Il 24 febbraio 2022 la Russia attaccava l’Ucraina, “dichiarando guerra” all’Occidente: il bilancio della guerra a un anno dall’invasione.
Era esattamente un anno fa che la Russia lanciava la più grande invasione militare dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, lasciando attoniti l’Europa, l’Occidente e il mondo: era appena iniziata l‘invasione su larga scala dell’Ucraina, o, per meglio dire, quella che Putin cominciava a definire l'”operazione militare speciale“. Molto probabilmente il piano originale prevedeva l’annessione della parte sud-orientale del paese e la successiva instaurazione di un governo amico presumibilmente guidato da Viktor Medvedchuk, potente oligarca legato al Cremlino, o da Viktor Yanukovich, l’ex presidente filo-russo deposto dopo l’Euromaidan. Ma le cose, come sappiamo, sarebbero presto degenerate e l’Ucraina avrebbe dovuto difendere la propria esistenza con l’impiego di forze che non sapeva di possedere.
Antefatti
Fin dalla fine del 2021 i servizi segreti di USA e Gran Bretagna avevano iniziato a notare movimenti sempre più consistenti di truppe russe al confine dell’Ucraina o nelle regioni di confine dell’ex-repubblica sovietica: enormi quantità ne erano state segnalate nelle regioni di Voronezh, Kursk, Belgorod, Bryansk, Rostov sul Don e Krasnodar, senza contare il territorio occupato della Crimea e la Bielorussia (guidata da Lukhashenko, l’unico alleato di ferro di Putin in Europa) per quelle che fino a quel momento venivano definite “solo esercitazioni” dal Cremlino.
Dopo una fallita campagna negoziale condotta principalmente dal presidente francese Macron e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, e dopo aver convocato il Consiglio di sicurezza, il 21 febbraio Putin annunciò che avrebbe riconosciuto indipendenti le repubbliche separatiste di Donestk e di Luhansk. Salvo poi affermare, in successivo discorso alla nazione, che l’Ucraina altro non è che uno stato artificiale creato da Lenin, preludio agli avvenimenti che sarebbero occorsi di lì a poco.
Situazione sul campo
L’invasione vera e propria inizia alle 4 del mattino del 24 febbraio 2022. Con una grossa manovra a tenaglia, la Russia lancia il suo attacco su larga scala da tre direzioni: nord (via Bielorussia e oblasti di Voronez e Bryansk), sud (via Crimea occupata) ed est (via Rostov sul Don e Belgorod) con l’obiettivo di ottenere una vittoria lampo che comprenda anche l’assassinio del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj. Tuttavia, a cominciare dai primi combattimenti attorno alla zona della capitale, si capisce subito che qualcosa è andata storta e il piano non sta funzionando come sperato.
La Russia non riesce a decapitare la leadership ucraina, la popolazione si rafforza e dà il via a una lunga resistenza. Bloccata a nord, la Russia ottiene qualche successo sul fronte meridionale occupando Kherson e parte dell’oblast di Zaporižžja, mentre il fronte più caldo è da subito la cittadina di Mariupol, che viene costantemente bombardata e assediata dalle truppe russe e dai miliziani separatisti del Donbass. A marzo c’è una prima svolta quando gli ucraini cacciano i russi dal fronte nord e vengono liberati gli oblast di Kyiv, Cherniiv e Sumy, decretando il fallimento dell’invasione su larga scala.
A partire da aprile inizia la girandola di cambi alla testa dell’esercito russo: in questa fase il fronte dove si spostano i combattimenti è quello del Donbass, territorio che già dal 2014 era stato occupato dalle forze separatiste. La Russia riesce a occupare parte dell’oblast di Donestk e a ottenere qualche successo in quello di Luhansk: dopo intensi combattimenti, alla fine di maggio i russi occupano Mariupol mentre a inizio giugno inizia la battaglia per Severodonetsk e Lysychansk, che vengono prese a inizio luglio.
