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AttualitàDiritti civili

Referendum eutanasia legale: perché sì

Alcuni potrebbero non saperlo, ma questa estate in Italia si sta combattendo per un’importantissima battaglia di civiltà. Alcuni potrebbero non esserne a conoscenza dato l’imbarazzante silenzio dei media nazionali e dei maggiori capi politici del Paese, tuttavia in moltissime strade, piazze, comuni d’Italia è ad oggi possibile firmare la richiesta referendaria per l’eutanasia legale.

Immoderati sostiene questa importante causa e, con la fortuna e l’onore di avere molti attivisti tra i nostri collaboratori, oggi cerchiamo di fare chiarezza sul referendum e la sua ratio intervistando Jacopo Soregaroli (Immoderato e referente della campagna a Bergamo).

Iniziamo dalle fondamenta: che cos’è il referendum per l’eutanasia legale?

Il referendum andrà ad interessare l’articolo 579 del codice penale che ad oggi prevede una pena da 6 a 15 anni per l’omicidio del consenziente, impedendo de facto la pratica eutanasica, anche quando esercitata dal personale sanitario.

Su questo tema si è già espressa la Consulta della Corte Costituzionale con la storica sentenza sul Caso Cappato.

La stessa Corte ha prima richiamato il Parlamento a legiferare nell’ottobre 2018, lasciando un anno di tempo per colmare il vuoto normativo; poi a settembre 2019 (constatando l’assenza di una nuova normativa) è intervenuta per disegnare un contorno giuridico decretando che non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Nel dettaglio tuttavia la questione rimane parecchio intricata, essendo la sentenza della Corte in parziale conflitto con l’articolo 579 del codice penale. Il rischio per molti malati gravi di non poter esercitare i propri diritti sul fine vita è alto, dal momento che formalmente il reato di omicidio del consenziente resta valido.

Abrogando parzialmente il comma 1, totalmente il comma 2 e parzialmente il comma 3 dell’articolo 579 si andrebbe a riformare il codice in senso congruo alle conquiste degli ultimi anni.

Nella forma abrogata, le attuali aggravanti previste per l’omicidio del consenziente (minore, infermo di mente o soggiogato) diverrebbero le uniche situazioni in cui NON è consentito praticare l’eutanasia, rendendo invece lecito applicarla qualora esplicitamente richiesta (in maniera inequivocabile e reiterata nel tempo) da una persona maggiorenne, in pieno possesso delle sue facoltà mentali e scevra di condizionamenti.

L’articolo risulterebbe quindi scritto in questa forma (barrate le parti abrogate):

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.

Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

               1. Contro una persona minore degli anni diciotto;

               2. Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

               3. Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2].


Per quanto riguarda, invece, le condotte realizzate al di fuori delle forme sopra previste resterà ovviamente valido il reato di omicidio doloso (art. 575 cp).

Uno degli argomenti maggiormente presente tra i dubbiosi è se questo sia il momento storico giusto; se siamo pronti all’eutanasia nel nostro Paese. Perché, quindi, l’Italia ha bisogno di una legge sul fine vita? Cosa si risponde a chi dice che l’eutanasia non è una priorità?

L’eutanasia attiva è ad oggi vietata dal nostro ordinamento sia nella versione diretta, in cui è il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta (art. 579 cp omicidio del consenziente), sia nella versione indiretta, in cui il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona (art. 580 c.p. istigazione e aiuto al suicidio), fatte salve le scriminanti procedurali introdotte dalla Consulta con la Sentenza Cappato.

Forme di eutanasia c.d. passiva, ovvero praticata in forma omissiva, cioè astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze, sono già considerate penalmente lecite soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il cosiddetto “accanimento terapeutico”. L’astensione tuttavia può significare dover lasciar morire il paziente di fame o di sete, sospendendo alimentazione ed idratazione, non potendo intervenire direttamente per favorire il decesso. Inoltre molti casi ambigui creano condotte “complesse” o “miste” che spesso non consentono di distinguere con facilità se si tratti di eutanasia mediante azione od omissione e soprattutto pongono il problema di una possibile disparità di trattamento ai danni di pazienti gravi e sofferenti affetti però da patologie che non conducono di per sé alla morte per effetto della semplice interruzione delle cure. Caso emblematico fu quello di Fabiano Antoniani, meglio noto come Dj Fabo, tetraplegico e sordo-cieco, ma con un’aspettativa di vita sostanzialmente paragonabile a quella dei suoi coetanei: perfettamente cosciente ed in grado di esprimersi in maniera inequivocabile, chiese più volte di poter porre fine alle proprie sofferenze. Ci riuscì solo nel 2017, emigrando -non senza difficoltà- in Svizzera.

Il tema delle priorità, invece, è già stato ampiamente affrontato e declassato a chiacchericcio, quando non a comoda scusa per svincolarsi da una responsabilità altrimenti inderogabile. Il covid ci ha aiutato a capire come ogni persona abbia priorità diverse e non stia certo allo Stato stilare una graduatoria uguale per tutti.

L’eutanasia è l’unica priorità per le migliaia di malati gravi che da circa dieci anni aspettano un intervento legislativo a cui la maggioranza degli italiani è favorevole (dal 70% fino addirittura al 90% a seconda dei sondaggi).

È chiaro che di fronte a questi numeri nessun partito osi dichiararsi apertamente contrario, nonostante spesso in Parlamento sia mancato l’appoggio della Lega, già latitante sul testamento biologico nella precedente legislatura.

V’è poi il cosiddetto, maldefinito e variegato, fronte cattolico. Abbastanza trasversale anche se minoritario, si rifà alle parole di Papa Francesco: “in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia in Italia e in tanti ordinamenti democratici pronunce per le quali l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato; o che -secondo una giurisprudenza che si autodefinisce creativa- inventano un diritto di morire privo di qualsiasi fondamento giuridico e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a se stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza”.

