Era già gravissimo quando sembrava circoscritto al Salento, ma ora è ufficialmente allarme nazionale: dopo una settimana di segnalazioni, denunce, notizie e dichiarazioni, facciamo il punto sul caso del molestatore seriale e sedicente ginecologo che sta mobilitando il Paese, affinché l’appello delle molteplici vittime non resti inascoltato.
È un normalissimo 1° novembre per Noemi De Vitis, studentessa di Belle Arti e fotografa salentina, quando la chiamata di un numero privato le stravolge inaspettatamente la giornata: un uomo sconosciuto dalla voce profonda e dall’accento non marcato (e non salentino) si presenta a lei come il dottor Francesco Lirante (o Licante), un ginecologo del laboratorio di Tricase a conoscenza delle sue generalità e della sua cartella clinica, e le chiede informazioni su delle analisi ginecologiche da lei effettuate negli ultimi mesi. Caso vuole che Noemi abbia da poco effettuato proprio una visita ginecologica e che proprio a Tricase abbia sede lo studio del suo medico.
All’apparenza affidabile e competente, il dottore avverte Noemi di un problema medico che non le era stato comunicato dalle autorità sanitarie, parlando di vaginite, di sintomi infiammatori e di esiti con perizia. Dopodiché la inonda di domande sulla sua vita sessuale e sulle sue abitudini con il partner. “Mi ha fatto molte, e sottolineo molte domande private – riporta Noemi nelle sue storie Instagram il giorno stesso – e ai miei continui dubbi sul perché dover dare certe info mi ha risposto che era per capire meglio da cosa fosse causata questa infiammazione. Le sue parole hanno confermato la maggioranza dei miei sintomi. Nella chiamata parlava con una ‘collega’ e riceveva chiamate da altre pazienti.”
Alla richiesta di Noemi che il suo nome e il trattamento dei suoi dati sia tutelato, il dottore replica uno stizzito “Assolutamente sì”, per poi proporle una consultazione tramite Zoom o Hangout. Non per confrontarsi con la paziente su diagnosi e prognosi – un professionista, in ogni caso, necessiterebbe di una visita vera e propria – ma per denudarsi ed esibire le parti intime e pratiche connesse alla masturbazione femminile, allo scopo di sondare meglio la sintomatologia e risalire all’eziologia del problema.
Noemi si rifiuta, mentre il ginecologo incalza con domande sempre più intime e personali, dicendole infine che all’indomani riceverà una mail con tutti i dati per effettuare un Pap test a fine mese. Gli indirizzi a cui fa capo questo dottore per la videochiamata e la mail clinica (consuelingtricase@yahoo.com e analisiclinichelaboratorio@gmail.com) saltano subito all’occhio perché palesemente non ufficiali, tanto che Noemi contatta immediatamente l’ospedale di Tricase (LE): “Nessuno sapeva chi fosse”, scrive nella storia, mentre il personale definisce anormale una simile procedura, ormai a tutti gli effetti una molestia a sfondo sessuale. “È probabile ricevere una chiamata da un numero privato che provenga dall’ospedale, ma di certo non si chiedono foto e non si contatta una paziente su Zoom” ribadisce Noemi nelle stories, che sottolinea di aver provato a richiamare su Hangout il sedicente ginecologo più volte senza successo per venirne a capo.
“Questa persona aveva i miei dati, sapeva il periodo delle mie analisi e sapeva spiegare in modo attendibile certe questioni ginecologiche attuali. […] Non so come sia arrivato a questi dati. Non so se è immischiato nella rete dell’ospedale, non so niente” ha ripetuto Noemi preoccupata. “So solo che non sono stata così ingenua da dargli l’occasione di divertirsi col mio corpo, ma questo tizio potrebbe ingannare qualcuno che è più ingenuo di me: una minorenne, vostra sorella, vostra madre, una donna qualsiasi.”
Inizialmente la vicenda sembra interessare solo il territorio pugliese, ma, dopo l’allarme lanciato sui social, decisiva è l’attivista Carlotta Vagnoli, che rilancia la notizia e intraprende un’azione legale, facendo emergere decine di nuove testimonianze di donne e persone trans (a quanto si registra) che affermano di aver subito lo stesso trattamento e non solo dalla Puglia, ma anche da Lombardia, Lazio, Toscana, Sicilia e Piemonte. In poche ore le vittime note passano da 15 a 25 e ancora a 250 e il caso acquisisce una portata nazionale, con una catena di ricondivisioni e un’azione collettiva che arriva anche alle più grandi personalità vicine alla causa femminista o semplicemente legate all’informazione, all’attivismo politico e all’avvocatura, come Checcaflo, Freeda, Valeria Fonte (che si spende lungamente, seguita dalla stessa Noemi, contro il victim blaming che ha investito le donne coinvolte) e Cathy La Torre (che si impegna subito nella realizzazione di un fac simile di querela per le vittime non pugliesi), ma anche Martina Permegian, Sabina Castagnetta, Britney Spread, Camihawke, Elia Bonci, Majid Capovani, Giuli Paganelli, e infine blog, realtà culturali o IG pages come Felicemente LGBT, Always Ithaka, Il Digitale.it, Il Gallo, INFO Endometriosi, Unsigned, Bee&Licht, Roba da Donne e il collettivo C.L.A.R.A.
