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Israele vs Hezbollah: il rischio di guerra rimane anche con il deal sul gas

Il rischio di una guerra tra lo Stato di Israele e l’organizzazione terroristica libanese filo-iraniana Hezbollah si è progressivamente alzato negli ultimi mesi.

Il casus belli avrebbe potuto essere il fallimento dei negoziati, guidati dagli Stati Uniti, per marcare il confine marittimo tra lo Stato ebraico e il Libano. La settimana scorsa sembrava già fatto un accordo che dovrebbe lasciare la riserva di gas Karish a Israele e dovrebbe dividere il giacimento Kana tra i due Paesi. Beirut avrebbe tuttavia chiesto delle modifiche che il governo di Gerusalemme non sarebbe disposto ad accettare. Tutto ciò ha fatto aumentare la tensione.

Il Direttore del Mossad David Barnea ha avvertito il governo israeliano e l’establishment strategico del Paese che Hezbollah potrebbe condurre un limitato attacco contro le installazioni israeliane che estraggono il gas nel giacimento conteso, dato che il leader delle stessa organizzazione Hassan Nasrallah ha promesso di procedere in tal senso in caso di mancato deal.

Il Ministro della Difesa Benny Gantz e il Capo di Stato maggiore Aviv Kohavi hanno affermato che ciò scatenerebbe la reazione israeliana: significherebbe guerra aperta. Non è stato escluso l’attacco preventivo contro Hezbollah. Non a caso, sabato 8 Ottobre si è tenuta una riunione di sicurezza del Governo israeliano a cui ha partecipato anche il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, evento che si verifica solo quando ci sono in ballo temi molto sensibili per la sicurezza nazionale. Bisogna aggiungere che Hezbollah nei mesi scorsi ha inviato alcuni droni verso i giacimenti di gas israeliani che son stati abbattuti dalle difese israeliane. Tuttavia, l’11 Ottobre l’accordo storico (Israele e Libano sono formalmente ancora in guerra dal ’48) è stato confermato dal Premier israeliano Lapid, dal Presidente del Libano Michel Aoun e dall’amministrazione Biden che ha mediato durante le negoziazioni.

Di sicuro son stati mesi molto caldi in Israele.

Si sono intensificate le operazioni antiterrorismo nel West Bank, si stima che lo Shin Bet (i servizi segreti che si occupano della sicurezza interna dello Stato di Israele) abbia sventato oltre 300 attentati terroristici dall’inizio dell’anno. Nel prossimo futuro potrebbero essere utilizzati anche droni per operazioni targeted killings nella West Bank.

Inoltre, ad Agosto Tzahal (le forze di difesa israeliane) ha condotto loperazione Breaking Drawn per colpire il Jihad islamico palestinese a Gaza. Ciò costituisce un ulteriore indizio di una maggiore tensione tra Israele e le milizie legate a ll’Iran.

Nel caso di Breaking Dawn, tutto è iniziato con una serie di arresti nelle città palestinesi della Cisgiordania di membri del Jihad islamico (da non confondere con la più nota Hamas, l’altra organizzazione islamista palestinese) tra cui il leader della medesima organizzazione nella Cisgiordania Bassem Saadi. In risposta, il Jihad islamico ha minacciato ritorsioni dalla Striscia di Gaza. Israele ha scelto di prevenire. Il governo di Yair Lapid ha prima chiuso le città del sud, poi ha ordinato l’operazione tenendo conto dei rapporti di intelligence su un imminente lancio di razzi da Gaza.

Il 5 Agosto è iniziata l’operazione. Le forze armate israeliane hanno ucciso il comandante del Jihad Palestinese del Nord della Striscia di Gaza Taysir Al-Jabari con un’operazione chirurgica, è stato colpito solo l’appartamento del leader terrorista senza recare danni agli edifici limitrofi. Contemporaneamente sono state colpite delle squadre del Jihad islamico che si stavano recando presso le installazioni di lancio dei razzi. Il tutto è durato 170 secondi. La risposta dell’organizzazione palestinese si è realizzata con il lancio di 1100 razzi verso le città israeliane che non hanno causato alcun danno alla popolazione civile, anche grazie all’eccellente performance del sistema antimissile Iron Dome che ha intercettato il 96% dei razzi lanciati, percentuale superiore rispetto al più frequente 90% che è stata resa possibile sia grazie ai continui miglioramenti del sistema sia per la minore potenza di fuoco del Jihad islamico rispetto ad Hamas. L’operazione è terminata dopo 66 ore, durante le quali Israele ha decapitato la leadership del Jihad uccidendo tra gli altri il comandante del Jihad del sud della Striscia di Gaza Khaled Mansour e il suo vice.

