Conflitti tra clan, governi deboli e richiami xenofobi, da personaggi politici che hanno ben imparato a dividere le genti per mascherare cattive politiche. Queste sono alcune tra le piaghe che affliggono il continente africano.
Per molto tempo, specialmente con questo anti-occidentalismo new age, sono state affibbiate colpe agli europei in modo non del tutto appropriato. Una certa retorica ritrova nelle azioni dei colonizzatori europei (non esenti da gravi colpe) le uniche cause dei problemi che il continente è costretto ad affrontare adesso. Nel frattempo, la società africana è dipinta come vittima impotente che marcia inesorabilmente verso un destino di miseria, mentre si ignorano completamente le responsabilità dei leader locali e/o non europei che sono e sono sempre stati assoluti protagonisti.
La tratta degli schiavi in Africa
Inizio questa riflessione concentrandomi su una pratica spregevole: il commercio umano di schiavi. Dunque, i colonizzatori europei hanno portato qualcosa di nuovo? Assolutamente no.
Diversi studi storiografici, raccolti in una varietà di libri (Slavery in the Arab World di Murray Gordon, Les Traites négrières di Olivier Grenouilleau, Les Barbaresques e Négriers en terres d’islam di Jacques Heers, The legacy of Arab-Islam in Africa di Jhon Azumah), raccontano di una rotta di schiavi, chiamata “Mediterranea”, faceva arrivare nei porti del Maghreb arabo uomini e donne provenienti dal centro dell’Africa, che confluivano sia in Europa, sia in Asia Minore, per arricchire la schiera di servitù che accompagnava i grandi signori del tempo. Questo fenomeno è cominciato nel XII secolo, periodo in cui l’Islam è penetrato all’interno delle regioni subsahariane, varcando i monti dell’Atlante e raggiungendo le carovane berbere (anche se potremmo far riferimento alla schiavitù in età egizia, ma mi interessa focalizzarmi su un periodo più recente). Si parla di numeri che oscillano tra I 20 e I 30 milioni di schiavi provenienti dall’Africa Subsahariana.
Un’altra rotta, gestita sempre da potentati islamici, era quella dell’Oceano Indiano. Migliaia di schiavi partiti dai porti del Corno D’Africa sono approdati in Arabia, e nelle regioni persiane. Di questi abbiamo ancora testimonianze tutt’oggi dai discendenti di quegli schiavi, che abitano ancora in zone disparate dell’Iran.
Dunque le forme schiavili erano presenti ben prima dell’arrivo europeo.
Ma cosa cambia con l’arrivo occidentale? Il traffico umano si estende a tutto il continente, anche nella parte occidentale che affaccia sull’oceano Atlantico. Si trattava di un business estremamente redditizio, specialmente per gli stessi imperi africani, coinvolti in prima liena in questo tipo di affari. Infatti, gli imperi più sviluppati, quelli del Ghana, del Mali e del Benin, facevano dei loro punti di forza anche il commercio di schiavi. Questi schiavi venivano rapiti nelle foreste e ceduti a commercianti europei in cambio di armi o polvere da sparo.
Non è un caso che man mano che la schiavitù viene abolita nei paesi occidentali, il sistema commerciale degli imperi africani subisce una profonda crisi. Alcuni storici (ad esempio Paul Lovejoy nel libro Transformations of Slavery: A History of Slavery in Africa, Richard Raiswell in The Historical encyclopedia of world slavery, o Bernardo Bernardi in Africa) hanno collegato questo episodio alla fase di decadenza di alcune di queste potenze regionali, (Regno del Benin, il Regno del Dahomey, l’Impero Ashanti, l’Impero Oyo e il Regno del Congo,) che porta successivamente alla loro perdita di indipendenza per mano europea.
Dunque mi sento di dover sfatare un mito a fine capitolo; no, gli europei non hanno introdotto la schiavitù in Africa. Non sono però esenti da colpe, visto che, da super potenze quali erano, ne hanno monopolizzato le tratte e ne hanno reso massimo il guadagno, specialmente trasportandoli nelle colonie americane. Allo stesso tempo, però, le controparti africane, vuoi per debolezza o, come abbiamo visto, per convenienza politico-economica, non ne hanno in alcun modo impedito lo sfruttamento delle risorse umane. Anzi, furono complici dei commercianti di schiavi europei.
Le colpe del colonialismo e fin dove arrivano
Non possiamo dipingere gli europei colonizzatori come loro stessi si autodescrivevano, ovvero angelici portatori di civiltà in mezzo a tribù primitive. Aver sottomesso le inermi popolazioni locali e aver approfittato dell’abbondanza di risorse del continente, ricco di materie prime, di minerali preziosi e introvabili e di terre adatte alle colture più esotiche furono già gravissime colpe.
Va inoltre sottolineato come alcune potenze tutt’ora siano molto attive politicamente nel continente, come Francia e Inghilterra, due nazioni dal grande passato coloniale. Questo però si è visto necessario visti i continui stravolgimenti politici nei territori delle ex-colonie.
