Le immagini mosse dei tre terroristi armati che corrono per strada, freddando un poliziotto francese ferito sul marciapiede, si stanno già fissando nell’immaginario collettivo, sotto la voce “Terrore”. Je suis Charlie è la bandiera di oggi, l’hashtag del rifiuto, dello sdegno, della solidarietà. La strage di ieri mattina, a Parigi, ci ripropone un incubo reale, brutale, in mondovisione. Le vittime così vicine, le ragioni di questa mattanza così lontane, incomprensibili. Ricolleghiamo tutto a un repertorio fatto di bandiere nere, uomini incappucciati, slogan in lingue sconosciute. L’errore più grande però sarebbe ricollegare acriticamente l’accaduto, le ragioni e le sue implicazioni, a un altro termine, Islam, e a tutti gli individui che lo ritengono più o meno fondante per le proprie esistenze. La matrice dei fatti di ieri è evidente, e la tentazione di elevarla a paradigma di un’intera civiltà è forte. C’è qualcuno – nel mondo politico, sui media e sui social network – che ha già iniziato a dipingere una realtà fatta di blocchi granitici, toni stentorei, rigurgiti colonialisti e guerrafondai contro una civiltà barbara e violenta. Ma cadere in questa retorica sarebbe un errore grossolano e pericoloso.
Non c’è dubbio che esista una frattura tra il mondo musulmano e la modernità di cui l’Occidente, nel suo complesso, è stato portatore. È antica, le radici si insinuano in un passato lontano, ed è esplosa almeno a partire dall’Ottocento, quando il l’Islam, nello specifico l’Impero Ottomano, si trovò di fronte al deficit tecnologico, militare, economico, culturale che si era via via accentuato con l’Occidente. Questa frattura è divenuta via via più profonda, a tratti è sparita, a tratti è divenuta palese, nello scorrere dei secoli. Si è complicata con l’avvento della società di massa e poi, prendendo pieghe imprevedibili con la nascita della società mediacentrica e globalizzata, è arrivata fino ai giorni nostri. Una possibile soluzione al rapporto problematico tra la cultura Islamica e la cultura occidentale contemporanea, così pervasiva e inarrestabile, è un tema, se non il tema, politico più importante della nostra epoca.
È una frattura enorme. Ma frastagliata.
Quella realtà, quella massa di persone, che va dall’altro capo del mondo fino ai confini dei nostri paesi, e che è già entrata in casa nostra in maniera consistente, è un universo complesso, non un monolite. Un miliardo e seicento milioni di individui, sparsi su tutto il globo, che vivono in realtà politiche e sociali diverse, che vivono la loro religione dominante in maniera differente, anche tra comunità geograficamente vicine, non possono essere ricomprese sotto un’etichetta. Di qualsivoglia matrice: terzomondista, razzista, nazionalista, non fa differenza. Qualunque sia il vostro modo di vedere voi stessi, gli altri, qualsiasi siano le soluzioni che a vostro parere andrebbero adottate, prendete questa nuova tragedia per cercare di conoscere e approfondire. Perché altrimenti cadremmo nello stesso errore che viene commesso da fette consistenti di queste popolazioni nei nostri confronti. Non possiamo permettercelo. Sarebbe il crimine – intellettuale, almeno in principio -, più grave che i cittadini di paesi liberi, laici, secolarizzati e pluralistici potrebbero commettere di fronte a questa sfida.
L’attacco di ieri è stato un attacco ai valori, ai diritti, alle libertà fondanti delle nostre società. Dobbiamo difendere queste conquiste senza tentennamenti, come abbiamo fatto in passato e come saremo costretti a fare in futuro. Ma proprio perché abbiamo questo bagaglio culturale e valoriale abbiamo il dovere di riflettere e di non cedere al gioco perverso della retorica semplicistica e demagogica. È un esercizio complicato, ma siamo i fautori della società aperta. Cerchiamo di dimostrarlo prima di tutto a noi stessi. Prima di tutto a partire dalle nostre coscienze individuali.
1 comment
Articolo molto equilibrato, persino troppo per un gruppo costituito da giovani, ma apprezzabile.
Io, che giovane non sono più, sebbene condivida in toto i contenuti dell’articolo, sono portato a formulare una riflessione che porta a conclusioni più severe.
E’ vero che il mondo islamico nel suo complesso è una realtà articolata e variegata, ma allo stesso modo in cui lo è anche il mondo NON islamico.
Resta il fatto che il potere di polarizzazione delle religioni in genere sugli esseri umani è importante, spesso totalizzante, e l’aggressività islamica si è manifestata in questi anni a tutte le latitudini, non solo in medio oriente, ma anche in centro Africa e nell’Oriente propriamente detto.
Il punto chiave è che il Corano non è un dettato di pace, ma di guerra, contrariamente al Vangelo.
Questo fa una enorme differenza.
Il terrorismo esprime da un lato la reazione viscerale di fasce islamiche all’occidentalizzazione del mondo e dall’altro esprime una precisa strategia volta a suscitare reazioni del mondo occidentale nei confronti delle popolazioni islamiche residenti in questi paesi, in modo da alterare il rapporto di civile convivenza a favore di un rapporto conflittuale e quindi di adesione della diaspora musulmana al progetto del Grande Califfato.
Purtroppo il terrorismo lascia poche opzioni : non puoi ignorarlo, devi combatterlo, ed il farlo lo alimenta e polarizza il conflitto.
Soluzioni ? Nessuna. Strategia ? Complessa, che richiede, quale che essa sia, fermezza e determinazione, abbandonando ogni atteggiamento di comprensione verso questa parte del mondo, e rendendosene indipendenti al massimo grado, l’esatto opposto della strategia di inclusione operata nel corso di decenni.