Elly Schlein conquista il PD e gli ricorda come essere di sinistra: ecco i motivi liberali per cui tutti dovremmo essere contenti di questa vittoria.
Nei sondaggi degli scorsi giorni era data seconda da praticamente chiunque, ma nel segreto dell’urna ha scalzato il suo avversario Stefano Bonaccini in occasione del Congresso del 2023: Elly Schlein alla fine ce l’ha fatta per davvero e, in un ribaltamento surreale delle aspettative, ha vinto le primarie del Partito Democratico.
Ora, si direbbe che per i riformisti, liberali, moderati ecc., questa sia l’inatteso presagio di una rinascita della sinistra, o del trionfo di una sinistra radicale e woke. Ma vediamola in prospettiva: io stesso mi ritengo un liberale votato al pragmatismo, alla politica di senso e alla razionalità, decisamente distante e contrario alla visione del mondo di una come Schlein, persino sui punti in cui si converge negli esiti ma non nei motivi alla base (come i diritti civili, le droghe e le libertà sessuali). Eppure lasciate che vi spieghi, forse con toni un po’ banalotti e filosofici, perché ritengo che tutti dovrebbero essere felici per la vittoria di Schlein. Anche noi liberali. Forse soprattutto.
Spoiler: tra i motivi non ‘è che la Schlein è una donna o la prima leader donna del PD, questa retorica la lasciamo ad altri. Qui contano il valore, la capacità, le competenze e la visione. E Schlein le ha.
La sinistra riparte da Elly?

Un errore che molti liberali hanno commesso in questi giorni, dando una personale preferenza per Bonaccini come meno peggio, dovendo proprio andare incontro all’ennesimo rinnovamento del centro-sinistra, è stato credere ingenuamente che il PD stesse parlando anche a loro e sperare nel candidato che ritenevano più moderato.
Che il PD voglia parlare a più persone possibili non lo metto in dubbio, ma un conto è predicare, un altro è razzolare. E per i liberali non è questo il modo giusto di approcciarsi alle primarie del PD, perché le loro preferenze reali non si trovano tra le correnti di un partito di quell’area, ma sono (o dovrebbero essere, a rigor di logica) proprio su un’altra sponda politica, che in Italia è rappresentata – purtroppo o per fortuna, fate vobis – da Terzo Polo e dintorni.
Guardare con speranza, ancora nel 2023, a Forza Italia o al PD (per non parlare dei ridicoli liberaloidi che votano Lega o FdI) vuol dire mal riporre la propria fiducia immotivatamente o in mala fede e prediligerle solo perché sono forze politiche più vecchie e grandi, non capendo che di liberale queste realtà hanno ben poco.
Proprio in virtù di questo invito a separare le forze politiche liberali di riferimento da quelle di vedute differenti, un primo motivo per essere contenti della vittoria di Schlein è che finalmente il PD ha l’occasione di avere una leadership veramente di sinistra. Certo, forse una sinistra radicale realmente ecologista e femminista che strizza l’occhio più ai vari Sinistra Italiana, Possibile, Verdi, Volt e Articolo 1 che ai socialiberali e ai riformisti, ma che, pur avendo l’appoggio solo di una parte delle tante correnti (quelle socialdemocratiche e cristiano-sociali principalmente), può dettare la linea, dar voce alla sinistra più giovane, fresca e figlia dei tempi e provare a costituire per davvero quel grande partito di sinistra che in Italia manca da molto, checché ne dicano i media.

Sappiamo tutti come, da sinistra, nessuno considerasse il PD un autentico punto di riferimento e i più lo scegliessero solo come “meno peggio” o “voto utile”, pur di non “buttare un voto” sui partitini che veramente rispecchiavano le loro idee ma non avevano la forza di arrivare nel Parlamento da soli.
