– Di un modello del populismo, socialismo e della responsabilità della politica e dell’informazione –
È stato detto che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora.” – Winston Churchill –
Non sono mai stato d’accordo con questa citazione, nella democrazia, forse in modo anche utopico, ci ho sempre creduto. Certo oggi alla luce dei Salvini, grillini in Italia, della politica di Sarkozy e delle proposte dell’opposizione Front National in Francia, e delle politiche autodistruttive di Tsipras in Grecia, Churchy non lo si può di certo biasimare.
La verità è che probabilmente nessun sistema può essere efficiente tramite la sua mera applicazione, una dittatura illuminata potrebbe dare risultati efficienti, a patto che il dittatore sia onnisciente e illuminato (condizioni pressoché impossibili), ma anche qualora accada l’impensabile potremmo godere di questo fantomatico dittatore per qualche decina di anni e al primo cambio andrebbe di nuovo tutto in malora.
La democrazia, oltre ad essere basata sul sacrosanto principio del libero arbitrio, ha il pregio di dare una stabilità duratura. Ovviamente non si sta tutti in paradiso, ma i cambiamenti di governo portano a turbolenze meno violente, i danni che un solo governo può protrarre sono limitati nel tempo e in caso di disastri un popolo non può che dare la colpa a se stesso. Di contro in democrazia c’è bisogno di raccogliere voti per contare e questo può essere fatto in modo responsabile o irresponsabile.
E qui iniziamo a costruire il nostro modellino. Mettiamo che ci si presenti un problema su un determinato campo specifico e che per fornire una soluzione saggia a questo abbiamo bisogno di 10 informazioni la quale somma ci indica la soluzione più efficace chiamiamola numero “55”.
Ora, per quanto noi possiamo fare i saccenti, nessuno è onnisciente né siamo tenuti ad esserlo, al contrario della legge in democrazia l’ignoranza è un dato di fatto, anzi è un nostro sacrosanto diritto. Quindi, su quel determinato problema pochissimi cittadini, probabilmente solo gli addetti ai lavori, avranno tutte le informazioni per raggiungere la soluzione 55, pochi altri saranno totalmente disinformati, la maggior parte avrà un numero medio di informazioni derivato dalla propria cultura generale. Questo possiamo tradurlo nel seguente grafico indicativo:
Da questo concetto ne deriva che la maggior parte di noi avrà una soluzione che sarà la somma di 5-6 informazioni e che ci porterà a soluzioni da “1” a “45”.
Ora il compito della politica responsabile sarebbe quello di raccogliere tutte e 10 le informazioni, elaborare la soluzione “55” e applicarla. In questo caso però solo il 2% della nostra popolazione condividerebbe questa soluzione, i risultati efficienti arriverebbero dopo un po’ di tempo cadendo nel dimenticatoio e dati per scontato. (Che clamore susciterebbe un’immigrazione gestita efficacemente?)
La tentazione quindi di proporre soluzioni da “10” a “45” per essere corrisposti immediatamente da una grossa fetta di popolazione diventa forte, per far questo non è necessario neanche raccogliere le 10 informazioni e studiarle, basta andare in un bar e, un po’ come probabilmente fa Salvini, far propri i discorsi che saltano fuori dopo aver offerto il terzo giro di spritz. Da qui la genesi del populismo, approfittarsi dell’ignoranza della massa per raccattare più voti possibili. E attenzione quando parlo di ignoranza della massa non sottointendo l’ignoranza dei singoli che formano la massa ma quel fenomeno statistico per il quale non avendo i singoli una conoscenza sovrapposta questa mediamente si abbassa. Praticamente prendente la risultante di Stephen Hopkins, Einstein, Freud, Steve Jobs e Draghi e chiedetegli, ora, quale è la soluzione migliore per fare un quadretto a punto a croce.