Ma la colpa che definisco più grave, poiché ha ripercussioni notevoli nei nostri giorni, fu quella di stabilire i confini delle aree di influenza con righello e squadra. Questa demarcazione di confini tra colonie ha reso difficile la coesione sociale nel momento che si è arrivati all’indipendenza dai colonizzatori.
A ciò si aggiungono altre azioni problematiche. Anzitutto, la strategia del divide et impera che consisteva nel promuovere divisioni interne alla società locale per evitare la formazione di un’opposizione forte che minacciasse il proprio potere. Inoltre, i colonizzatori europei erano soliti spostare masse di popolazione in zone ove era richiesto personale, vuoi per agricoltura, vuoi per estrazioni minerarie.
Alcune tribù sono sparite dalla terra d’origine e si sono mischiate con altre etnie che erano già presenti nella zona. Un esempio è la popolazione dei Masai, che vive ora a confine tra Kenya e Tanzania, spostato dal cuore del Kenya per evidenti intenti strategici.
Però, queste divisioni politiche ed etniche sono state, per i vergini stati africani, la grande scusa per coprire le incertezze della loro legislatura. Un esempio è forse il più grave conflitto mai avvenuto nel continente: il genocidio ruandese dei Tutsi. Va ricordato che lì non furono gli europei a compiere il genocidio. Anzi, i colonizzatori se ne erano andati da decenni, e la comunità internazionale preferì non guardare quegli avvenimenti. Alla fine quasi un milione di persone furono uccise.
Ma altre guerre, non solo etniche, anche religiose, sono all’ordine del giorno nei neonati stati africani. Congo, Sudan e Somalia fanno dell’instabilità politica il loro marchio di fabbrica. E qui gli europei, in relazione alle colpe degli africani stessi, c’entrano davvero poco. Vero è anche che la maggior parte delle armi presenti nei conflitti africani, non sono africane, ma altrettanto vero e che i politici africani hanno un livello di corruzione che ne fa da padrone anche nella scelta tra armarsi e far studiare la propria gente.
Ricordo che non sono gli europei a far combattere bambini giovanissimi, o a mettere in mano a dei minorenni un ak47. Le scelte di questi nuovi conflitti sono puramente africane, come la nascita di nuove cellule terroristiche, che destabilizzano un continente che potrebbe essere un partner straordinario per l’Europa.
L’interesse europeo sarebbe quello di un’Africa prospera e priva di conflitti. Non sono gli europei che scelgono a tavolino le divisioni territoriali attuali in Somalia, non decidono quale politica economica sia migliore per il Benin. Le popolazioni locali, indipendenti già da diversi decenni, hanno il proprio futuro nelle proprie mani.
Cos’altro hanno lasciato gli europei
Il modello di stato, sviluppato dalle nazioni europee nel corso di secoli, è stato in parte fatto proprio dagli stati africani, specie per quanto concerne l’istruzione. Non è un caso che i personaggi decisivi per l’indipendenza furono proprio coloro che, avendo studiato e appreso i modi occidentali, volevano ricreare un mondo con gli stessi ideali di libertà nel loro paese natio. Molti tra gli eroi africani del periodo hanno studiato in Europa, tra Parigi e Londra.
La conoscenza ottenuta attraverso un modello di istruzione di forte influenza europea ha liberato l’Africa dall’oppressore, in quanto sono stati forniti ai nuovi cittadini africani gli strumenti necessari a comprendere il mondo del colonizzatore. Conoscendo il nemico si è riusciti a liberarsi da esso, come descritto nel libro di Bernardo Bernardi Africa.
Lo stesso modello di istruzione ha offerto anche altre opportunità. Forse anche inconsapevolmente, i colonizzatori europei hanno fornito all’Africa gli elementi per prosperare in maniera indipendente.
Tutti gli elementi che potevano agli inizi del colonialismo costituire all’inizio una netta superiorità dei paesi occidentali, come istruzione, conoscenze mediche, tecnologiche, sono ora anche a disposizione degli africani. Ma le scelte, gli errori e le azioni dei loro despoti continuano a frenarne lo sviluppo.
Che Africa sarà?
Il sogno africano è nelle mani degli africani. Ormai, nel 2022, solo loro possono scegliere il loro destino. Possono scegliere il loro modello di sviluppo, I loro sistema legislativo e di governo. Possono scegliere se dipendere interamente dal diritto religioso (come ad esempio la sharia), o in che misura recuperare le tracce del diritto orale tradizionale, tramandato tramite capi-tribù.
La loro indipendenza ottenuta decenni fa implica anche una certa responsabilità per ciò che avviene e ciò che avverrà.
Nonostante i paesi colonizzatori europei abbiano le loro colpe, queste non possono essere l’unica spiegazione del mancato sviluppo africano. Anzi, questa retorica offre una scusa per sottrarre i governi africani dalle loro responsabilità, ritardando ulteriormente questo sviluppo.
I vari stati africani hanno in mano tutti gli strumenti necessari per intraprendere un cammino che possa garantire ai loro cittadini pace e prosperità. È ora che comincino ad agire in tal senso.
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1 comment
Ovvio.
Io penso che la colpa sia della “geografia”, come si dice in Armi acciaio e malattie. Oppure, semplicemente, degli esseri umani di merda a cui il caldo fa più male…