A parte chi lo ha sempre ritenuto un partito “neolibbberista” (e vabbé, se non si studia è normale dire cazzate, solitamente), il PD in origine doveva fungere da ancora per i partiti minori, trainando le anime della sinistra verso la maggioranza elettorale, ma finiva copiosamente per risultare insoddisfacente o indigesto a qualunque elettore di sinistra: d’altronde, nato nel 2007, ha passato metà della sua esistenza sotto variazioni sul tema del renzismo (Martina, Gentiloni e Bonaccini stesso, all’inizio), che tutto è tranne che una politica di sinistra (e quindi adeguata al “socialdemocratico” PD).
Se la sinistra veltroniana era una transizione da quella più novecentesca del PCI/PDS a quella moderna new left queer e catchy, ora addirittura passiamo da un PD gerontocratico – che appare sovente popolato da dinosauri che fanno ostruzionismo interno e in contrasto con gli stessi valori che dovrebbero votare e sostenere in Parlamento – a un progressismo moderno e spinto, con tutti i suoi problemi simbolici e narrativi, ma nuovo, al passo coi tempi e aggiornato. Nel vecchio PD “né carne, né pesce” mezzo renziano, mezzo centrista, mezzo socialista, diffidavi sia come elettore di sinistra che come alleato di area liberale, e non c’era una vera identità continua e coerente nel tempo a cui appartenere politicamente. Con Schlein al timone, probabilmente, gli elettori di sinistra non potranno più lamentarsi.
Democrazia e teoria del mercato politico
Nella sua Teoria economica della democrazia, l’economista di scuola public choice Anthony Downs ridefinisce la democrazia come un vero e proprio mercato politico, un meccanismo dell’arena pubblica del tutto analogo a quello della produzione e dello scambio economico, ma proiettato sulla partecipazione civile, sul dibattito pubblico, sul voto e sulla scelta elettorale come mezzi per far incontrare la domanda e l’offerta di possibili corsi dell’azione governativa, proposte politiche e visioni del mondo.
In anni in cui la sensibilità delle giovani generazioni si è rapidamente spostata verso lidi di sinistra e talvolta sinistri, la mancanza di un’offerta politica realmente radicale, ambientalista e progressista, unitamente allo scarso peso elettorale dei partitini scissionisti del PD, è pesata talmente tanto da alimentare la nascita di offerte alternative, storte, populiste e furbesche come il Movimento 5 Stelle, che, non appena ha potuto, ha riempito il vuoto lasciato da un PD incapace di cogliere la vera domanda per cui fu immaginato.

Negli stessi anni in cui Gentiloni diceva a Piazza Pulita che il PD doveva tornare al centro, il Pentastellati (la forza più massimalista degli ultimi decenni, tra i partiti grossi) stipulavano un contratto di governo con la Lega (quel partito di destra conservatrice, qualunquista e pigliatutto che nel 2018 si era accaparrato molti voti di ex-comunisti). Sempre più elettori di sinistra che reclamavano solo un po’ di rappresentanza finirono nella tana del Biancogrillo, persuasi ingannevolmente che i 5S fossero la soluzione.
Se a destra Forza Italia non è considerabile un punto di riferimento per i liberali conservatori, dal momento che all’interno è più un’accozzaglia confusa di democristiani, popolari, conservatori sociali e qualche liberale vecchio stampo, e se la Lega è appunto un soggetto dalle idee troppo mutevoli, elastiche e fluide, che si lascia trascinare di volta in volta dalla corrente populista senza proporre veramente una prospettiva, Fratelli d’Italia – piaccia o meno – ha dalla sua una forte coerenza ideologica e una precisa identità politica che lo rendono un partito seriamente appetibile per un elettore di destra sociale (questo al netto degli incoerenti dietrofront e cambi di idea del governo).
