violerebbe accordi non scritti risalenti alla Guerra Fredda).
La paura di un accerchiamento NATO è pure comprensibile, siccome già molti paesi vicini al territorio russo sono nella NATO, ma non vi è stata nessuna provocazione (dato che la NATO è solo difensiva) che giustifichi risposte belliche russe di questo tipo. Guarda caso, invece, quando si parla di un Paese che la Russia vede come un nemico nazista e atlantista, ma anche come un territorio russo da riannettere, improvvisamente la paura delle basi americane sotto il naso vale come motivo per offendere. La NATO, in questo contesto, può fungere al più da deterrente difensivo o supporto umanitario che da minaccia offensiva.
In secondo luogo, dire “né con Putin, né con la NATO”, in un modo o nell’altro, comporta un qualche tipo di supporto alla causa putiniana, ma non per i motivi che vi aspettate. Verrebbe subito in mente, infatti, che questo slogan sia una paraculata che nasconde maldestramente posizioni filo-Putin, frutto di continue mistificazioni della storia. Ciò, tuttavia, sarebbe una reductio ad Hitlerum, non dissimile da slogan del tipo “se non stai con noi, stai con loro!“. Come ogni cosa del mondo, neppure questo evento storico è riducibile alla logica binaria del buono-cattivo, amico-nemico, bianco-nero.
Eppure, anche se in alcuni casi è effettivamente così, sbandierare un’idea del genere non equivale necessariamente a sostenere Putin in maniera diretta o consapevole, ma è una sua implicazione logica. Chi intende per davvero difendere la propria contrarietà a entrambi, infatti, potrebbe replicare che “né con Putin, né con la NATO” è un’affermazione autoevidente, vuol dire letteralmente ciò che dice: no a Putin e no alla NATO, e avrebbe ragione.
Chi non è putiniano e sostiene questo slogan, convinto piuttosto di dare una dimostrazione di pacifismo, non si rende conto che, ad oggi, con le soluzioni messe in gioco (guerra economica, cyberwarfare ecc.), dire “né con Putin, né con la NATO” vuol dire implicitamente non tanto appoggiare la causa putiniana, ma sicuramente agevolarla. La psicologia, la filosofia politica e il pensiero economico conoscono talmente bene questo concetto che gli hanno dato un nome: eterogenesi dei fini. È l’idea prasseologica, già nota ai fisici come principio di causalità (volgarmente l’effetto Farfalla), per cui ogni azione intenzionale produce impredicibili conseguenze inintenzionali.
Dobbiamo allora domandarci quali conseguenze inintenzionali produrrebbe questo slogan. Perché se pensiamo che manifestare in piazza, dissociandosi tanto dalla NATO quanto dalla Russia, serva a convincere un compassionevole Putin a cessare il fuoco, abbiamo ben altri problemi e non sono un esperto di psichiatria. Per farla semplice, se in una scuola media c’è un bulletto che tormenta un gruppo di ragazzini indifesi, ma questi non vogliono fare nulla per difendersi (men che meno ricorrere alle mani), la conseguenza inintenzionale è che il bulletto continua a tormentarli indisturbato.
Non è né un approccio razionale, né un approccio etico, perché ora non è tanto una questione di essere “favorevoli o contrari alla NATO”, ma di essere “favorevoli o contrari a Putin”: il focus è completamente diverso. E l’unico modo pragmatico che si ha, per adesso, oltre alle sanzioni e alla diplomazia, per manifestare reale dissenso nei confronti di quel criminale, è la NATO, piaccia o meno. L’espressione “né con Putin, né con la NATO” vuol dire implicitamente disimpegnarsi dalla guerra e lasciare Putin libero di continuare, non volendo essere complici degli eventuali interventi NATO sul territorio ucraino. Se tutti i Paesi NATO ragionassero in questo modo, Putin avrebbe campo libero per fare ciò che vuole, sempre a scapito di noi poveri imbecilli che le conseguenze delle guerre le viviamo per davvero, mentre la politica le porta avanti noncurante di svendere vite umane per questioni identitarie, territoriali o economiche. Questo tipo di conseguenza inintenzionale, in economia, non a caso, è definita esternalità negativa, e vale tanto per l’azione individuale, quanto per le scelte collettive, per le leggi e per qualunque altra cosa.
Né tantomeno ha senso chi grida lo slogan per invitare la sola Italia ad uscire dalla NATO: non è che se l’Italia non partecipa all’alleanza la guerra smette di esistere. La guerra continua ad esistere eccome, e se arriva da noi sono cavoli amari senza il supporto di altri Paesi.
