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Economia & Finanza

Minibot e moneta parallela

Martedì 28 maggio 2019, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità (476 voti su 476 votanti) una mozione (MOZIONE 1/00013) che, tra le altre cose, impegnerebbe il governo “all’ampliamento delle fattispecie ammesse alla compensazione tra crediti e debiti della pubblica amministrazione, oltre che la cartolarizzazione dei crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio, […] per garantire il rispetto dei tempi di pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni ed uscire, così, dalla procedura di infrazione che la Commissione europea ha avviato contro l’Italia sull’attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento”: tradotto in parole povere, la mozione in oggetto sembrerebbe aprire all’ipotesi di convertire alcuni debiti commerciali della PA in titoli di debito pubblico di piccolo taglio, i famigerati mini-BOT.

Da qui, sulla scorta di alcune dichiarazioni rilasciate in passato da Claudio Borghi – il presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati – ha iniziato a diffondersi sui social e sui quotidiani la preoccupazione che tale atto potesse configurarsi come il primo di una serie di passi volti a condurre l’Italia fuori dall’euro.

Tuttavia, occorre provare a riportare un po’ di chiarezza, nonché evitare affrettati processi alle intenzioni – del resto, mai particolarmente velate – della maggioranza di governo. Difatti, anche qualora concretizzata in un atto normativo, tale mozione di legge – pur incrementando l’ammontare di debito pubblico rilevato da Eurostat – non avrebbe senz’altro l’effetto di introdurre in Italia una moneta “fiscale” o “parallela”, che dir si voglia.

Difatti, come spiega la Banca d’Italia in una nota del 2017, da un punto di vista giuridico, una passività del settore pubblico consolidato (dove, con settore pubblico consolidato, si intende il consolidamento, a fini didascalici, della banca centrale e della pubblica amministrazione di uno stato in un unico ente) diventa moneta legale solamente quando:

1)Ha corso legale, cioè, vi è l’obbligo di accettarla come mezzo di pagamento;

2)Ha un valore nominale pieno garantito dallo stato – cioè, può comprare beni e servizi per un ammontare pari al suo valore facciale;

3)È riconosciuto come strumento legale per estinguere un debito.

Ora, visto che – per definizione – i mini-BOT:

1)Non avrebbero corso legale, cioè, non vi sarebbe obbligo per nessun produttore di beni e servizi di accettarli come mezzo di pagamento in cambio dei beni e servizi prodotti;

2)Anche qualora iniziassero a circolare come mezzo di pagamento informale, il loro valore monetario non sarebbe – molto probabilmente – pari al loro valore nominale (a causa del tasso di sconto che verrebbe loro applicato proprio per il fatto di non avere corso legale e, quindi, di avere una liquidità inferiore alla moneta legale);

3)Non rappresenterebbero l’estinzione del debito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese del settore privato che li riceverebbero – in quanto queste ultime avrebbero il diritto di utilizzarli come strumento di pagamento delle imposte, estinguendo così il loro debito solo in quel momento;

Ci pare del tutto inappropriato definirli moneta “parallela” o “fiscale” paragonabile a quella legale.

Tuttavia, si potrebbe obiettare che i mini-BOT, pur non integrando la fattispecie giuridica di moneta legale, potrebbero consistere in una moneta a tutti gli effetti sul piano della teoria monetaria. Ma, in questo senso, occorre ricordare la differenza tra “moneta della banca centrale” (o “base monetaria”, B) e “moneta bancaria” (M): mentre B è composta dal circolante e dalle riserve bancarie, M è composta dal circolante e – a seconda dell’aggregato preso in considerazione – da titoli di credito cartolarizzati con scadenza inferiore (al massimo) a tre anni. Quindi, anche qui, il mini-BOT – pur essendo una passività dello stato – non entrerebbe a fare parte della base monetaria, ma semplicemente di uno degli aggregati monetari (prendiamo pure, per comodità, l’aggregato più ampio, cioè M3) che indentificano la moneta bancaria, esattamente come avverrebbe per un BOT qualsiasi.

Quindi, in estrema sintesi: finché i mini-BOT non diventano, per legge, uno strumento con cui lo stato può estinguere il suo debito con le imprese commerciali senza impegnarsi a redimerli in euro (introducendo, così, un obbligo ad accettarli come mezzo di pagamento e di estinzione di un debito), è improprio parlare di moneta “parallela” o “fiscale” da un punto di vista giuridico; al massimo, i mini-BOT potrebbero incrementare l’offerta di moneta intesa non come “moneta della banca centrale”, o “base monetaria”, ma come moneta bancaria – redimibile in unità di quest’ultima.

*Hanno collaborato alla stesura dell’articolo Pietro Bullian e Giacomo Messina

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