Iniziano ad arrivare in maniera sempre più decisa armi dall’Occidente, che permettono all’Ucraina di entrare in una fase di stallo e poi di passare al contrattacco. Alla fine dell’estate viene liberata quasi tutta la zona di Kharkhiv, principale porta d’accesso per la parte orientale del paese, segnando così il totale fallimento dei russi e la grande controffensiva dell’esericito ucraino: è il momento più difficile per Putin, che decide di annunciare la mobilitazione parziale (richiamando al fronte 300.000 riservisti) e di indurre un referendum farsa con lo scopo di annettere gli oblasti di Donetsk, Luhnask, Kherson e Zaporižžja, con esito ovviamente positivo. Nonostante questo, la controffensiva ucraina permette la liberazione di Lyman nel Dontesk, mentre a sud il 10 novembre arriva la notizia della liberazione della città di Kherson al termine di un’azione militare da manuale.
Nel momento in cui scrivo sono in corso combattimenti lungo la cittadina di Bakhmut, che l’esercito russo sta tentando di conquistare con l’aiuto del gruppo Wagner, la compagna di mercenari che fa capo al Cremlino. Attualmente non si registrano grossi avanzamenti da parte dei due eserciti, ma si combatte a costi umani altissimi metro per metro attorno a Bakhmut, con la Wagner che ha rivendicato il controllo della cittadina di Soledar e della sua miniera di sale. Verosimilmente, la primavera e le nuove forniture di armi promesse dall’Occidente all’Ucraina potrebbero risultare decisive.
Crimini di guerra
Nel corso del anno di guerra la Federazione Russa si è macchiata di gravissimi crimini contro la popolazione civile nelle zone occupate: a partire da marzo quando gli scontri più violenti erano presenti nella città di Mariupol che sono culminati con la distruzione del teatro cittadino e con il bombardamento dell’ospedale pediatrico. Dopo la liberazione della zona vicina alla capitale sono emerse le brutalità commesse dai russi a Irpin Borodjanka e, soprattutto, a Buča, cittadina alle porte di Kyiv divenuta il simbolo della brutalità delle truppe di Mosca: fosse comuni ed esecuzioni sommarie hanno riportato il mondo in un tempo che pensavamo superato e dimenticato.
Venerdì 8 aprile 2022 un missile Tocka-u di fabbricazione russa ha colpito la stazione della città di Kramatorsk, causando 50 morti tra i civili che stavano attendendo il treno per poter fuggire. Il 30 giugno, invece, ad essere colpito è stato il centro commerciale di Kremenčuk, cittadina alle porte di Poltava che ha riportato un altissimo numero di vittime tra la popolazione civile. Con la liberazione di Izjium sono state scoperte circa 447 fosse comuni di civili, mentre, dopo la nomina del generale Surovikin, la Russia ha aumentato gli attacchi contro le infrastrutture strategiche ucraine. Il 10 ottobre, dopo l’attacco al ponte di Kerc, tutte le città ucraine sono state colpite da una pioggia di droni e missili che non hanno risparmiato nessuno: la popolazione civile è stata persino costretta a sopportare numerosi blackout e interruzioni della corrente elettrica e si è segnalato il rapimento di circa 6.000 bambini dalle zone che la Russia aveva occupato dall’inizio dell’invasione.
Sanzioni alla Russia
Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è stata colpita da numerose sanzioni che avevano come obiettivo quello di strangolare la sua economia e di limitare la sua capacità militare. Una prima forma di sanzione è stata l’esclusione della Russia dal sistema economico SWIFT, mentre a partire da febbraio Unione Europea, Stati Uniti e paesi come Gran Bretagna e Giappone hanno imposto numerosi pacchetti di sanzioni. Pacchetti imposti sì per cercare di limitare l’economia nazionale ma anche rivolte a quelle entità (siano esse persone fisiche o mezzi di propaganda) che diffondono la narrativa del Cremlino sul conflitto: sono stati sanzionati infatti sia i 415 membri della Duma che hanno votato per il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche separatiste, sia i propagandisti come Solovyov o Margarita Simonian, responsabili dei canali Russia Today e Russia-1, sia il più famoso degli ideologi di Putin, Alexander Dugin.