Qualcuno, poi, parla di disarmo globale come unica condizione per prevenire ed evitare le guerre, senza dubbio un tema importante affrontato da molta filosofia contemporanea, già a partire da Kant. Tuttavia, questo è un argomento limitato in funzione della sua praticabilità, perché dal punto di vista logico è ovvio che se nessuno possiede armi, allora non si disputano battaglie, ma come si arriverebbe al disarmo? Convenzioni internazionali, accordi multilaterali, tacito assenso? E, fino alla fine, anche fosse possibile, come potremmo star sicuri e tranquilli che qualcuno, a un certo punto, non sviluppi nuovamente armi e violi il patto?
- Se gli altri Paesi lo avranno rispettato, il Paese traditore avrà campo libero e si tornerà al punto di partenza, quasi sulla falsariga del segretario particolare di Napoleone Bonaparte, Louis Antoine Fauvelet de Bourrienne, che nelle sue memorie scrisse: “Se Napoleone fosse stato un’autorità nella lingua latina, avrebbe probabilmente invertito il detto in ‘si vis bellum, para pacem’ (se vuoi la guerra, prepara la pace)”.
- Più probabilmente, invece, il disarmo si configurerebbe come i trattati e le convenzioni per il clima, che limitano le emissioni entro un tetto massimo e regolamentano le attività inquinanti. In tal senso, in una prospettiva di disarmo globale, ogni Stato conserverebbe almeno parte degli arsenali posseduti senza però utilizzarli, proprio in ottica di tutela preventiva che fa leva su meccanismi di paura e disincentivo all’azione bellica: se tutti hanno armi a disposizione e il patto verte solo sul loro inutilizzo e sulle quantità massime da possedere, nessuno minaccia nessuno per salvaguardarsi, perché sa che l’altro potrebbe rispondere con le armi. E, come le scienze politiche sanno bene, la funzione degli Stati, come di qualunque sistema autonomo, è di conservarsi.
Badate bene, essere oggi contro Putin e favorevoli all’esistenza della NATO, secondo la stessa logica di cui sopra, non equivale a incensare la NATO o l’imperialismo americano (questo è a pieno titolo uno strawman argument), ma piuttosto constatare realisticamente che la NATO è l’unica opportunità che abbiamo per difenderci dalla prospettiva di una terza guerra mondiale, l”unico treno che possiamo (o ci tocca, a seconda delle vedute) prendere. Soluzioni diplomatiche in vista, d’altronde, non ce ne sono, se Putin non scende a patti e resta fermo sulle sue condizioni insostenibili.
Se pensiamo di pulirci la coscienza e liquidare il problema con questo slogan, siamo completamente fuori strada. E sicuramente, non siamo sulla strada del pacifismo: “né con Putin, né con la NATO” non vuol dire rendersi imparziali o equidistanti, ma anzi ammiccare all’immobilismo e lasciar vincere la Russia, quando invece Putin va solo condannato (per quanto possibile evitando la guerra, ma senza escludere a priori soluzioni militari in caso di necessità). Parla uno che considera il disarmo una bellissima utopia, che deplora l’imperialismo americano e, nonostante tutto, ritiene la NATO un fondamentale appiglio per superare questo momento drammatico.
In questo caso più che mai, bisogna ragionare in termini di costi opportunità, cioè di quali benefici potenziali perdiamo nel compiere una scelta piuttosto che un’altra e di cosa ci conviene fare rispetto al medio-lungo termine. Qual è il trade off di avere o non avere la NATO come potenziale linea difensiva?
Credo che una persona che decanta la pace a tutti i costi, sempre e ovunque, non sia né veramente pacifista né realista: conoscendo la difficoltà di vivere in un mondo in buona parte governato da megalomani e con arsenali nucleari sotto i nostri piedi, è irrealistico credere di raggiungere una pace perpetua in futuro, anche al netto del multilateralismo. Un pacifista intelligente non è chi vuole la pace senza compromessi o mezzi termini, ma chi la ricerca ben consapevole che a volte dovrà fronteggiare minacce militari pur di difenderla. Un pacifismo intelligente ripudia la guerra come strumento d’offesa, ma non rigetta la guerra come strumento di difesa, proprio per ripristinare e salvaguardare la pace perduta.
