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Putin e la controffensiva ucraina: pacifismo a intermittenza

Dopo averla annunciata a lungo per tutta l’estate, alla fine di agosto l’esercito ucraino ha iniziato un’eccellente controffensiva che gli ha permesso di liberare buona parte del territorio che era stato occupato dai russi durante l’invasione del paese iniziata a febbraio per mano di Putin. A lungo dicevano che avrebbero iniziato ad attaccare nella zona di Kherson e, infatti, le forze armate ucraine hanno iniziato una manovra di attacco a nord-est, verso Kharkiv, zona che nel mese di maggio era già stata teatro di una controffensiva, seppur di stampo minore, che aveva permesso di cacciare fuori dalla città le truppe occupanti.

Questa manovra è stata definita “da manuale militare” dallo storico e studioso di tattica militare Gastone Breccia che, intervistato da Fanpage, ha ricondotto la tattica ucraina a quella teorizzata da un antico generale cinese che si può riassumere con “fai baccano a Oriente e colpisci a Occidente” e di fatti è proprio questo effetto sorpresa ad aver colto impreparati i russi che non hanno ritenuto sufficiente difendere una zona che è comunque strategica per poter poi difendere il Donbass. Dopo aver liberato Kupiansk, gli ucraini hanno puntato e liberato Izium, strategica città nell’oblast di Kharkiv e porta d’ingresso per entrare negli oblast di Donetsk e Luhansk .

Le truppe russe si sono precipitosamente ritirate verso il confine di stato per quella che è stata definita come una vera e propria disfatta. Fuggendo hanno lasciato i loro mezzi e le loro munizioni sul campo di battaglia diventando così (involontariamente) il principale fornitore di armi di Kyiv. I fattori di questa efficace controffensiva sono essenzialmente quattro:

  • la determinazione che hanno avuto gli ucraini nel resistere all’invasore e nel tenere alto il morale per tutta la durata del conflitto;
  • la fornitura di armi da parte dei paesi NATO, in particolare i missili americani HIMARS a media-gittata (peraltro arrivati anche in misura minore rispetto a quelli che il governo ucraino aveva richiesto);
  • l’inadeguatezza dell’esercito russo e la sua corruzione all’interno della catena di comando.

Un primo problema riguardante l’esercito russo è stato sicuramente quello di aver combattuto con pochi uomini, convinti sicuramente di aver vinto agevolmente un conflitto che nella testa di Vladimir Putin e dei suoi uomini al Cremlino non sarebbe dovuto durare più di tre giorni. Poi una lunga serie di errori dal punto di vista tattico, un morale basso da parte delle truppe frustrate per come si era sviluppato questo conflitto già nelle fasi iniziali, con la mancata presa della capitale, fallita oltre che per gli errori tattici e strategici dei generali russi anche a causa del ruolo giocato dai droni turchi Bayaktar, che hanno colpito le lunghe code di carri armati vicine alla capitale.

La liberazione di Izium ha portato alla luce anche la scoperta di nuovi orrori perpetrati dai russi, culminati con la scoperta di 447 fosse comuni oltre che numerose camere delle torture che hanno rievocato periodi della storia che pensavamo aver dimenticato – a dimostrazione del fatto che aver armato chi si doveva difendere fosse la scelta giusta per evitare che finissero nelle condizioni che sono capitate agli abitanti di Izium e anche di Buča.