A sinistra, per contrappasso, il PD dovrebbe diventare davvero quel grande partito di sinistra che controbilanci la destra, faccia vera opposizione e fornisca una visione nitida del sociale: rispetto al programma più moscio di Bonaccini, con Schlein e le sue idee forti (che, personalmente, in buona parte non condivido e ritengo dannose e inefficaci), il Partito Democratico può risvegliarsi dal torpore che lo ha atrofizzato dopo Renzi e riportare in auge qualche idea di sinistra, come dovrebbe fare da sempre. Per quanto sia convinto che questo PD tornerà a flirtare coi 5S, ciò gli permetterebbe comunque di recuperare il terreno occupato da loro negli ultimi anni, in cui hanno fagocitato buona parte della sinistra a causa della debolezza politica dei precedenti leader del PD: se devo scegliere tra una sinistra a trazione 5S e una a trazione PD, da liberale non ho dubbi sui due mali.
Vedere finalmente un PD allineato programmaticamente e ideologicamente alla sinistra socialdemocratica e radicale è antropologicamente affascinante, almeno quanto sono affascinanti (per non dire drammaticamente ironiche) alcune uscite di iscritti o militanti dopo i risultati definitivi: è di oggi la notizia che Giuseppe Fioroni, ex dirigente della Margherita e tra i fondatori del PD, ha lasciato il partito motivando che “È diventato un partito di sinistra” e ha subito lanciato Tempi nuovi, una piattaforma politica per raccogliere i cattolici fuoriusciti dal PD. Si prevedono, in ogni caso, molti riassestamenti: da esodi di iscritti e membri del partito non più in sintonia con il suo schieramento, agli elettori del “naso turato” che, capendo l’andazzo, non avranno più dubbi sul votare o meno un PD così radicalizzato. Flussi di elettori e iscritti transiteranno ed esploreranno mete nuove, redistribuendo non solo l’offerta politica, ma anche l’allocazione ideologica.
Provai personalmente la stessa soddisfazione intellettuale di adesso anche quando nacquero Azione e Italia Viva, dopo anni che ritenevo la prevalenza e il rumore dei renziani e dei libdem nel PD più come un inquinamento politico che ostacolava il posizionamento a sinistra del partito che come l’opportunità di un melting pot. Non sono mai stato renziano, ma tra PD e IV sicuramente sono più vicino a quest’ultimo, eppure non mi piaceva questa commistione impropria che rendeva il partito una cornucopia ideologica non richiesta. E ho provato pari insoddisfazione quando alle politiche 2022 +Europa (e inizialmente Azione) si è alleato col PD, quando la collocazione naturale dei radicali è palesemente un polo distinto, riformista e liberale.
Posto che la politica deve offrire visioni del mondo e non può essere completamente post-ideologica, avere una concreta diversificazione nell’offerta elettorale, con partiti che esprimono posizioni chiare e non ammiccano a ideologie diverse dal loro target, non farebbe che ridurre le esternalità negative della partecipazione politica, giovando alla tenuta della democrazia, alla consapevolezza dei cittadini, al voto informato, alla libertà di scelta e a una sana concorrenza nel mercato elettorale. Citando gli auguri che Salvini ha rivolto a Schlein dopo i risultati definitivi, “La partecipazione dei cittadini è sempre un valore positivo, così come lo è avere una autorevole voce dell’opposizione“.
Insomma, non c’è niente di più liberale che sperare che la democrazia funzioni al meglio, e perché questo accada servono libertà e pluralismo delle idee. Perciò rivolgo i più sinceri auguri a Elly Schlein e alla nuova classe dirigente del PD, che immagino abbiano giusto un pelino di lavoro da fare per ricostruire il partito e la fiducia degli elettori (o distruggerli, se dovesse andare male o tradire la sua promessa). Nel bene, la speranza è che questo possa rafforzare l’opposizione delle opposizioni e, nel caso delle aree più liberali, compattarle ancor di più; nel male, il PD si autodistruggerà democraticamente.
Anche da un punto di vista liberale, la Schlein è una conquista per la politica, non una sconfitta, e la politica concepita così, e non come semplice “sentiment & trend following”, ha tanto da dire e tanto da dare. Ora, però, fatta la destra e fatta la sinistra, tocca ai liberali.
Leggi anche:
2 comments
“neolibbberista” non so se era una battuta 😀
specie se pagati 300€ l’ora 😀 😉