Persino un baluardo del pacifismo come Bertrand Russell pervenne a simili conclusioni. Appena prima della Seconda Guerra Mondiale, il logico e matematico sostenne una politica di conciliazione che si spingeva a cercare addirittura un dialogo con i nazisti per evitare un nuovo conflitto. Arrivò persino a redigere una lettera pubblica in cui proponeva un colloquio con Hitler, immaginando di offrirgli una cena con il miglior vino, con l’obiettivo di persuaderlo ad adottare posizioni più ragionevoli e pacifiche, nonostante le leggi razziali e il riarmo in atto. Tuttavia, nel 1940, Russell riconobbe che era impossibile negoziare con il Fuhrer e che non si poteva fare altro che combatterlo, finendo per definire la sua posizione come pacifismo relativo: credeva infatti che la guerra fosse un male, ma che in circostanze eccezionali, come quando Hitler minacciava di occupare l’intera Europa, la guerra stessa rappresentasse il male minore (una posizione analoga a quella che il filosofo avrebbe poi adottato anche nei confronti di Stalin).
Ma lo intuì anche Vegezio che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è quello di essere armati e in grado di difendersi: e non a caso fu lui l’artefice della massima “si vis pacem, para bellum“ (“se vuoi la pace, prepara la guerra“). In questo caso, non c’è una scelta alternativa: se vogliamo la pace, dobbiamo essere pronti a combattere per difenderla, sperando che la situazione rientri senza necessitare dell’intervento militare (parliamo sempre in termini di scenario peggiore, lungi da me fomentare militarismi di sorta).
Chi dice “né con Putin, né con la NATO” è più complice di tutti, e per ragioni perfettamente razionali. Pur scongiurando, giova ripeterlo, ogni possibile deriva mondiale del conflitto e confidando in risoluzioni “pacifiche”, privarci di un patto come la NATO proprio adesso che se ne sente il bisogno equivale a disarmarci, spogliarci e compiere un harakiri collettivo davanti alla psicosi di Putin, non aiutando né le vittime dell’invasione ucraina, né il resto dell’Occidente, ma anzi prostituendolo alle perversioni dell’identitarismo espansionista russo. Non esiste libertà senza la pace, e noi dobbiamo difendere la libertà ad ogni costo. Che, in questo caso, significa ragionare in concreto e non per ideali.
6 comments
Bisogna considerare,nelle analisi geopolitiche ,i rapporti di forza materiali e i “moventi” e progetti che gli attori probabilmente hanno in testa.
E quindi bene sottolineare che è l’elite politico economica americana il pericolo principale per la pace mondiale,sia perché è tutt’ora a capo della principale potenza economica e militare al mondo,sia perché a causa delle politiche “imperiali” finora perseguite, è quella che a più interesse a mantenere una condizione di tensione internazionale,avendo la necessità di sopravvivere come “impero” a vocazione globale,visto che ha strutturato tutta la propria economia sulla base del potere mediatico/finanziario e militare,ed avendo “subappaltato” i propri settori economici “tradizionali” ,a partner(Cina) che si sono rivelati molto meno controllabili del previsto.
Non potendo quindi puntare sulla potenza dell'”economia reale”, gli Usa hanno bisogno anche per mantenere la stabilità interna ,di una situazione che favorisca la transizione al “capitalismo di sorveglianza” post industriale.E per limitare la libertà interna le guerre sono un’ottima pretesto
La Russia al contrario,NON si può per nessun motivo ritenere una minaccia ai paesi dell’Europa. Occidentale e Centrale,con cui avrebbe tutto l’interesse a collaborare(cosa che anche questa gli Stati Uniti vogliono evitare,vedasi i messaggi trapelati di Victoria nuland sull “fottere l’UE”).
Se proprio si vuol fare un paragone con la seconda guerra mondiale, sarebbe come giustificare l’invasione della Polonia da parte dei nazisti (di cui anche l’URSS approfittò)basandosi sul fatto che il governo Polacco era autoritario ed espansionista,perché aveva appena preso un piccolo “,pezzo ” di Cecoslovacchia.
I fatti in se sono reali,ma è ( era) chiaro che la minaccia per la pace mondiale sarebbe venuta dal fanatismo e dalla potenza del terzo reich,non da un arretrato pase dell’est Europa che faceva il bullo
o l’avvoltoio coi vicini più piccoli.
Concentrarsi sull’invasione russa dell’Ucraina come se fosse un chissà quale pericolo è eccessivo e fuorviante, e voler inviare ad i o sostegno agli ucraini significa solo voler cinicamnte fare incancrenire ( strategia che Hilary Clinton ha già suggerito di perseguire)un conflittoper danneggiare e logorare la Russia;(che prevedibilmente non desisterà)sperando che qualche incidenti o crimine contro i civili possa agevolare la demonzzaziane occidentale,che per quanto sia ipocrita e menzognera ,di una qualche “pezza d’appoggio( leggasi cadavere di civili d’innocenti)ha pur bisogno per non cadere nel ridicolo.
