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Negare l’olocausto: l’inadeguatezza del nostro sentire

L’olocausto è uno degli eventi storici più documentati al mondo. Le fonti raccolte durante e dopo la conclusione della guerra sono diverse, ampiamente studiate, analizzate e confermate (nonché apertamente consultabili sul web). Durante il solo processo di Norimberga, tra il 1945 e il 1946, vennero raccolte e registrate 775 ore di interrogatorio ai 24 imputati; durante il solo processo di Gerusalemme, tra il 1961 e il 1962, vennero raccolte le testimonianze di 112 sopravvissuti ai campi di sterminio. Questo a mo’ di esempio e solo citando i più famosi.

Alla luce dei fatti sembra difficile, e in qualche modo disturbante, che ci siano state – e ci siano ancora – persone ostinate a negare l’olocausto. Eppure è così.

Il negazionismo si configura come una corrente di pensiero fortemente ideologizzata (spesso anche politicizzata) che, dopo una radicale pars destruens guidata dallo scetticismo più antiscientifico che taccia di falsità le cosiddette “fonti ufficiali”, si propone come revisionista (nel senso deteriore del termine) della storiografia in materia – specialmente quella riguardante la seconda guerra mondiale e la soluzione finale.

Sia chiaro, il revisionismo dell’olocausto è una voce insignificante nel dibattito accademico (proprio per gli evidenti errori di metodo e la malafede ideologica). Tuttavia esso rimane un’idea radicata nella cultura europea, che è sopravvissuta e sopravvive tutt’oggi. E, per quanto possa sembrare strano ai più, i negazionisti o riduzionisti dell’olocausto sono molti.

Come spiega il professore Claudio Vercelli ne “il negazionismo, storia di una menzogna”, il metodo revisionista dei negazionisti dell’olocausto è strutturato in modo tale da ridimensionare lo sterminio e le colpe del regime nazista, oppure azzerarle del tutto. Le differenti posizioni revisioniste hanno come fil rouge un malcelato sentimento antisemita che individuerebbe nella versione “ufficiale” della storia un’occasione di guadagno per il popolo di Israele. In sostanza, tale metodo è costruito in modo da sfruttare alcune tipiche fallacie logiche e argomentative per rispondere a domande con altre domande e, specialmente, attaccare la tesi avversaria piuttosto che tentare di confermare la propria. L’onere della prova viene scaricato sugli avversari, in modo tale da non dover mai giustificare nessuna posizione; il cherry picking abbonda, prendendo in considerazione solamente singoli fatti rilevanti per la propria tesi, senza mai contestualizzarli e ignorando la mole di altre fonti disponibili. In generale ogni azione, o frase, è rivolta a spostare il focus del dibattito sulla tesi avversaria, attaccandola a colpi di retorica e argomenti fantoccio. Lo scopo è quello di riabilitare la dignità della Germania Nazista correggendo quella che è la sua più grande colpa: i sei milioni.

Ogni volta che si parla dei sei milioni il discorso diventa delicato, e a buona ragione. Tuttavia, per illustrare le fallacie del metodo revisionista e delle amenità che esso propone come vere, è necessario fare uso di un po’ di fredda razionalità.

Innanzitutto i negazionisti spostano la prospettiva di partenza con un sottile gioco linguistico. Auschwitz-Birkenau, Treblinka, Majdanek e gli altri vengono chiamati Konzentrazionslager (campi di concentramento) e non più Vernichtungslager(campi di sterminio). Vien da sé che nei KZ lo scopo non fosse quello di uccidere ma, invece, quello di tenere prigionieri i deportati. L’idea, infatti, sarebbe quella di far venire meno la progettualità e l’intenzionalità dello sterminio. In tal modo i nazisti non avrebbero fatto altro che imprigionare gli ebrei come qualsiasi altro nemico di guerra; nessuno sterminio, solo carcere. Idea quantomeno bizzarra, soprattutto alla luce dell’esorbitante numero di vittime e alla luce delle camere a gas. Un conto infatti è minare una fonte orale, tutt’altra cosa è attaccare una fonte come le camere a gas. Le strutture sono lì, visitabili da tutti. Come affrontano i negazionisti questi due elementi?