La soluzione? Informarsi di più? Non necessariamente. Cosa succederebbe se da domani tutti diventassimo intellettuali con occhiali, giacca marrone, mocassini e Internazionale alla mano? Considerando il fatto che ovviamente tendiamo ad informarci presso fonti attendibili e per considerarle tali in qualche modo devono confermare delle nostre conoscenze pregresse, il risultato sarebbe quello di ampliare gli argomenti con 2 o 3 informazioni in più ma nella direzione di consolidare quelle posizioni pregresse, fidelizzandoci ad una determinata posizione politica polarizzando la conoscenza. Riprendendo la nostra fittizia popolazione un po’ più acculturata e distribuendola secondo grado di interessamento tematico/posizione politica potremmo ottenere una distribuzione di questo tipo:
Paradossalmente alla nostra visione una politica responsabile dovrebbe colmare tale gap informativo, illustrare una panoramica a 360° del problema e far comprendere la soluzione “55”. Ma in una logica di recupero voti il richiamo al divide et impera diventa quasi irresistibile, un’occasione per far sentire meglio nel proprio ego l’elettorato rafforzando le proprie posizioni.
A questo contesto bisogna aggiungere le ultime tendenze, date dal generale crollo di fiducia nelle istituzioni, ad aggiungere notizie al di fuori dalle fonti ufficiali, le quali vengono percepite come sospette (es. complottismo, MMT e scie chimiche), generando un altro bacino elettorale da polarizzare e fidelizzare.
Completa il quadro il falso mito che la politica e lo stato possa generare redditi, posti di lavoro e quant’altro. Lo stato, come tutti i soggetti economici, può solo impiegare al meglio o al peggio le proprie risorse per fornire servizi. Tutto quello che dà in modo diretto o indiretto te lo toglie, ti dà lavoro nel pubblico impiego ma ti toglie la possibilità di metterti in proprio e la libertà di fornire quello che tu pensavi nel modo in cui tu lo pensavi, ti dà la cassa integrazione ma ti toglie la possibilità di un nuovo impiego, ti dà 80 euro ma te li toglie dall’IMU, etc. Più lo stato ci dà più ci controlla più noi ne siamo dipendenti e sudditi ed è per questo che dovremmo chiedere allo stato di limitare le sue funzioni al minimo indispensabile e possibilmente di fare bene almeno quelle.
Condannati quindi al populismo? No, ma la questione dipende da noi. Prima di tutto dobbiamo prendere coscienza di certi meccanismi. La politica è un’arte nobile ma sottoposta a dinamiche in cui chi la applica in tal modo è destinato a soccombere.
La politica è il nostro specchio, quindi per cambiare la politica dobbiamo cambiare anche noi stessi ed essere anche un po’ sospettosi delle nostre posizioni, sicuramente umili. Dobbiamo cambiare come il vento, essere di destra o di sinistra non ha senso, così si fa solo il gioco del divide et impera su cui la politica ha campato fino ad oggi, dobbiamo cambiare metro di giudizio, non cercare uno specchio in cui adorarci ma dei programmi concreti, dei numeri a cui dare un appoggio. Dobbiamo andare a votare, piuttosto votare il più piccolo dei partiti ma fargli capire che siamo disposti a cambiare se non ci danno efficienza. Dobbiamo comunicare, ascoltare magari parlare di meno, scambiarci idee con umiltà anche se si ritiene di essere in quel 2% che ha tutte le informazioni disponibili per poter parlare.
L’informazione ha un ruolo chiave, quindi il finanziamento pubblico a qualsiasi mezzo di informazione, che permette ai partiti politici di controllarli, deve essere eliminato al più presto.
Dobbiamo pretendere, dobbiamo pretendere che la politica faccia la politica nel senso nobile del termine, che proponga dei progetti a lungo termine ma efficaci, che ci fornisca numeri anziché slogan, che ci parli di questioni complicate come se fossimo dei bambini ma allo stesso tempo in modo esaustivo, che si divida il meno possibile, che non tuteli la propria fascia di elettorato ma trovi più spesso soluzioni trasversali per il bene di tutti, che non sovrapponga le voci ma cerchi un’armonia, che si prenda le proprie responsabilità e la propria nobiltà.
Solo con la comunicazione e un’informazione libera possiamo evolvere la nostra cultura e quindi la democrazia e concentrarci sul futuro la libertà e il benessere di tutti.