Chi sostiene le ragioni della pace deve ,a mio avviso ,sperare in una rapida vittoria russa che consenta di porre fine ai combattimenti,di sradicare i neofascisti più estremisti (purtroppo ai “moderati”,vista anche l’ideologia conservatrice di Putin, non credo verrà fatto nulla, patto che accettino il protettorato russo ,un’po come avviene in Cecenia con gli islamisti “moderati”,alla Kadyrov) e di fare tornar la popolazione civile (in gran parte disaffezionata alla politica) in uno stato di minima tranquillità.
Parlando dell’Italia e del suo rapporto con la NATO credo che invece sia prioritario uscire da un’alleanza da cui non traiamo nessun beneficio e che viceversa è fonte di innumerevoli minacce alla stabilità democratica e continue ingerenze negli affari interni.
Ah ,per quanto riguarda la cleptocrazia russa,non vedo sostanziali differenze con le democrature occidentali,compresa quella italiana, e l’astio mi sembra tanto simile alle accuse che Eurasia,Oceania ed Estasia si facevano reciprocamente in 1984,come modo per tenere buoni i “prolet”
Rispondo rapidamente precisando che questo non è, né intende essere, un articolo di geopolitica, ma un articolo d’opinione di epistemologia sociale. Infatti, fatte le dovute precisazioni storiche, il testo devia presto verso una trattazione più ermeneutica e filosofica.
In secondo luogo, non ho sostenuto le tesi esposte nel tuo commento, ma ritengo che la narrativa di Putin sia abbastanza pericolosa da ritenersi una minaccia come accadeva per il Terzo Reich, con la differenza che, mentre Hitler portava avanti un vero e proprio storytelling sistematico, Putin si limita a disturbare e reclamare territori per un fatto storico, imperialistico e identitario, continuando in questi giorni ad ammiccare ai Paesi baltici (l’ultima è di oggi), allo storico spauracchio della Finlandia e, ovviamente, all’Ucraina, la zona cuscinetto che gli manca per riconnettersi alla Transnistria e ricostituire uno stato unitario.
Infine, ricondurre ancora una volta il pericolo all’imperialismo americano sarebbe sensato se non ci fosse una de facto guerra in atto: per quanto la politica estera americana sia deprecabile e lungi da me difendere certe porcherie, alla prova dei fatti è stata la debole Russia a scatenare il caos, senza mostrare l’intenzione di arrendersi, ma anzi continuando a istigare e minacciare. Mi sembra che i fatti, almeno per questo preciso evento, smentiscano la retorica anti-atlantista che, se in circostanze pacifiche è perfettamente legittima, in questo caso è semplicemente fuorviante e sposta il focus dal reale problema: arginare il pericolo russo.
Putin ha “dichiarato guerra”più ad un modo di concepire le relazioni internazionali (americano centrico,con un paese eccezionale che ha il destino di guidare il mondo),che ad altro.
Si invertono le conseguenze con le cause:prima ci sono stati decenni di espansionismo statunitens, e decenni in cui un capo di stato poteva essere “”perseguito”da un tribunale dei vincitori che avevano aggredito per primi(caso serbia,) in violazione della carta delle Nazioni Unite,in cui capi di stato venivano ammazzati da sicari fomentati armati dai paesi Nato(caso Libia),in cui capi di paesi regolarmente eletti potevano trovarsi una taglia sulla testa(Venezuela),e ,poi ,solo adesso,la Russia ha “reagito”.aggredendo questo meccanismo e cercando di imporre ,con minacce,il rispetto dei paesi sotto ,attacco occidentale,per poi dimostrare di avere la forsa di comportarsi analogamente,minando l’unilateralismo alla base della politica estera statunitense.Queeto è avvenuto dopo anni di compromessi e ancora prima tentativi integrazione nell’occidente.
Il discorso di analisi sociale manca a mio avviso di contestualizzazione: per esempio no n si ricorda,chesso, che sembrava ” eccessivo”,”di sinistra” denunciare i crimini in Iraq( quindi ,le violenze dell’aggressore contro ‘aggredito) mentre ora sembra “eccessivo””ideologico” contestualizzare l’aggressione russa( quindi” difendere ” l’aggressore),l’eclatante doppiopesismo mediatico ,a seconda dichi è l’aggressore,ha a mio avviso un ruolo fondamentale,e qui è stato sottovalutato.