Per quanto riguarda poi le sanzioni economiche, le più importanti sono quelle che hanno colpito il petrolio e il gas russi, dai quali l’Unione Europea ha saputo rendersi indipendente grazie anche all’enorme lavoro dell’ex primo ministro italiano Mario Draghi. Tuttavia, sebbene le sanzioni siano state un ottimo strumento per fiaccare la Russia, non tutti i paesi hanno deciso di applicarle, come ad esempio Serbia e Turchia.
Fornitura di armi
Dopo aver rifiutato la proposta di creare una no-fly zone con i caccia della NATO (che avrebbe significato Terza Guerra Mondiale), i paesi occidentali e dell’alleanza atlantica hanno iniziato a fornire un sempre più consistente numero di armi per permettere all’aggredito di resistere, di poter cacciare gli invasori dal suo territorio e infine di potersi porre in posizione di forza al tavolo negoziale.
In questo senso, all’inizio del conflitto un ruolo decisivo lo hanno giocato i droni turchi Bayaktar, che hanno permesso di poter distruggere la numerosa colonna di tank russi che si preparava all’assalto della capitale. Successivamente un enorme contributo in termini di armamenti è stato dato dagli Stati Uniti: al 5 gennaio 2023 hanno speso 3 miliardi di dollari in aiuti militari e il primo mezzo ad aver avuto una certa efficacia sul campo sono stati i cannoni semimoventi Javelin, che hanno permesso di liberare numerose zone del paese nelle prime fasi del conflitto. A partire dall’aprile 2022 è iniziata una sempre maggiore collaborazione tra gli alleati NATO decisi a sostenere Kyiv.
Il 26 aprile si è tenuto il primo vertice di questo tipo nella base militare americana di Ramstein in Germania, un incontro al quale hanno partecipato sia i paesi NATO sia alcuni paesi terzi come Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Giordania, Tunisia, Liberia e Marocco:
- durante i primi incontri si è deciso di fornire all’Ucraina sistemi di difesa anti-nave come i missili Hapoorn in dotazione ad alcuni paesi come la Danimarca;
- a partire da maggio, gli americani hanno fornito i sistemi missilistici a media-gittata HIMARS, che hanno svolto una funzione considerevole nella controffensiva di settembre;
- la Francia e la Gran Bretagna hanno poi fornito cannoni Caesar.
Un altro punto di cui si è discusso è stata la fornitura di avanzati sistemi di difesa anti-aerea, specie dopo gli attacchi subito dagli ucraini alle loro città e alle loro strutture elettriche: si è passati dal sistema di difesa NASMAS, di fabbricazione statunitense ma fornito da Germania e Spagna, al sistema SAMP-T fornito da Italia e Francia, che ha permesso di aumentare l’efficacia della contraerea ucraina. A dicembre 2022 un ulteriore salto di qualità è stato fatto con la fornitura del sistema Patriot.
Nel gennaio di quest’anno si è aperto invece dibattito sull’invio di carri armati Leopard-2 in dotazione alla Germania e altre forze NATO. Dopo un’iniziale reticenza tedesca alla fine grazie alla mediazione USA si è arrivati alla creazione della cosiddetta “coalizione dei carri armati” composta da Olanda, Finlandia, Danimarca e Polonia. Oltre alla consegna dei tank americani Abrahms e Bradley, anche il Marocco ha contribuito con la fornitura di venti T-72 di fabbricazione sovietica, carri sicuramente più familiari ai soldati ucraini.
Recentemente, nella coalizione a supporto dell’Ucraina si è discusso dell’invio di caccia F-16 con la Gran Bretagna, che si è dimostrata più possibilista di altri paesi, mentre sembrerebbe esserci ancora luce rossa per l’invio dei missili a lungo raggio ATACMS (in grado di colpire fino a 300 km di distanza), il tutto per timore di una reazione russa che lo percepirebbe come scontro diretto.