Il fallimento dell’esercito russo è dovuto anche alle intromissioni di Putin, che ad esempio ha ordinato ai suoi uomini una difesa ad oltranza a Kherson e successivamente lungo la direttiva di Lyman. Pressato dalla parte più bellicista del suo entourage, il 21 settembre viene annunciata la mobilitazione parziale di circa 300.000 riservisti per cercare di contenere in modo più efficiente l’avanzata ucraina,successivamente appoggia anche la decisione degli autoproclamati leader di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizjia di indire un referendum farsa con lo scopo di annettere alla Russia i quattro oblast, far passare la controffensiva ucraina come un attacco alla Federazione Russa e passare, con un assurdo ribaltamento della parti, da aggressore ad aggredito, spaventando il mondo occidentale con l’annuncio che “quei territori sarebbero stati difesi con ogni mezzo”, incluse ovviamente le armi nucleari sia tattiche che strategiche. Così, a partire dal 23 settembre fino ad arrivare al 27, si sono tenuti questi referenda farsa, con un esito ovviamente scontato che ha portato all’incorporazione di questi territori all’interno della Russia, annessione annunciata formalmente il 30 settembre nella sala di San Giorgio al Cremlino con un discorso durissimo di Putin rivolto soprattutto agli Stati Uniti. Tuttavia, malgrado i toni trionfalistici adottati in questo discorso, le cose nel paese non stanno andando bene, oltre alla difficile situazione sul campo c’è da segnalare la fuga di circa un milione di uomini in età da combattimento dalla Russia verso i paesi confinanti, in particolare verso Finlandia, Norvegia, Mongolia, Kazakhistan e Georgia, più le fughe in aereo verso Armenia, Serbia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, meta che pochi possono permettersi.

Se lo show al Cremlino è andato in onda in pompa magna, il 1°ottobre l’esercito ucraino riconquista la città strategica di Lyman, porta d’accesso sia per entrare nell’oblast di Donetsk sia per dirigersi verso quello di Luhansk, dove, secondo quanto dichiarato dal governatore dell’oblast Sergiy Gaidai, l’esercito ucraino avrebbe liberato nove insediamenti puntando verso le città gemelle di Severodonetsk e Lysychansk. Nel frattempo anche a sud, lungo il fronte di Kherson, la controffensiva comincia a carburare con l’esercito ucraino che ha riguadagnato circa 500 km quadrati di territorio, contro i 6.000 guadagnati nella controffensiva verso nord-est.

Questi insuccessi hanno alimentato il malcontento del cosiddetto “partito della guerra” interno al Cremlino, che accusa Putin di non aver ancora usato la mano pesante, considerando tutto l’arsenale a disposizione e quello nucleare: questo fronte fa capo essenzialmente a una ristretta cerchia di persone che vanno dallo speaker della Duma Vjaceslav Volodin, ai propagandisti Vladimir Solovyev e Margarita Simonyan, direttrice del canale Russia Today, dal capo del Consiglio di Sicurezza Nikolay Patrushev, considerato uno dei più duri tra i falchi e vecchio amico dello Zar, con il quale condivide l’astio verso USA ed Europa (arrivò a definire l’Europa nemica della Russia dai tempi di Caterina la Grande), all’ex presidente e primo ministro attualmente vice-presidente al Consiglio di Sicurezza, il mai sobrio Dymitri Medvedev, che tra una bottiglia di vodka e l’altra minaccia il mondo invocando le armi nucleari.

Tuttavia, se possiamo relegare Medvedev al ruolo di comico involontario, sicuramente più pericolose e degne di nota sono le figure di Evgeni Prighozin – 60 anni, definito “lo chef di Putin”, ha fondato del famigerato gruppo Wagner, che gioca un ruolo chiave con le sue milizie nella guerra in Ucraina (ma non solo, dato che la Wagner ha mercenari sia in Africa sia in Medio Oriente) – e il padre-padrone della Cecenia Ramazan Kadyrov – uno dei più oltranzisti e bellicisti all’interno della cerchia di Putin, capo della sua personale milizia, i kadirovicy, che ha più volte chiesto la legge marziale e una dichiarazione di guerra alla NATO. Lo stesso Kadyrov ha suggerito l’uso di armi nucleari tattiche dopo la perdita di Lyman. Questa coppia Prighozin-Kadyrov ha da tempo messo nel mirino ordinatamente il ministro della difesa Sergej Shoigu, colpevole della disfatta sul campo, il capo dello Stato Maggiore Gerasimov e infine il portavoce del ministero della difesa, il generale Igor Konashenkov, che ha involontariamente mostrato le cartine della perdita di terreno a Kherson pur avendone annunciato, nel suo breafing quotidiano, un successo. L’ultmo in ordine di tempo a criticare duramente Shoigu è stato il governatore filo-russo di Kherson, Kirilo Stremousov che lo ha invitato a “spararsi in testa”.