Se in un primo momento la vicenda pareva un fatto recente, non passa molto prima di scoprire vittime risalenti a mesi fa (una prima testimonianza parlava già di agosto e dalle indagini della procura di Lecce si parla anche di vittime minorenni) e poi ancora di anni fa, scavando fino al 2014. “Anche se le denunce arrivano da regioni diverse io sono quasi certa che sia la stessa persona. – spiega Noemi in un’intervista per Roba da Donne – La descrizione della voce, calda, impostata, senza accento, il fatto che usi dati sensibili molto personali, che faccia domande estremamente intime e miri alla sessualità delle donne che contatta sono tutti elementi che mi fanno pensare che sia sempre la stessa persona. Cambia nome ogni volta, ma il modus operandi è lo stesso, per tutte. Senza contare quelle che hanno chiuso prima il telefono in faccia a questo maniaco” riporta ancora Noemi nelle sue storie, riconfermando che ogni volta si è svolta secondo medesime modalità e schemi. “Tra le vittime, tutte confermano che l’uomo mirasse a chiedere cose intime e sulla masturbazione, chiedendo dettagli e sottolineando che, se si aveva un determinato sintomo, era legato a una mancata/esagerata autostimolazione. Il fine è stato, in qualsiasi caso, […] cercare di ottenere descrizioni, immagini e videochiamate sul corpo della vittima. Non si fermerà finché non lo fermiamo noi.“
Le segnalazioni, i cui aggiornamenti sono nelle storie in evidenza di Noemi ‘DENUNCIATE’, hanno continuato a diffondersi a macchia d’olio, arrivando dapprima ai giornali locali (Antenna Sud, alla cui redazione sarebbero arrivate fino a 100 segnalazioni, Telerama, LeccePrima e LecceNews24 sono stati i primi a trattare il caso a livello locale) e infine alla stampa nazionale (ne hanno parlato Il Fatto Quotidiano, Il Mattino, Il Corriere della Sera, Radio Capital, L’Adriatico, Il Sussidiario, Fanpage e tanti altri). Oltre a Noemi, che ha subito contattato un centro antiviolenza, pubblicando post con numeri di riferimento per avvocati ed enti a cui rivolgersi in ogni regione, anche numerose associazioni e pagine si sono mobilitate producendo contenuti per sensibilizzare e portare avanti la battaglia, denunciando presso le autorità o indagando il fatto.
Oggi si contano centinaia di vittime e tutte ci raccontano la stessa storia con poche variazioni: in alcuni casi il nome del dottore è differente, in altri il contatto è stato più diretto (con una testimonianza di visita dal vivo), in altri ancora le domande erano ancora più invadenti. Ma una costante collega tutte queste storie in un inquietante filo narrativo: “sapeva tutto”. Certe volte, anzi, sapeva talmente tanto che due ragazze sono state chiamate al numero del loro posto di lavoro e una di loro ha dichiarato di essersi sentita spiata, perché riceveva le chiamate quando era sola in ufficio.
Si tratta sistematicamente di persone che hanno avuto a che fare con la sanità nel passato recente, tra chi ha donato il sangue e chi ha fatto esami, Pap test, controlli o, in alcuni casi, un’interruzione volontaria di gravidanza. “Alle quali segue, a distanza di qualche giorno, questa chiamata da anonimo in cui vengono fatte richieste esplicite sulla vita sessuale della persona e viene richiesto un consulto video“. Sembra peraltro che il sedicente ginecologo non usi le immagini e video che estorce alle ragazze, spesso molto giovani, per fare del revenge porn, ma ‘solo per uso personale’, probabilmente soddisfare il suo piacere onanistico a scapito della privacy e della sensibilità delle sue vittime. Il fine di quest’uomo, inoltre, non è evidentemente lucrativo, siccome non vi sono tracce di richieste di denaro nelle testimonianze. D’altronde, se l’interesse fosse economico sarebbe anche insensato spacciarsi per un operatore pubblico piuttosto che incunearsi nel filone dei truffatori sanitari a cui siamo abituati da decenni in Italia.
