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La lezione di Eisenhower sul come (non) si affronta la Russia

La guerra in Ucraina sta andando male per i russi. L’attacco era partito per fermare l’allargamento NATO e per stroncare l’insorgenza di un sentimento nazionale ucraino, ma per ora sta dando i risultati opposti. Inoltre, ci sono stati numerosi errori sul campo: la sottovalutazione del nemico; le difficoltà logistiche che hanno portato i carri armati russi a essere esposti agli attacchi delle forze armate ucraine con i missili anticarro Javelin; i problemi della catena di comando dell’esercito russo, che sono stati ben evidenziati dal Capo del Pentagono Austin e dal Capo di Stato Maggiore americano Mark Milley. Non sembra esserci abbastanza fiducia verso i livelli inferiori delle forze armate, ciò influisce negativamente sulla flessibilità delle truppe sul campo. Queste falle sono state ben rappresentate dall’esposizione dei generali russi, uccisi a decine dagli attacchi ucraini con i droni turchi Bayraktar TB2.

Le difficoltà russe non implicano però la vittoria dell’occidente. Anzi, dal punto di vista occidentale, è vitale avere un’adeguata chiarezza strategica. Cioè, stabilire degli obiettivi e i mezzi per raggiungerli all’interno dei limiti posti dalla realtà nella quale si agisce.

A tal proposito, vi è un episodio nella storia degli Stati Uniti, che riguarda proprio la Russia (all’epoca in versione URSS, ma non cambia la sostanza) che dà una lezione preziosa.

Era l’estate del 1953. Alla Casa Bianca c’era Dwight “Ike” Eisenhower, che era stato il generale che aveva comandato le truppe alleate in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il Presidente Eisenhower convocò alti funzionari degli apparati strategici americani. Vi erano diplomatici, uomini dell’intelligence e delle forze armate. L’ordine del giorno era l’elaborazione della strategia americana nella Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica. Il seminario strategico venne poi chiamato «Solarium Exercise», dal nome della stanza della Casa Bianca dove avvenne l’incontro.

Eisenhower divise i suoi uomini in tre squadre. Ciascuna squadra avrebbe presentato le proprie valutazioni riguardanti la strategia da scegliere.

La squadra A voleva mantenere la dottrina del contenimento. Era guidata non a caso da George Kennan, eccellente diplomatico che aveva elaborato la suddetta dottrina qualche anno prima. In breve, Kennan partiva dall’analisi dell’atteggiamento bellicoso sovietico, causato soprattutto dallo storico senso di insicurezza russo su cui si era innestato il marxismo. Gli USA avrebbero dovuto contenere l’espansionismo russo in alcuni specifici punti geografici tramite il proprio potere politico ed economico e la propria influenza culturale, tutte aeree in cui gli Stati Uniti erano superiori. Infatti gli USA avrebbero vinto nel lungo periodo, mentre l’URSS era strutturalmente vulnerabile. Sotto la pressione del contenimento americano, che dunque non è da confondere con un atteggiamento passivo, i sovietici sarebbero crollati. Come in effetti poi avvenne.

La squadra C, vicina alle posizioni dal Segretario di Stato Dulles, sosteneva un approccio diverso: il roll back. L’America avrebbe dovuto far indietreggiare la sfera di influenza russa in est Europa facendo crollare i regimi comunisti, anche a costo di rischiare una guerra.

La squadra B aveva invece una posizione intermedia. Doveva infatti stabilire una linea rossa, cioè le aree geografiche che a tutti costi non dovevano cadere sotto il dominio sovietico.

Eisenhower sostenne le tesi della squadra A. Il contenimento avrebbe infatti impedito l’espansionismo sovietico e indebolito l’URSS senza ricorrere alla guerra in epoca nucleare. Con la consapevolezza della superiorità americana. Tutto ciò venne riassunto nel documento strategico NSC 162/2, il prodotto del Solarium Exercise.

Al contrario, per Eisenhower il rischio di una nuova guerra globale andava contro gli interessi americani e anche contro l’ideale stesso di America. Oltre a devastare il mondo, la guerra nucleare-globale avrebbe distrutto la stessa libertà individuale: il pilastro su cui fonda la Nazione americana. Dunque andava per lo meno non incentivata.

Eisenhower sostenne che, per vincere un conflitto di quelle proporzioni, il governo americano avrebbe dovuto militarizzare la propria società, che era intrinsecamente amante della libertà, per costringere il popolo a sostenere lo sforzo bellico. Sarà anche stato un militare, ma Eisenhower mise più volte in guardia l’America dal «complesso militar-industriale» che avrebbe rischiato, se non controllato, di fare degli USA uno «Stato-caserma».