Ad ogni modo qualcosa si è mosso nella catena di comando: Putin sembra deciso ad aumentare la sua escalation con la nomina del generale Surovikin a capo della guerra tra Russia e Ucraina. Definito “Armageddon” per la sua brutalità e descritto addirittura come corrotto e brutale dall’intelligence britannica, Surovikin si è fatto conoscere durante la campagna in Siria rendendosi responsabile di gravi violazioni dei diritti umani e di crimini di guerra, in particolare nella distruzione della città siriana di Aleppo. Alla logistica, invece, è stato promosso il generale Mytriuskin, meglio conosciuto come “il macellaio di Mariupol”.

In tutto questo, in Occidente stanno emergendo sempre più movimenti che in nome della pace chiedono una resa dell’Ucraina e vorrebbero che il governo di Zelensky accetti le richieste di Putin: questa frangia trova estimatori sia a destra che a sinistra – ricordiamo che Elon Musk ha sostanzialmente detto che il mondo dovrebbe riconoscere la Crimea come territorio russo, mentre le regioni che la Russia si è annessa successivamente dovrebbero indire un secondo referendum per capire se vogliono effettivamente tornare sotto il controllo di Kyiv. Sempre negli USA l’ex presidente Trump ha “ordinato” di condurre negoziati al più presto, pena lo scoppio della terza guerra mondiale. Questi temi hanno avuto notevole successo anche in Europa: pensiamo ad esempio all’ex cancelliere tedesco Schröeder che ha parlato di mediazione per la pace, oppure del premier ungherese Viktor Orban, che ha annunciato l’intenzione di indire un referendum contro le sanzioni economiche alla Russia. In campo europeo sono poi da ricordare le parole del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che ha accusato Zelensky di arroganza e l’Occidente di “doppia morale”, alludendo al referendum sul Kosovo.

Analizzando la situazione in Italia, su questo fronte troviamo allineati politici di Lega, Movimento 5 Stelle ed estrema sinistra, che hanno annunciato manifestazioni per la pace subito, pena lo scoppio di una guerra nucleare – posizione condivisa da diversi esponenti di quest’area come Santoro, Orsini, Donatella Di Cesare e Giuseppe Conte. Ora, se è ovvio che non si debba sottovalutare la minaccia nucleare e che la situazione sia particolarmente seria, occorre ricordare una cosa fondamentale: la pace deve essere giusta, perché senza giustizia non può esistere una pace equa, ma solo una resa. Inoltre, come negli anni la gente ha manifestato, anche giustamente, contro gli Stati Uniti, occorre ribadire che l’unica persona capace di fermare questa guerra è proprio l’autocrate del Cremlino che l’ha cominciata, ricordando che sarebbe necessario spostare gli sforzi per la pace verso la Russia, paese aggressore. In ogni caso, siamo ancora in tempo per evitare la terza guerra mondiale e abbiamo il dovere morale di tentare fino alla fine, ma non sarà cedendo ai ricatti dei dittatori, bensì imponendo a Putin costi e sanzioni e un maggior sostegno militare all’Ucraina che riusciremo nell’intento, perché la lotta dell’aggredito è anche quella di tutti noi.

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1 comment

Dario+Greggio 17/10/2022 at 19:59

In generale, io dico “cacciare gli oppressori, difendere gli onesti, a qualsiasi costo” (WW3 compresa)

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