“Chi dice “né con Putin, né con la NATO” è più complice di tutti, e per ragioni perfettamente razionali. Pur scongiurando, giova ripeterlo, ogni possibile deriva mondiale del conflitto e confidando in risoluzioni “pacifiche”, privarci di un patto come la NATO proprio adesso che se ne sente il bisogno equivale a disarmarci, spogliarci e compiere un harakiri collettivo davanti alla psicosi di Putin, non aiutando né le vittime dell’invasione ucraina, né il resto dell’Occidente, ma anzi prostituendolo alle perversioni dell’identitarismo espansionista russo. Non esiste libertà senza la pace, e noi dobbiamo difendere la libertà ad ogni costo. Che, in questo caso, significa ragionare in concreto e non per ideali.”
No anche qui si avete effetto con causa:è la Nato che ha causatoquesta situazione,essa e la causa.
Putin non è psicotico,forze lo era in parte Bush( in realtà aveva piani ben precisi).
La provocazione della russi sono state un modo scelto dalla nato(in realtà dagli Usa ed in misura minore Regno Unito) ,per giustificare la propria esistenza(controllo sul continente).
La Nato ha quindi provocato questa crisi ora perché i rapporti Ue-Usa-Uk,rischiavano di allentarsi( controversie sui vaccini,apertura dei gasdottoNord Stream 2),e l’Ue poteva avvicinarsi alla Russia.
Noi cittadini europei non dobbiamo quindi cadere nel tranello,e capire invece che gli Usa,se non ci possono avere come alleati,ci vorranno come ostaggi.E quindi proprio ora il momento di sciogliere la Nato e avviare trattative Ue-Russia,in modo da evitare che Putin si senta costretto( è ovvio che non era un suo piano premeditato)ad attaccare i paesi baltici ( gli unici seriamente minacciati,anche a causa dell’isteria anti Russia dei loro governi)e trovare un modus vivendi.Dobbiamo peròtenere conto che ciò è dannoso per gli interessi geopolitici americani,che quindi tenteranno di sabotare il dialogo;come hanno già fatto con questa crisi)
Sì, va bene caro, adesso prendi una tisana e rilassati, prima che la NATO ti minacci a tal punto da farti fare la prima mossa. Io non posso stare appresso ai tuoi deliri revisionisti e complottisti.
Ps. Non hai evdentemente capito una cosa che nell’articolo ho ripetuto diverse volte: non si negano, anzi si riaffermano, i crimini dell’interventismo statunitense (e comunque interventi USA =/= NATO), né si negano i due interventi NATO (di cui uno come supporto umanitario e l’altro un vero e proprio intervento bellico). Ma, aldilà delle cause scatenanti di questo conflitto (che non tratto nel mio articolo perché non era questo il mio obiettivo, molti altri più esperti di me ne stanno parlando), il nostro obiettivo è scongiurare una guerra su larga scala ed è su questo punto che mi soffermo. La tesi è semplicemente che l’applicazione di quello slogan farebbe vincere Putin e chissà che altre ripercussioni avrebbe. Noi non vogliamo questo, poi della legittimità della NATO ne riparleremo dopo e in altre sedi. Io sono un pacifista e non amo la NATO o la politica estera USA, ma per ora la prima me la terrei bella stretta (o almeno un qualche tipo di alleanza difensiva. In questo universo ci becchiamo la NATO).
“Sì, va bene caro, adesso prendi una tisana e rilassati, prima che la NATO ti minacci a tal punto da farti fare la prima mossa. Io non posso stare appresso ai tuoi deliri revisionisti e complottisti.”
Non sono deliri ma analisi geopolitiche serie e non di parte.Poi,se non vuoi trattare di geopolitica,ed io ho scritto un commento sulla geopolitica,non vedo perché dovresti scaldarti tanto.
L’atteggiamento saccente di superiorità non sostituisce la critica fondata.
Ho parlato delle cause e tu non vuoi trattare le cause ,va bene, se ti senti attaccato sbagli ,dov’è il conflitto?ho solo aggiunto un punto di vista.
Se invecie volevi trattarne ,ti ho detto che la penso diversamente motivando la mia tesi.Mica ti ho offeso personalmente.
Se Putin vince la guerra finisce(con la Russia vincitrice).Non c’è motivo di sostenere il pericolo di un conflitto .A mio avviso .Non condividi e non vuoi ,rispondere?Pace(spero arrivi anche in ucraina)