Questi maledetti monopoli sono un problema? Ci sono delle soluzioni? Proviamo ad approfondire il tema dei monopoli in generale, cercando di rendere più comprensibili certi aspetti.
Quando si guarda alla struttura di un mercato sono due i modelli economici agli estremi: la concorrenza perfetta e il monopolio. Ovviamente, si tratta di due rappresentazioni che non trovano riscontro nella realtà, la quale presenta mercati intermedi: oligopoli, concorrenza imperfetta ecc.
I due modelli non hanno l’obiettivo di descrivere fedelmente ciò che avviene nel mondo reale, ma servono a mostrarci i diversi effetti che hanno le strutture di mercato sul benessere di consumatori e produttori.
In breve, prezzo e quantità di equilibrio nel modello concorrenziale e monopolistico non coincidono. Un’impresa che opera in concorrenza non può alzare il proprio prezzo senza tenere in considerazione la possibilità che i suoi consumatori si spostino verso i concorrenti, mentre un’impresa monopolista non si pone questo problema. Di conseguenza, il prezzo di monopolio è più alto di quello concorrenziale e la quantità prodotta nel mercato è inferiore, pertanto il benessere del consumatore è ridotto nel monopolio rispetto alla concorrenza perfetta.
A questo punto bisogna chiedersi quali siano i mezzi a nostra disposizione per provare a raggiungere l’obiettivo e quanto essi siano efficaci. E’ inutile intervenire su un mercato concentrato se le conseguenze di tale intervento sono peggiori della concentrazione. Non solo, a volte è proprio l’intervento statale ad agevolare la formazione di monopoli, come avviene nel caso dei brevetti e delle licenze. Proviamo ad analizzare diverse cause di concentrazione.
ORIGINE DEI MONOPOLI, QUALCHE ESEMPIO
Una possibile fonte di monopoli nel mercato è l’innovazione tecnologica. Si pensi a un’impresa che investe molto in ricerca e riesce a ridurre i costi di produzione o a sviluppare un nuovo prodotto. E’ possibile che l’impresa acquisisca un grande vantaggio sui concorrenti, tanto da poter diventare monopolista.
In questo caso, i consumatori godono di un maggior beneficio grazie all’innovazione nel mercato, ma subiscono anche un costo dato dal potere monopolistico ottenuto dall’impresa che ha innovato con successo. Se lo Stato dovesse intervenire sul monopolista, ad esempio dividendolo in più parti, questo potrebbe tradursi in un disincentivo all’innovazione per altre imprese in futuro. Si tratta di un compromesso che il regolatore deve tenere in considerazione.
I casi che suscitano maggiore interesse e su cui lo Stato sembra intervenire con più veemenza sono i monopoli causati da alti costi fissi. Ci sono mercati che necessitano enormi investimenti iniziali; i casi più frequenti sono le reti di trasporto e telecomunicazione, spesso definiti monopoli naturali. Le economie di scala rendono la concorrenza non solo di difficile realizzazione, ma anche non desiderabile, in quanto replicherebbe i costi fissi di produzione. E’ in circostanze come questa che lo Stato può agire per ridurre i problemi legati al monopolio, tenendo sempre presenti i limiti dell’intervento pubblico.
L’INTERVENTO PUBBLICO
Di solito, quando si propone un intervento pubblico nell’economia per regolare un monopolio, si parte da due ipotesi a dir poco fantasiose: politici e burocrati sono benevolenti e onniscienti. Sappiamo che sia i politici che i burocrati non hanno come unico obiettivo la massimizzazione del benessere sociale. Oltretutto, per l’amministrazione pubblica ottenere le informazioni private necessarie per un intervento efficace non è cosa semplice.
L’esempio più estremo di intervento pubblico è la nazionalizzazione, la quale porta con se diverse complicazioni. Come già accennato, i politici non sono benevolenti e potrebbero usare l’impresa pubblica come strumento per ottenere consensi. Inoltre, il venir meno del profitto privato riduce l’incentivo a una gestione economicamente sostenibile e all’innovazione, in quanto l’impresa pubblica, in caso di perdite, può facilmente disporre di trasferimenti dallo Stato.
Una possibile soluzione ai problemi di incentivi legati alla nazionalizzazione sono le aste. Quando non è possibile realizzare competizione nel mercato (monopoli naturali), si cerca di ottenere la competizione per il mercato attraverso una gara. La licenza, che garantisce al possessore di operare in regime di monopolio, viene messa all’asta dallo Stato e i partecipanti fanno le loro offerte.
Qui si ripresentano problemi sull’efficacia dell’intervento legati alle informazioni private, ai contratti e alla “cattura del regolatore”, ovvero quel fenomeno attraverso cui imprese e politici si accordano per un trattamento che garantisca profitti elevati.
Un contratto per la gestione delle autostrade, ad esempio, pone dei problemi sia per quanto concerne la fissazione delle tariffe, sia sulla durata dello stesso. Un contratto troppo corto può disincentivare la partecipazione alla gara, mentre un contratto lungo può dare un vantaggio eccessivo all’impresa che vince la prima sui concorrenti delle gare successive.
Anche qui la scienza economica ci viene in aiuto. La teoria del mechanism design fornisce delle soluzioni pratiche ai problemi di incentivi nelle aste. Qui mi limito a citarla e a lasciare un video molto interessante a riguardo di LiberiOltre e un articolo del prof. Sandro Brusco.
NON ESISTONO SOLUZIONI SEMPLICI
Per concludere, soluzioni semplici ed estreme, come l’assenza totale di intervento pubblico o la nazionalizzazione delle imprese, non fanno altro che sporcare ulteriormente un dibattito già fin troppo ideologizzato. Dovremmo mettere da parte gli editoriali di politici incapaci e i libri di alcuni filosofi anarchici per iniziare a leggere cose più serie. Ora possiamo rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio. Questi maledetti monopoli sono un problema? Ci sono delle soluzioni? Come spesso si risponde alle domande in economia: dipende, i fattori da tenere in considerazione sono molti e nessuna soluzione è valida sempre e in ogni contesto.