Forse qualcuno, all’inizio, avrà provato una qualche simpatia per il manager romano che scese in politica qualche anno fa, con l’entusiasmo di chi si getta in una nuova impresa e la sicurezza di chi conosce ciò di cui parla. Perché, chiariamoci, Calenda spicca comunque per preparazione se paragonato ai vari Di Maio o Salvini, e non voglio certo mettere in discussione questo punto. Chi però segue Calenda da un qualche tempo potrebbe avere qualche ricordo di alcune sue dichiarazioni un po’ ambigue su certe tematiche, magari nascoste tra una polemica per la polo Lacoste e per il figlio che, privato dei videogiochi, si rifugia nel comunismo nostalgico.
Per rinfrescare la memoria a chi, come il sottoscritto, non ha voluto spendere soldi per acquistare il suo libro dal roboante titolo “Orizzonti Selvaggi”, Calenda ha pensato bene di riassumere le basi del suo pensiero in un manifesto su Il Foglio, intitolato “Rivoluzione Immoderata”. Passata la sorpresa che coglie inevitabilmente ogni nostalgico di Fare, ci si ritrova davanti ad una analisi sociologica che accusa il capitalismo di essere ideologico e non più pragmatico e si propone un nuovo umanesimo, volto a riconciliare la crescita col benessere. “Il grande sconfitto di questi trent’anni e’ alla fine proprio l’umanesimo nelle sue diverse declinazioni: liberale, socialista e cristiano. L’umanesimo non elitario, quello che presupponeva non solo il moltiplicarsi delle eccellenze (cosa senz’altro accaduta), ma il diffondersi della conoscenza e della cultura e l’equilibrio tra mezzi dell’uomo e mezzi della tecnica.”
Non si può non sorridere quando si legge qualcuno che si dichiara progressista rimpiangere il cristianesimo, forza che si è sempre distinta (come è noto) per la visione moderna e orientata al futuro, per nulla reazionaria. Ma Calenda auspica un capitalismo nuovo, Heideggeriano (non a caso aveva ringraziato su Twitter Emanuele Severino per aver sottoscritto tra i primi il suo manifesto), vicino ai bisogni dell’uomo che evidentemente non sono affatto compatibili con il progresso tecnologico.
“La mia tesi è che oggi possa nascere un pensiero politico nuovo, adatto ai tempi, che recuperi (in parte) e rinnovi quello delle tre grandi famiglie politiche democratiche europee: popolari, liberal-democratici, socialdemocratici. Un pensiero fondato sul recupero del valore dell’identità (non statica ma in continua evoluzione) e di un patriottismo inclusivo, su un’economia sociale e di mercato, sull’attenzione al progresso della società come obiettivo superiore rispetto alla crescita economica, che si è dimostrata condizione necessaria ma non sufficiente per la diffusione del benessere nella nostra società.”
E come si può leggendo queste cose non pensare ad una qualche idea di descrescita felice, o almeno di un beato passato in cui eravamo tutti più poveri ma i sentimenti erano veri e i pomodori sapevano ancora di pomodoro? Infatti, continua: “Gli indicatori di benessere equo e sotenibile devono rappresentare la guida per verificare l’efficacia delle politiche prendendo progressivamente il posto del pil.”
Non sembra anche a voi di stare leggendo un pezzo di Grillo o uno dei deliri economici di Paolo Barnard? L’Italia va bene, è solo che usiamo l’indicatore sbagliato: se misurassimo la felicità saremmo noi quelli ben messi, non come i tristi paesi del nord così ricchi ma così cupi (tra l’altro, Luciano Capone faceva notare in un tweet come il famoso indicatore della felicità fosse correlato col PIL pro capite, tanto per dire che forse i soldi non fanno la felicità, ma un po’ di varianza la spiegano).
“Il progresso non può essere disumanizzante. Vale per i braccialetti di Amazon, così come per l’utero in affitto. Tutte le forme di comunità, a partire dai nuclei familiari di ogni tipo, vanno sostenute e rafforzate. In questo senso, fermo restando la centralità del principio di laicità dello stato, nessuna forma di secolarizzazione deve o può essere confusa con la modernità.”
Rialzatomi dalla sedia dopo avere visto il famigerato braccialetto di Amazon paragonato alla gestazione per altri, che ha permesso a moltissime famiglie (tanto amate dall’ex-ministro) di avere figli, inizio a sudare: cosa vorrà dire quel monito? Quale secolarizzazione non deve essere scambiata con la modernità? Mi verrebbe quasi il dubbio che questa sia una invocazione ai (perduti) valori cristiani, ma per fortuna ogni dubbio sta per essere fugato. Infatti, poco dopo leggiamo: “Fenomeni epocali come le migrazioni e la globalizzazione non possono essere gestiti ideologicamente. Il presidio dei confini è elemento costitutivo dello stato e non può essere abbandonato in nome di un generico altruismo.”
Capito? L’umanesimo, la felicita’, il benessere, i confini sono cose concrete, pragmatiche, mentre l’altruismo è un vezzo ideologico e “generico”, che deve essere abbandonato in virtù di un bene superiore. Quale lo deciderà Calenda, speriamo.
Con questo manifesto, si inaugura una nuova corrente politica in Italia, che dietro ad un rassicurante sorriso simil-tecnocratico (della serie “ci penso io!”) nasconde le stesse radici marce del sovranismo più becero: non trovo nome più adatto di “criptopopulismo”. E se le forze deluse dall’attuale governo vogliono riunirsi attorno a questo “nuovo” polo (che inizia già a puzzare di DC) forse è davvero il caso di preoccuparsi: di rivoluzionario e di immoderato qua sembra ci sia ben poco.
3 comments
Per noi comuni mortali non facenti parte del pulpito in cui menti superiori pensano a quanto siano opportune per l’evoluzione del popolino tutte queste belle idee filosofiche su umanesimo, cambiare indicatori per misurare la crescita, “pensieri politici nuovi” eccetera, lasciano una piccola domanda scoperta: ma come diavolo arriviamo alla fine del mese ? E Calenda è probabilmente uno dei piu’ pragmatici, figuriamoci gli altri !
Luca ci sono persone molto più concrete che stanno discutendo su come affrontare la difficoltà della classe media
https://immoderati.it/2019/07/02/il-criptopopulismo-di-calenda/
Caro Federico,
Aspettiamo pure ancora… Pur rimanendo atterrito dal dilettantismo di molti esponenti del presente governo, nè il track record dei cosiddetti “colti” negli ultimi anni nè tantomeno i discorsi tappezzati di tempo futuro e di “bisogna” che continuo a sentire dalle opposizioni mi danno alcuna ragione per essere ottimista.