È stato un successo tattico per Israele per più ragioni. Primo perché l’uccisione dei capi militari dell’organizzazione rivale ha rotto la catena di comando nemica, complicando i piani di rappresaglia. Poi perché ha acutizzato la spaccatura tra i due gruppi islamisti palestinesi, evidenziata dalla neutralità mantenuta da Hamas di fronte agli attacchi contro il territorio che governa. Il non coinvolgimento di Hamas comunque si spiega anche perché deve ancora riprendersi del tutto dal conflitto del 2021 e soprattutto dato che né Hamas né Israele avevano interesse in un’escalation.

Cosa dimostra l’operazione Breaking Dawn?

Da un lato sembra essere stata l’ennesima operazione militare che Israele compie per evitare che le milizie di Gaza rafforzino troppo il loro arsenale. Questa è stata infatti la logica di tutte le operazioni da Piombo Fuso del 2009 fino a Guardiani del Muro del 2021. Alcuni critici di Israele, in modo sorprendentemente ottimista, ritengono che ci sarebbe la pace se Israele riconoscesse il governo di Hamas a Gaza. Di fatto però Israele ha già accettato il governo di Hamas a Gaza, ciò che non può accettare è che questi si rafforzino. L’unica alternativa è dunque una condizione di coesistenza combattiva.

In questa operazione ci sono tuttavia altri elementi da sottolineare. Il Jihad islamico infatti è l’organizzazione paramilitare palestinese più legata all’Iran. Certamente pure Hamas è cliente di Tehran, però intrattiene rapporti pure con alcuni Stati arabi (Qatar in primis) e con la Turchia. Il Jihad invece è il più allineato all’agenda della Repubblica islamica, ad esempio si considera vicino ai ribelli Houthi in Yemen. In effetti, poco tempo dopo l’operazione, il Generale israeliano Kohavi ha dichiarato che Israele aveva realizzato anche un attacco in un Paese terzo durante l’operazione Breaking Dawn. Negli stessi giorni girava la notizia su alcuni media arabi di un attacco in una base degli Houthi dove erano rimasti uccisi membri dei Pasdaran e di Hezbollah.

Non solo, diversi esperti di affari militari hanno sottolineato un cambiamento nella postura strategica israeliana: il passaggio ad un atteggiamento preventivo. Lo Stato ebraico potrebbe intensificare una campagna di attacchi preventivi contro i proxies iraniani nella regione mediorientale per evitare che questi si rafforzino e soprattutto che acquisiscano missili di precisione.

Ciò indebolirebbe l’Iran, che deve già fronteggiare una situazione potenzialmente rivoluzionaria in casa, sia in ottica di una resa dei conti sul nucleare (si indebolisce la capacità di deterrenza iraniana) sia in caso di nuovo accordo (l’Iran non potrebbe usare le eventuali nuove risorse finanziarie in favore dei suoi clienti se questi vengono colpiti da Israele) che al momento pare improbabile. In generale, l’asse iraniano, come certificato pure dall’ex Direttore del Mossad Yossi Cohen, si è indebolito negli ultimi anni. Ma proprio per questo è più pericoloso.

Nelle ultime settimane sono infatti aumentati i raid israeliani in Siria contro l’Iran e i suoi clienti, anche data la minore attenzione di una Russia che causa guerra in Ucraina sembra indebolirsi in ogni quadrante. Stanno poi aumentando le esercitazioni dell’esercito e dell’aviazione in vista di guerre su larga scala nella regione e si stanno intensificando i test che coinvolgono l’intero arsenale della difesa aerea israeliana. Sono tre gli ipotetici scenari delineati da tali mosse: un attacco contro Hezbollah per distruggerne le capacità, un’offensiva più ampia contro tutte le milizie filo-iraniane e infine una guerra diretta contro l’Iran. L’una non esclude l’altra.

Nonostante il nuovo accordo, il rischio più probabile sembra quello una guerra tra Israele ed Hezbollah, che avrebbe conseguenze esplosive per tutti. Hezbollah infatti è ormai un esercito regolare. Si stima abbia un arsenale di 130 mila razzi e missili che sono a pochi chilometri dal confine e minacciano sensibilmente il cuore metropolitano israeliano (specie Haifa e Tel Aviv), poi ha dimostrato di sapere fare la guerra in Siria ma anche contro Israele nel 2006. Ciò ovviamente porterà lo Stato ebraico ad una risposta decisa che prevederà anche truppe sul campo. Il dispiegamento della potenza di fuoco israeliana necessaria per sconfiggere Hezbollah sarebbe tale da poter sconvolgere definitivamente un Libano già in crisi esistenziale. Se da un lato l’accordo sui confini marittimi e il momento complesso per entrambi – l’Iran più debole per Hezbollah e le elezioni per Israele – potrebbero frenare le spinte all’escalation, dall’altro lato quelle stesse sfide potrebbero sar saltare la situazione.

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