Il Parlamento ha approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) realizzato dal Governo guidato da Mario Draghi: 221,1 miliardi di euro, di cui 191,5 miliardi dal Recovery Fund (fra sussidi e prestiti a basso tasso d’interesse) e 30,6 miliardi di risorse interne, da impiegare entro il 2026.
Il “PNRR Draghi” rappresenta un notevole e oggettivo avanzamento rispetto alle prime versioni elaborate dallo scorso governo. Esemplificativo il caso della parola “concorrenza” che nel nuovo Piano compare ben 34 volte, mentre nella precedente bozza soltanto 3.
Oltre a delineare nel dettaglio le 6 Missioni strategiche per la crescita del Paese, il programma è espressione di una visione chiara e di crescita, da realizzare nei prossimi anni, e individua priorità trasversali da perseguire che riguardano le persone con disabilità, le donne, i giovani e il Sud.
Il Piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio, per una quota dunque del 40 per cento. A proposito di queste risorse è utile fare dei distinguo. I parametri utilizzati a livello europeo per definire l’ammontare di aiuti per ogni singolo Paese sono stati il reddito pro capite, la disoccupazione negli ultimi cinque anni e la popolazione. È evidente che i bassi livelli di reddito e l’alta disoccupazione nel Sud abbiano contribuito in maniera determinante all’assegnazione della quota più alta di aiuti europei. Secondo alcuni, pertanto, i fondi assegnati al Mezzogiorno avrebbero dovuto rappresentare il 65 per cento del totale.
A mio parere la questione politica è diversa. In luogo di una polemica su una quantità di risorse che probabilmente non saremmo stati in grado di spendere o gestire – sia per i tempi imposti, che prevedono il completamento di opere e progetti entro il 2026, sia per l’oggettiva carenza di competenze nelle pubbliche amministrazioni meridionali –, va sottolineato il cambio di approccio rispetto alla questione meridionale ritenuta, appunto, priorità trasversale delle politiche pubbliche del Paese.
Se venisse attuato quanto previsto nel PNRR, finalmente il Sud recupererebbe il gap infrastrutturale, materiale e immateriale, – ovvero le condizioni di partenza – con il Nord e con le regioni più sviluppate d’Europa, ponendosi credibilmente come centro del Mediterraneo e ponte verso l’Africa, il continente con i più alti livelli di crescita del pianeta.
È utile che il discorso sul PNRR nel Mezzogiorno dei prossimi mesi non segua il leitmotiv della recriminazione, quanto piuttosto quello della trasparenza e dell’individuazione delle responsabilità. I soldi che arriveranno sui nostri territori sono di tutti i cittadini di oggi e, soprattutto, di domani. L’uso di queste risorse rappresenterà il banco di prova per valutare politica e classi dirigenti del Sud, in passato responsabili di aver scambiato visione e sviluppo con “libertà di gestione”.
In Italia la disoccupazione giovanile è al 22,4%, con un picco del 37,7% nel Sud, mentre il tasso di abbandono degli studi in età 18-24 è al 15%, 18,2% al Sud, con la media Ue all’11%. Lo stipendio medio di un giovane si aggira attorno agli 800 euro, per cui non stupisce che in meno di 20 anni il tasso di natalità in Italia sia sceso di 2,4 punti. Questione generazionale e questione meridionale si intrecciano: sono nodi ineludibili e da sciogliere allo stesso tempo. Risolverli è il tema imprescindibile per il futuro dell’Italia e sarà la partita del PNRR nel Mezzogiorno.