Il vertice di Malta sui migranti segna una prima ricucitura dell’Italia con i nostri partner europei presi a sportellate dai sovranisti. Per quanto sia una strada già percorsa con poco successo, Germania Francia, Italia, con la stessa Malta e la Finlandia tornano a parlarsi sui ricollocamenti dei migranti. Speriamo anche a fare qualcosa di concreto, se no finirà come negli anni scorsi.
La rotazione volontaria dei porti e la relocation dei migranti sbarcati in Italia, rivendicate dal ministro Lamorgese, infatti non le decide l’Europa ma i singoli Stati nazionali. In materia di immigrazione, l’Europa non “stabilisce” nulla. Ci sono linee guida, regole, trattati, ma il numero delle riallocazioni lo sceglie ogni singolo Stato membro della Ue. E i numeri fino a ora sono risibili.
Questa consapevolezza si riflette nelle dichiarazioni fatte a La Valletta, quando ministri e commissario Ue, tutti insieme, hanno discusso di Europa e immigrazione, e quando invece gli stessi ministri si sono rivolti al loro elettorato e alle opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi. Il tedesco Seehofer, per esempio, in Gemania deve vedersela con il suo partito, la CSU, contrario ad accogliere altri migranti dall’Italia.
Per non dire del presidente Macron convinto che la Francia non accetterà nuovi ingressi da Paesi extraeuropei con cui non abbia già stretto accordi. Insomma l’Europa riapre ma come al solito si parte con le parole. Meccanismi come l’opt-out permettono del resto agli Stati UE di derogare o rinunciare alle linee guida europee, facendo quello che ritengono più utile rispetto all’interesse nazionale.
In attesa che ci sia una Europa vera e forte sulla immigrazione, però, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo noi italiani. Siamo il terzo Paese europeo per stranieri residenti e questo non perché nel giro di due anni ci sia stata la invasione paventata da Matteo Salvini bensì perché la maggior parte delle persone giunte in Italia e che ora vivono e lavorano nel nostro Paese sono arrivate nei primi anni Duemila. Nonostante la guerra e la destabilizzazione della Libia, insomma, i flussi sono diminuiti nel corso degli ultimi 20 anni.
Ma allora non si capisce neanche l’altro mantra che circola in Italia ben prima della invasione di Salvini, e cioè che al nostro Paese servirebbero più migranti per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare. L’ultima fotografia sugli stranieri in Italia racconta una realtà molto diversa.
Esiste soprattutto in Nord Italia un vasto mondo della immigrazione, composto soprattutto di giovani con famiglie monoreddito, dove chi porta lo stipendio a casa quando va bene viene sottopagato, quando va male sfruttato a nero. Per cui la domanda è vogliamo alimentare questa bolla occupazionale con nuovi ingressi di migranti con scarsa istruzione e qualificazione professionale? Così apriremo solo una guerra tra le comunità di stranieri che vivono nel Paese.
Non si tratta di razzismo, il nostro mercato del lavoro non è in grado di assorbire tutti i migranti economici. In Italia bisogna fare nuove politiche migratorie. Investire nelle politiche attive del lavoro. Garantire la libertà di circolazione superando le regole di Dublino, in una cornice di legalità e sicurezza. Avere più mobilità, più ascensore sociale per chi lavora e si dà da fare. Così l’accoglienza diventa integrazione. Europea.