Ma per Eisenhower, in caso di vittoria in una guerra “calda” contro l’URSS, per l’America sarebbero emersi dei problemi ancora più gravi. Infatti gli americani avrebbero dovuto gestire un enorme spazio devastato nel cuore dell’Eurasia. Avrebbero dovuto occuparlo militarmente o convivere col caos. L’occupazione andava oltre le capacità americane. Era un’area geografica troppo grande e, ancora una volta, la società americana si sarebbe opposta a tale sforzo. Quindi gli USA avrebbero dovuto militarizzarsi ancor di più, danneggiando la propria liberal-democrazia. Distruggendo in quel modo l’URSS, avrebbero distrutto anche sé stessi.

Il contenimento, che venne completato rispetto alla versione iniziale di Kennan dai contributi di altre grandi menti, risultò essere la tattica migliore per realizzare la strategia americana nella guerra fredda. Indeboliva l’URSS e autolimitava gli USA, schivando così il rischio di una guerra nucleare. E gli Stati Uniti vinsero la guerra fredda senza sparare un colpo.

La lezione di Eisenhower sta nella visione completa della geopolitica americana. La base della geopolitica americana infatti doveva essere la difesa della libertà del popolo americano, l’America o è libera o non è. Ciò era già stato affermato nel 1950 nel documento strategico NSC-68, per cui l’obiettivo più importante della politica estera americana era quello di mantenere gli USA un Paese libero. Su queste fondamenta si articolava la Grand Strategy americana del contenimento, che risultò vincente proprio perché teneva in conto i limiti posti dalla realtà al margine di azione dei decisori americani. Tradotto: non si poteva fare una guerra aperta in epoca nucleare né pensare di occupare l’URSS. L’occupazione territoriale è aliena al tipo di Potenza che sono gli Stati Uniti. L’efficacia del contenimento risiedeva pure nella chiarezza degli obiettivi: si doveva fermare l’espansionismo russo, non provocare un regime change. Ricercava obiettivi limitati, non assoluti.

Eisenhower e Kennan, ma in generale tutti gli altri wise men che hanno elaborato la politica estera americana nella prima fase della Guerra Fredda, si muovevano mantenendo un equilibrio costante tra impulso ideale e realismo. L’eccezionalismo americano si proponeva come necessario fattore propulsivo della politica estera, ma combinato con un’analisi pragmatica della realtà e dell’interesse nazionale americano. Gli USA erano una Potenza diversa rispetto agli imperi del passato nella missione, ma analoga a livello operativo. Cioè rispettosa dei limiti della propria potenza nel perseguimento dei propri obiettivi strategici, nel caso americano: evitare l’emersione di un egemone nella massa eurasiatica in grado di sfidare il controllo americano delle vie di comunicazione marittime, il fattore chiave del primato americano sul mondo.

I Presidenti americani che più di tutti hanno avuto successo in politica estera – specie quelli afferenti al realismo politico, da Theodore Roosevelt a Bush senior passando per Eisenhower – mettevano l’ideologia dell’eccezionalismo americano al servizio dell’interesse nazionale.

Scartando quindi quello che per il leggendario Segretario di Stato Henry Kissinger è stato il doppio male degli USA, cioè l’isolazionismo (oggi forte nella destra trumpiana e nella sinistra di Sanders) e l’eccessivo coinvolgimento. Lo scontro tra fautori del contenimento e del roll back era l’espressione di una divisione permanente all’interno dell’establishment strategico americano. Quella tra i realisti sostenitori di una politica di equilibrio di potenza e i paladini di un approccio quasi rivoluzionario agli affari esteri per plasmare il sistema internazionale. Questo dualismo sarebbe emerso poi negli anni ’70 nei rapporti tra Kissinger e il nascente movimento neoconservatore (raccontati nel libro Henry Kissinger e l’ascesa dei neoconservatori dello storico Mario del Pero), e successivamente nelle relazioni tra l’ala neocon e quella realista dell’amministrazione di Bush padre e successivamente in quella di Bush figlio nel momento della decisione sull’abbattimento del regime di Saddam in Iraq.

Sintomi di quella che Kissinger ha definito l’ambivalenza degli USA verso l’ordine internazionale tra il pragmatismo tipicamente americano e l’idealismo che spesso sfocia in un atteggiamento missionario che cerca di plasmare il resto del mondo.

Oggi un atteggiamento alla Eisenhower punterebbe a indebolire l’espansionismo di Mosca, ricercando però sempre obiettivi limitati: far fallire l’attacco all’Ucraina senza puntare al regime change.

In ogni caso, non si può negare che la lezione di Eisenhower della guerra fredda, focalizzata sulla preservazione della libertà e della coesione nazionale a livello interno e sull’analisi pragmatica delle circostanze geopolitiche e dell’avversario a livello esterno, sia illuminante in un momento decisivo come quello attuale.

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1 comment

Dario+Greggio 14/05/2022 at 19:05

indubbiamente

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