Dunque non solo l’aggressione sessuale e psicologica, già causa di traumi e disagi per troppe, troppe vittime e già abbastanza grave da scatenare non solo l’indignazione pubblica ma anche la mobilitazione delle Forze dell’Ordine. Il fatto più allarmante è che il sedicente ginecologo, ormai a tutti gli effetti un molestatore seriale, conosce la storia clinica delle ‘pazienti’ ed ha accesso alle informazioni ospedaliere, ai loro dati anagrafici, biografici e personali, che potrebbe visionare solo se si trattasse di un medico, di un operatore sanitario o di un dipendente dei laboratori di analisi a cui vengono inviati i vetrini o i campioni di sangue dagli studi ginecologici o dall’AVIS. In extremis, spingendoci alla più remota delle ipotesi, potrebbe esserci lo zampino di un black hat capace di crackare i database del SSN e realizzare data breach: insomma, parliamo di una violazione della privacy degna di un’inchiesta giudiziaria. Come scrive Natascia Alibani, “che sia un medico, un OSS, un infermiere, o una persona estranea alla professione ospedaliera, ma con evidenti ramificazioni all’interno delle strutture, non è ovviamente dato saperlo, ma appare chiaro vi sia un grave problema riguardante la privacy delle pazienti.“
Come ha fatto notare un esperto di cybersecurity, se c’è il sospetto che dati sensibili come generalità, dati clinici e informazioni relative ad analisi e referti medici siano stati rubati da qualche ospedale, è possibile procedere legalmente a causa della violazione dell’art. 82 del regolamento europeo 679 del 2016 (GDPR) in materia di protezione di dati personali, il quale recita: “Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento“. Una causa di questo genere nei confronti dell’ospedale può portare alla liquidazione di eventuali danni patrimoniali, morali e psicologici.
Il caso resta aperto: mentre avvocati e avvocatesse, giornalisti, associazioni culturali e movimenti politici o semplici social VIPs si sono attivati per fermare questa oscenità, Noemi ha sentito al telefono Loredana Capone, presidente del consiglio regionale della Puglia, che le ha promesso di segnalare il fatto alla regione con tutti i mezzi a sua disposizione, compreso il CoReCom. Intanto, si indaga sul colpevole e le Forze dell’Ordine stanno seguendo varie piste. Se non fosse stato per l’audacia di Noemi, che ha avuto il coraggio di denunciare il fatto per prima, tutte le sue vittime sarebbero rimaste nell’ombra e il loro appello inascoltato.
La nota più amara riguarda le numerose denunce rigettate, sminuite o sdrammatizzate dalle Forze dell’Ordine, una prassi non nuova in molti casi di stupri, violenze e stalking. “Fa rabbrividire sentire una ragazza che va a denunciare tutto ciò in questura e le viene risposto che finché non riceve minacce di morte denunciare è una perdita di tempo” chiosa Noemi su Instagram. L’avvocata Castagnetti ha evidenziato le diverse fattispecie di reato concretizzatesi negli atti del molestatore (sostituzione di persona, accesso abusivo ai sistemi informatici, violenza sessuale ed altre) e Checcaflo ha ribadito con forza come l’Arma non possa rifiutare una denuncia o prenderla sotto gamba (con l’unica discriminante che la denuncia per violenza sessuale nel nostro ordinamento scade dopo un anno, lasciando fuori tutte le donne coinvolte dal 2014 al 2020).
In ogni caso, la volontà manifesta è quella di raccogliere quante più testimonianze possibili e produrre una denuncia collettiva alle autorità preposte: la Polizia postale di Roma ha già accolto quella di Noemi e la procura di Lecce, sulla base già delle prime denunce prodotte, ha aperto un fascicolo d’inchiesta per fare luce sull’identità del molestatore. Ma mentre si cerca di sbrogliare la matassa di questo adescamento su larga scala, il 27 novembre si terrà a Roma una manifestazione contro la violenza maschile sulle donne e di genere.
Se anche tu hai ricevuto questo genere di telefonate, chiama il 1522 (numero nazionale antiviolenza) per avere sostegno psicologico, e consulta immediatamente un avvocato per ottenere supporto legale e identificare l’artefice del reato. Parlarne e confrontarsi con esperti e professionisti è fondamentale per non essere abbandonate e per tutelare te e tutte le donne che hanno subito la stessa ingiustizia, evitando che il tuo appello e la tua sofferenza restino inascoltati. D’altronde lo dice la stessa Noemi: “Sono arrabbiata e spaventata, anche se sapere che non sono sola mi fa sentire almeno un po’ più al sicuro.“