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Sanremo: il mercatino della musica Vintage

Sanremo

Vi è mai capitato di affrontare un “periodo no” della vostra vita? Spesso ci aggrappiamo a
momenti passati per tirarci sù, momenti felici, canzoni del passato ascoltate e riascoltate, film
visti e rivisti di cui conosciamo le battute a memoria, di cui sappiamo come va a finire.
L’Italia di Sanremo 2021 è in questa fase, con gelato al pistacchio in mano, seduta sul divano a piangere con
un pacco di Kleenex a fianco.


Ecco quindi che il tormentone è quello di Colapesce e Dimartino con Musica leggerissima;
leggerissima in tutti i sensi, la canzone colpisce e riesce nell’intento, la canzone è orecchiabile, la
canzone è fatta bene, la canzone ha un bel tiro, la canzone funziona, ma la canzone è degli anni
ottanta! Non che ne ricordi il gusto, ne ha proprio il sapore!
Ovvio, questo non è né un pregio né un difetto, è un punto fermo da cui partire per un
ragionamento.


La differenza tra il retrò e il vintage è che il primo è uno stile nuovo, rielaborato che rende
omaggio al passato, il secondo, invece, è semplicemente qualcosa di datato.
Da un po’ di anni a questa parte l’arte tira fuori dall’armadio dei propri nonni i vestiti del
passato che sanno un po’ di formaldeide, anziché essere in grado di confezionarli
appositamente.


Questo Sanremo diventato una sfilata più che un festival della canzone, quest’anno ha avuto
ospiti che si sono piegati a questo principio. Nulla di nuovo, nulla di elaborato, e Achille Lauro
che ritorna a fare la stessa cosa già presentata diventando una caricatura di se stesso. Badare
bene, non è mai ripetitivo sensibilizzare le persone su temi importanti e di minoranza, e ancor
meno sbagliato è scandalizzare per ottenere una reazione, ma la via è quella già trita e ritrita
percorsa magistralmente da Bowie o Renato Zero. Achille Lauro invece non ha avuto la forza
artistica per innovare un prodotto. La canzone passa in secondo piano e lui fà il verso a se
stesso. Ma a noi tutto questo piace.


Insomma, come le foto che tiriamo fuori dalla scatola di scarpe sotto al letto in un periodo di
grandi cambiamenti che ci lascia storditi e senza appigli, ecco, che nell’Italia della pandemia,
non si svela nulla di nuovo. Alla ricerca, non di un futuro radioso ma di un passato felice
cerchiamo di aggrapparci a qualcosa che già uno volta ci ha dato sicurezza ed è stato un tempo,
un porto sicuro e conosciuto.


Se dovessi pensare ad un autore per descrivere lo stato psicologico della nostra balia Sanremese,
più che mai mi balza alla mente Pascoli. Sembra si voglia ritornare a quel nido di boom
economico di “zero preoccupazioni” di Moda che esplode in un’Italia che si apre al mondo.
Vogliamo tornare a quando eravamo felici in quell’epoca calorosa, accogliere all’interno del
nido dove guardavamo la vita con incanto così da tenerci lontani dal presente, dal mondo che
c’è fuori, fatto di rovi e di pericoli.


Ma come Pascoli forse stiamo conservando qualcosa che non c’è più.
La nostalgia di un tempo passato e “leggero”, “anzi leggerissimo” ci investe. Sanremo doveva essere il
festival dei giovani e invece ha vinto il vintage. Ancora una volta siamo stati soggiogati dal passato,
ancora una volta il passato ha tolto all’arte il futuro e Sanremo, nella sua voglia di
modernizzazione, con le parrucche e i balli ridicoli dei conduttori, ha fallito. Allora che rimane
da fare? Tirate fuori J’adore Venice fatta da Loredana Berté, metteye su Luna di Gianni Togni,
preparate Anna Oxa e mi raccomando ricordatevi di: “Ballare, dormire, salutare, autostop,
saluto, nuotare, sciare, spray, bacio, clacson, campana, ok.
Ok ragazzi, adesso cerchiamo di farlo meglio. Ricordatevi che si parte sempre da dormire, fate
attenzione alla differenza tra camminare e nuotare e nel finale due volte i saluti.”

Ciao ciao, Arte.

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