Partiamo dalle camere. Alcuni revisionisti affermano -sempre alla luce del loro concetto di KZ- che, non essendoci alcun intento omicida, il gas servisse a null’altro che la pulizia degli indumenti dei prigionieri. Non credo sia necessario mostrare quanto questo argomento sia privo di senso. Per quanto riguarda i sei milioni, invece, il discorso è un po’ più interessante e suona meno come un’arrampicata sugli specchi.

L’idea, apparentemente ingenua e semplice, è che sei milioni siano un numero semplicemente troppo grande; gonfiato dai vincitori che hanno scritto la storia con il fine ultimo di aiutare e far passare come vittime gli ebrei. Fin qui nulla di nuovo, eppure la subdola retorica qui presentata poggia su una caratteristica a tutti gli effetti vera: l’inadeguatezza del nostro sentire. Questa è una tesi proposta dal filosofo tedesco Günther Anders secondo la quale “quanto più è alta la velocità del progresso e quanto più è intricata la struttura dei nostri apparati, tanto più rapidamente la nostra immaginazione e la nostra percezione non riescono a stargli dietro, tanto più cala la nostra chiarezza e tanto più diventiamo ciechi” (G. Anders, “Noi figli di Eichmann”). In questo contesto, ciò significa non solo che il regime nazista, con il suo apparato burocratico mastodontico, non riesce a farsi inquadrare per intero per distribuire le responsabilità e le colpe, ma soprattutto che l’inimmaginabile quantità di vittime -i tristemente famosi sei milioni- sono una quantità talmente ingombrante che il nostro sentire non riesce a riconoscere. E quando il sentire si assopisce, non si riesce a provare empatia per un numero con così tanti zeri; lo si rifiuta giudicandolo come impossibile.

La vera sfida per restare umani e non piegarsi al “mostruoso” del negazionismo è quella di sforzarsi di sentire. Questo è il compito di chi studia e ricorda la Shoah.

1 comment

DAVIDE 28/02/2022 at 17:52

Articolo ben scritto.
Purtroppo ,la”lezione”che la storia ci avrebbe insegnato non è stata ben messa a frutto :tutt’oggi ci sono persone che negano il più orrendo genocidio della storia,che lo vogliono ridurre ad uno dei tanti episodi tragici della storia.
Se è vero che vi sono state moltissime atrocità nella storia imana,(dai pogrom medievali a Hiroshima dal genocidio dei nativi americani ai massacri di Pinochet e vvidela,dal sadismo dello schiavismo dell’:antica rimasi crimini delle mafie odierne)l’olocausto ha un valore allo stesso tempo unico e paradigmatico;li si è vista al meglio il contrasto tra l’odio e l’egoismo dei carnefici,che per profitto(IBM,Allianz,Wolkswagen,,Ford,ChaseBank,Krupp,Bayer,IG Farben) o per puro fanatismo(,delatori,comuni cittadini,collaborazionisti)hanno mandato a morte(spesso dopo immani sofferenze), milioni di innocentie la solidarietà gratuita dei “giusti”,che senza nessun tornaconto hanno rischiato la vita perché la loro coscienza gli chiedeva di essere e restare umani.
La negazione ,portata avanti dai negazionisti estremisti, e l’apparente mente più “moderata”, ,”riduzione” ,dei riduzionisti,che per interessi o miopia morale e storica’,paragonano l’imparagonabile( es i campi di sterminio,che miravano ad annientare un intero popolo ,milioni di individui ,solo perché appartenenti ad un “razza inferiore” ,con i campi di detenzione e rieducazione dell’Urss e della Cina,che avevano come scopo la repressione delle attività politiche di individui movimenti giudicati “eversivi”, per le loro ideologie od obiettivi, e che ,pur negli abusi che indubitabilmente vi furono,presentavano spesso condizioni di detenzione meno peggiori di quelle delle carceri e delle colonie penali di paesi come Inghilterra e Francia) ,rischiano di minare la credibilità di una memoria che è fondamentale che venga mantenuta affinché l’orrore non si ripeta.

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