Nel paese di Marradi, Mugello, esiste una fabbrica che produce marron glaces ritenuti tra i migliori al mondo. La proprietà dell’azienda ha deciso di trasferire la fabbrica dai pendii collinari di Marradi a Bergamo. Ragion per cui una decina di dipendenti stabili e diverse decine stagionali perderebbero, così stanti le cose, quell’occupazione.
Ne è nata, come era prevedibile, una vertenza tra i sindacati e l’azienda, i primi spalleggiati robustamente dagli Enti Locali a tutti i livelli, deputati, senatori, sottosegretari e, di sicuro, anche prelati. “L’azienda deve rimanere nel Mugello”, ruggisce, per esempio, il sindaco di Firenze.
Al netto di una proposta di riconversione produttiva fatta ora dall’azienda, i marron glaces di Marradi sono un ennesimo esempio della ormai cronica sclerotizzazione della funzione pubblica.
Sinceramente non è chiaro il motivo per cui la proprietà dell’azienda dovrebbe essere mutilata nell’essenza stessa della sua natura: organizzare i fattori della produzione al fine di ottenere un profitto. Non è chiaro perché il libero esercizio dell’attività di impresa sia considerato legittimo oppure no a seconda di quale esso sia.
Certo i Sindacati sostengono questa visione. In quanto lobby, d’altronde, è del tutto comprensibile che cerchino di ottenere il miglior risultato possibile – o almeno quello che essi ritengono tale – a favore della propria parte.
Il discorso cambia se guardiamo all’atteggiamento degli Enti Locali. La domanda centrale è: è legittimo che l’Ente Locale faccia anch’esso o addirittura soprattutto esso azione di lobbying? È legittimo che un Ente Pubblico utilizzi – soft o hard – il potere derivatogli dall’essere tale per condizionare libere scelte dell’impresa? È legittimo, magari, che in questa azione di lobbying utilizzi beni pubblici (denaro, tempo, spazio) per armare le sue pressioni? Il “costringere” o il “favorire” un’impresa ad assumere certe decisioni anziché altre non è semplicemente un’alterazione del mercato?
È legittimo che, per esempio, i membri del Parlamento – i quali, ricordo, rappresentano la nazione – si precipitino a sostenere le lotte di quella o quell’altra comunità presso cui hanno raccolto le preferenze o i voti per eleggerli, infischiandosene di tutte le altre comunità del Paese? Perché i dieci dipendenti di Marradi valgono più di quelli di Roccacannuccia?
Questa “sindacalizzazione” sale su su fino all’esecutivo e magari, se andassimo a grattare un poco, anche alla magistratura giudicante.
Che Paese ci restituisce questo scenario? Cosa torna indietro al cittadino di questa furibonda e affollatissima corsa a difendere e tutelare gli interessi particolari, quando non particolarissimi? L’assenza di un livello politico e istituzionale che offra una garanzia di visione globale e di cura reale dell’interesse generale a spese di quelli particolari, genera, da un lato, la domanda: “Ma a cosa serve la politica?” e la sua ormai endemica crisi della capacità di rapportarsi, per esempio, con il corpo elettorale. Dall’altro, la ricerca di Duchi e Baroni che entro le loro mura possano accogliere, difendere e tutelare – o darne la sensazione – quote sempre maggiori di cittadini; la impalpabile natura “pubblica” dello Stato, crea le migliori condizioni per il parallelo rafforzarsi della costruzione di rapporti “privatistici”, per esempio, tra Enti Locali e gruppi di cittadini, o il moltiplicarsi di tentativi di lobbying in proprio operata da frammenti della società che favorisce, ovviamente, la radicalizzazione, la polverizzazione, la scucitura del “tessuto sociale” e la sempre più citata ma non costruita solidarietà.
A Marradi, picchia e mena, l’azienda ha proposto una riconversione dello stabilimento ad altra produzione; la Regione Toscana ha così commentato: “Non siamo ancora soddisfatti, ma è un passo avanti”. Non è sindacalismo questo? Non è lobbyismo? È un Ente Pubblico o una centrale di interessi? Non dovrebbe forse occuparsi, magari con la finanziaria regionale, di creare le migliori condizioni possibili per attrarre progetti imprenditoriali anziché per soddisfarsi o no delle legittime scelte di una proprietà?
Come da oltre trent’anni CGIL CISL e UIL sanno bene, arriva sempre qualcuno che è più sindacalista di te, i COBAS ne sono l’esempio. La “politica” che diventa sindacato, rappresentazione del particolare, non solo non è un vero valore aggiunto per il Paese – e come tale sostituibile – ma sopravvive solo in quanto occupa le Istituzioni e le usa a quei fini. Ma, appunto, abdicando – anzi, forse nemmeno comprendendo bene quale sia il suo ruolo – perde legittimazione e, alla fine, legittimità. Una volta su quella china, ogni scenario diventa plausibile.