Parole a mio giudizio rispettabili, ma inconciliabili con la visione di chi, come me, pensa che la vita sia un diritto individuale e non un sacro dovere.

Se abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte” scriveva Montanelli, per altro conscio di quanto il diritto alla vita fosse conquista assolutamente giovane nella Storia dell’uomo, basti pensare alle strategie di assalto della Prima Guerra Mondiale. Direi che non v’è chiosa migliore per riassumere una battaglia di civiltà ormai imprescindibile, accantonata da troppo tempo. Un punto focale per l’intero Paese.

Le 500.000 firme da raggiungere entro settembre sono tante, tuttavia la raccolta procede ad un ritmo che fa ben sperare. Come e perché supportare la causa?

Anzitutto recandosi a firmare. Da luglio a settembre, soprattutto nei principali capoluoghi italiani, saranno allestiti i banchetti per la raccolta firme (che ancora non si può effettuare online, tramite SPID ad esempio). Sui social è già possibile accedere con facilità alle pagine di riferimento per la propria città, di modo da poter avere idea di dove e quando saranno allestite le postazioni, in genere tutti i weekend. Il quesito sarà inoltre depositato in ogni municipio e sarà possibile firmare anche nel proprio Comune di residenza.

Ad oggi 320mila persone hanno già firmato. Non dobbiamo sederci su questo ottimo risultato, sarebbe utopistico pensare di poter raccogliere ad agosto, complici le ferie, le stesse firme che a luglio. Inoltre lo “zoccolo duro”, coloro che aspettavano questo referendum da anni, si è già recato a firmare. V’è poi da considerare che durante questo tipo di campagne, purtroppo, dal 2% al 5% delle firme viene invalidato a causa di errori nelle attestazioni, l’esempio più comune è il cambio di residenza non aggiornato. La firma di tutti è quindi importante.

Si tratterà di un momento costituente per il Paese. Al pari dei referendum su divorzio, aborto e unioni civili i cittadini si divideranno tra quelli che il futuro lo costruiscono e quelli che dal futuro si fanno trascinare, usufruendo magari comodamente in seguito dei nuovi diritti acquisiti da altri. La democrazia d’altronde funziona in questo modo e non ho intenzione di recriminare nulla a riguardo.

Sarà inoltre un’occasione per partecipare attivamente alla vita politica del Paese, con cognizione di causa e spirito di servizio, a prescindere da quel che si andrà a votare.

Per chi volesse mettersi ulteriormente in gioco rimando al sito https://referendum.eutanasialegale.it/ dove è possibile registrarsi come volontari o partecipare alla raccolta fondi.

Per concludere, una domanda più personale: cosa, e quanto, significa per un attivista come te lottare affinché i malati terminali possano avere la libertà di scegliere di porre fine alle proprie sofferenze?

Questa è una battaglia talmente trasversale che verrà condotta senza simboli di partito, perché capace di accomunare colori politici inconciliabili su qualsiasi altro argomento. A Bergamo come in altre città i referenti della campagna vengono da posizioni molto diverse: c’è chi come me è stato iscritto a +Europa, esponenti di Forza Italia, del M5S, del PD e ovviamente i Radicali.

Ognuno ha le sue motivazioni, alla base delle quali sottendono sempre il principio di autodeterminazione e la tutela della libertà individuale.

Per me questa campagna significa molto, è uno dei temi a cui più mi sono appassionato negli anni. Finalmente è arrivata l’occasione concreta per poter cambiare le cose. Non mi sono mai speso prima d’ora in una raccolta firme, non sono mai andato in piazza a manifestare. Immagino sia arrivato il momento e sono contento di poterlo fare per un principio in cui credo davvero: la libertà di scegliere. L’intenzionalità e il libero arbitrio sono i valori fondativi della nostra società.

In questa legge è racchiuso il valore ontologico della vita stessa, che semplicemente appartiene a noi. Ne siamo i legittimi proprietari, non per imposizione divina o finalità sociale, ma per natura. Dobbiamo poterne quindi disporre come meglio crediamo, soprattutto di fronte alle difficoltà insormontabili che sopraggiungono con patologie incurabili. Perseguire la sofferenza per giorni, mesi, deve essere una scelta, non un’imposizione verso chi, di norma, dovrebbe essere costretto a vivere, magari in nome di un dio in cui non crede o di un principio che non riconosce.

Questo referendum non renderà l’eutanasia obbligatoria per nessuno. Laddove manchi la possibilità di esprimere il consenso si attuerà in concerto con le DAT (disposizioni anticipate di trattamento) solo qualora l’intento della persona sia chiaro. Chi non vorrà avvalersene (esattamente come per divorzio, aborto e unioni civili) potrà continuare a non farlo e, personalmente, nutrirò profondo rispetto per queste persone.

Ampliando la discussione a tematiche non relative al referendum credo che la possibilità di suicidarsi sia per certi versi la massima espressione della vita umana. Trovo terribile l’idea di una società in cui la gente seguiti a vivere per inerzia, solo perché è nata (non per proprio volere) qualche anno prima.

La coscienza di sé e la libertà sono due principi cardine dell’umanesimo, da qui derivano la consapevolezza della nostra finitezza e il rispetto per le scelte altrui, due valori di cui oggi abbiamo estremo bisogno.

L’idea (che non intendo discutere) di un dio che concede e toglie la vita è anche un artifizio che, volente o nolente, si rivela utile per tutti coloro incapaci di porsi domande sulla propria esistenza.

È però proprio in quelle risposte che viene custodita la caratura di chi, perfettamente conscio della propria quotidiana sofferenza, sceglie di porvi fine.

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