Proprio la Russia, ritrovandosi praticamente isolata sul piano internazionale e dopo essersi trovata quasi subito con poche munizioni, si è rivolta ai pochi alleati che le sono rimasti: l’Iran e la Corea del Nord. La repubblica islamica ha fornito ai russi i droni da combattimento Shahed-131 e 136, utilizzati soprattutto per colpire i centri urbani e le infrastrutture ucraine, mentre la Corea del Nord ha offerto munizioni ed equipaggiamento. Un ulteriore aiuto è arrivato dalla Bielorussia, che ha offerto riparazioni e munizioni.
Possibile allargamento del conflitto
Uno dei principali timori della comunità internazionale ha riguardato la possibilità che la guerra potesse allargarsi ad altri paesi: sotto la lente di ingrandimento sono finiti, per ragioni differenti, tre paesi che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica: la Bielorussia, la Moldavia e la Georgia.
La Bielorussia di Lukhashenko è stato finora il più importante alleato di Putin, al quale ha concesso non solo il suo territorio per poter ammassare truppe prima del 24 febbraio e successivamente far partire l’attacco da nord, ma anche per condurre attacchi missilistici, offrendo supporto logistico e di addestramento condotto ovviamente assieme ai soldati di Minsk. Sebbene un ingresso del paese in guerra venga dato come improbabile a causa della sua debolezza interna, più volte alcuni analisti militari hanno ritenuto plausibile un nuovo attacco russo da nord per riprendere il controllo della capitale ucraina con l’ausilio dei soldati bielorussi.
In Moldavia e in Georgia, invece, sono presenti entità separatiste sostenute da Mosca, che ha piazzato anche un contingente di soldati. La situazione che desta più preoccupazione riguarda la Moldavia, dove si trova la regione separatista della Transnistria: nell’aprile 2022 una serie di esplosioni sospette ha colpito edifici sensibili nell’autoproclamata capitale Tiraspol, seguendo le parole del vicecomandante del distretto meridionale Rustam Minnenkayev, che aveva parlato della possibilità di unire la fascia costiera dell’Ucraina con la regione separatista, in quanto ci sono prove di minoranze russofone oppresse. Falsità, ovviamente, che hanno però fatto alzare la tensione, salita negli ultimi giorni dopo che la presidente Maia Sandu e il primo ministro Dorin Recean hanno confermato l’esistenza di un piano della Russia per destabilizzare il paese e portare in loco la guerra: una situazione in evoluzione che seguiremo, anche se nell’immediato non sembra previsto alcun attacco.
In Georgia invece esiste un conflitto congelato dal 2008 che ha visto la creazione delle repubbliche separatiste del Abcasia e dell’Ossezia del Sud, con una situazione che non è mai stata risolta definitivamente: dopo che Putin ha modificato completamente la sua dottrina in politica estera, si teme che anche la Georgia possa essere coinvolta in una nuova guerra, dopo che il 17 luglio 2022 il presidente dell’autoproclamata repubblica dell’Ossezia del Sud aveva affermato di voler indire un referendum per unirsi alla Russia.
Tuttavia sono notevolmente aumentati i timori di un possibile scontro tra Russia e NATO: dopo le numerose provocazioni russe, come la violazione delle acque territoriali o degli spazi aerei nel Mar Baltico, l’incidente più grave è avvenuto il 15 novembre 2022, quando frammenti di missili russi sono caduti nel villaggio polacco di Przewodów al confine con l’Ucraina provocando due vittime. Il sangue freddo degli alleati ha presto riportato la calma, ma è indubbio che la tensione lungo il confine NATO sia molto alta. La possibilità di un allargamento del conflitto ha infine portato nazioni storicamente neutrali come Finlandia e Svezia a chiedere di far parte dell’Alleanza Atlantica.
Rifugiati
Fin dalle prime ore dell’invasione numerose persone hanno valicato le frontiere dell’Ucraina per cercare rifugio e accoglienza nei paesi confinanti: secondo le stime raccolte da parte delle organizzazioni che si occupano di rifugiati, come l’UNHCR o l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, circa 7,7 milioni di persone hanno lasciato il paese. Il 3 marzo l’Unione Europea ha sospeso la richiesta di visti per i cittadini che fuggivano dal paese, mentre altri paesi appartenenti all’area Schenghen hanno dichiarato di fare lo stesso.
Ad oggi gli stati più coinvolti sono i paesi confinanti come: Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Moldavia. La Polonia ha accolto finora il più alto numero di rifugiati, circa 1,4 milioni di persone, mentre in rapporto alla popolazione la Moldavia è detiene il record: su una popolazione di 3,5 milioni di abitanti, nella piccola repubblica al confine tra Romania e Ucraina sono arrivati 700.000 rifugiati che hanno approfittato del paese principalmente come punto di transito e diversi ucraini hanno cercato di mettersi in conttatto con i loro familiari che vivono in altri paesi europei per cercare di raggiungerli. L’eccezionalità dell’evento ha portato il paese più povero d’Europa a dover contare sull’assistenza della Croce Rossa oltre che delle associazioni private.
Diplomazia
Più complesso in questo anno di guerra è stato il ruolo giocato dalla diplomazia per cercare di risolvere il conflitto, in quanto più volte la parte russa ha dimostrato di non voler cercare veri negoziati di pace. Alcuni round negoziali si sono tenuti a Gomel, in Bielorussia, pochi giorni dopo l’invasione, con l’obiettivo di creare le condizioni per uno scambio di prigionieri, dei corridoi umanitari per i civili e la possibilità per quest’ultimi di ricevere assistenza. Nonostante questo, in molti teatri di guerra come Mariupol è stato impossibile completare l’evacuazione correttamente a causa del comportamento dei russi che aprivano il fuoco sui corridoi umanitari.
A fungere da mediatore è stato, nell’assurdità del tutto, il presidente turco Erdoğan, che è riuscito a ottenere finora alcuni successi da questo punto di vista: dopo un fallito incontro ad Antalya tra i ministri degli esteri di Russia e Ucraina Lavrov e Kuleba, grazie alla sua mediazione e a quella delle Nazioni Unite è stato possibile raggiungere il cosiddetto accordo sul grano nel luglio 2022, che ha permesso l’esportazione di numerose scorte di grano rimaste nei magazzini e consegnate in diverse località del Medio Oriente e dell’Africa più colpite da questa crisi. Altro successo diplomatico è stato quello raggiunto dalla Turchia e dall’Arabia Saudita sulla liberazione di 215 membri del Reggimento Azov, che per giorni erano rimasti asserragliati a combattere dentro l’acciaieria Azovstal di Mariupol, in cambio dell’oligarca filo-russo Medvedchuk.
Più difficile, invece, è stato il ruolo dell’ONU (dove la Russia ha il diritto di veto, essendo membro permanente del Consiglio di Sicurezza) e dell’AIEA dove si sono registrate non poche difficoltà per il suo direttore Rafael Grossi nel cercare di smilitarizzare la centrale nucleare di Energodar vicino Zaporižžja, trasformata dalle truppe russe in un arsenale militare. Come se non bastasse, un’ulteriore conferma del disprezzo che la Russia ha per le Nazioni Unite è arrivata durante la visita di Guterres, il segretario generale dell’ONU, a Kyiv, quando Putin ha ordinato un attacco missilistico nel centro della capitale ucraina.
Nonostante ciò, e al netto dell’ostruzionismo di 5 paesi che hanno sempre sostenuto Mosca (Bielorussia, Corea del Nord, Siria, Eritrea e Nicaragua), le risoluzioni ONU di condanna alla Russia hanno avuto un voto quasi unanime e in questo anno di invasione e guerra a Kyiv si sono presentati numerosi capi di stato internazionali per portare sostegno e aiuto al paese aggredito ingiustamente.
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