Quando lo scorso 24 febbraio le truppe russe, sotto l’ordine di Putin, hanno varcato il confine con l’Ucraina, molti in Italia e in Europa sono stati colti di sorpresa per un’azione considerata altamente improbabile di manifestarsi, a causa dei possibili e numerosi risvolti politici ed economici che avrebbe dovuto fronteggiare il regime russo.
Nonostante gli avvertimenti del governo americano, tramite le analisi delle immagini satellitari prodotte dalla società privata Maxar sui movimenti di 100.000 truppe ai confini dell’Ucraina, nemmeno il governo ucraino prendeva in seria considerazione questa potenziale minaccia. È anche sorprendente che quelle migliaia di soldati russi che avevano partecipato a quelle “esercitazioni” non avevano la benché minima idea che presto sarebbero stati mandati inconsapevolmente a invadere l’Ucraina; in molti perdendo la propria vita nei primi due mesi del conflitto, nell’invano tentativo di occupare velocemente Kiev, catturare il governo democraticamente eletto di Zelensky e innescare una resa generale dell’esercito ucraino. Poche settimane, una repentina occupazione dell’intera Ucraina. I russi avrebbero marciato per le strade di Kiev su tappeti di rose rosse lanciate dai cittadini ucraini giubilanti dell’arrivo del tanto ammirato popolo fraterno. Putin avrebbe proclamato l’unione dei due popoli, dopo la separazione con il crollo dell’URSS, e l’Europa sarebbe rimasta impotente a guardare, rassegnata ad accettare il fatto compiuto. Ma così non è stato.
Il fatto che il governo ucraino non prese in seria considerazione le avvertenze degli americani non implica che, nei sei anni che si susseguirono dopo la prima invasione del 2014, gli ucraini non avessero fatto uno sforzo titanico di rinnovamento delle proprie forze armate, abbandonando le vetuste tattiche di guerra sovietiche e la sua organizzazione centralistica dell’esercito e adottando un modello di organizzazione e di strategia simile a quello che caratterizza le forze armate della NATO. Uno sforzo rivolto anche nella preparazione della popolazione civile, consapevole che un possibile conflitto con la Russia sarebbe prima o poi scoppiato. Il successo di questa strategia è evidente: gli ucraini sono riusciti a fermare l’attacco a Kiev nei primi due mesi del conflitto, infliggendo pesantissime perdite all’esercito russo, costretto a ritirarsi nelle province nazionali di confine e, nel frattempo, sono stati in grado di impedire la supremazia aerea russa nei propri cieli. Si sono resi protagonisti di eventi di difesa eccezionale, come a Mariupol e nel Donbass, nonostante il dover fronteggiare un esercito quantitativamente superiore, supportati dalla spontanea mobilitazione dei civili. Fino ad arrivare a riprendere l’iniziativa e a liberare il fronte di Kherson a inizio settembre.
Questa resistenza ha esasperato gli alti comandi russi e il regime, i quali, per ritorsione e necessità di sovvertire ad ogni costo l’esito della guerra a proprio favore, hanno dato mano libera ai bombardamenti indiscriminati della aree civili, alla distruzione di centinaia di ettari di campi di grano e il perseguimento cinico del blocco dei porti ucraini per l’esportazione del grano nel mercato mondiale. Il regime e gli alti comandi non si sono presi cura della condotta delle proprie truppe, le quali si sono abbandonate a stupri, a massacri e a razzie, invogliati anche da un senso di superiorità identitaria. Dinamiche di guerra che ci riportano ai più cupi momenti della storia europea, ma che non sono eccezionali se si osserva la strategia di guerra russa nelle passate guerre in Georgia e Cecenia, quasi a suggerire un consolidato modus operandi.
Tutto ciò che è stato riportato dimostra che la peculiarità della resistenza ucraina non è principalmente militare, la quale è certamente encomiabile e di fondamentale importanza, ma è prima di tutto morale. Nel resistere hanno dimostrato che molte delle convinzioni che si sono diffuse in una porzione dell’opinione pubblica europea sono false, frutto di una instancabile propaganda fatta dal regime di Putin, con l’aiuto di molti opinion maker occidentali di orientamento sia di destra che di sinistra. Non esiste nessuna volontà del popolo ucraino di essere annesso alla Russia, nessun complotto ordito dagli americani che ha voluto installare un “regime democratico” non voluto dai cittadini ucraini, nessuna “minaccia di accerchiamento” che giustifichi questa orrenda invasione. Il conflitto palesa le reali aspirazioni imperialistiche del regime putiniano sui paesi che una volta facevano parte dell’URSS. In sintesi: chi ha voluto la guerra è solo e soltanto la Russia, pianificata scientemente sia sul piano militare che diplomatico.
Tuttavia, ciò che è un fatto evidente per molti non lo è per tutti. In questo caso, è sconcertante come una grande fetta dell’opinione pubblica italiana, in misura marginale anche quella di alcuni paesi dell’EU, sia così ambivalente, titubante nel prendere una posizione decisa a favore dell’Ucraina. Basta dare un attento sguardo ai sondaggi per capire cosa pensano gli italiani del conflitto in Ucraina.
L’opinione pubblica italiana sembra essere la maggioranza (74%) nell’attribuire la responsabilità della guerra alla Russia, ma rimane una buona porzione (37%) che invece incolpa gli USA, una delle percentuali più alte in Europa.
Quando invece si cerca di capire cosa si dovrebbe fare per porre fine il conflitto, si comprende che il possibile sentimento favorevole alla causa ucraina, che si poteva intuire dall’opinione espressa sulla responsabilità del conflitto, viene meno. Il supporto militare all’Ucraina viene fortemente osteggiato dalla maggioranza, dando conferma che gli italiani sono in Europa i più restii ad aiuti militari.
Sul piano diplomatico si manifesta un certo grado di disinteresse per le sorti dell’Ucraina. La maggioranza è d’accordo nel porre fine alla guerra, tramite le concessioni territoriali alla Russia (il primo sotto-insieme maggioritario) oppure siglando un cessate fuoco ma non riconoscendo le eventuali conquiste russe, le quali comunque rimarrebbero de-facto occupate a tempo indefinito. In sostanza, l’opinione pubblica italiana preferisce comunque una soluzione diplomatica favorevole alla Russia per porre fine al conflitto. Quando, invece, viene chiesto se le possibili concessioni territoriali possano essere un precedente pericoloso, il 45% sostiene che non sarebbe una soluzione pericolosa, fornendo come giustificazione principale quella secondo cui sia una questione che riguarda soltanto la Russia e un ex paese del blocco sovietico; mentre quella secondaria considera politicamente giuste le azioni di Mosca. Il 49% invece vede come pericolosa la soluzione delle concessioni territoriali, considerata come una palese ingiustizia ai danni degli ucraini oppure come possibile stimolo a replicare lo stessa guerra in altre parti del mondo per mano di altri regimi illiberali.
È evidente l’ambivalenza dell’opinione pubblica italiana. Riconoscere che la Russia è la responsabile del conflitto non sembra avere come risultato quello di avere un’opinione maggioritaria a favore della difesa dell’Ucraina, ovvero aiuti militari a quest’ultima e stringenti sanzioni economiche, limitazioni politiche alla Russia. Insomma, buona parte dell’opinione italiana è indifferente alle sorti dell’Ucraina, ne riconosce il ruolo di aggredito, ma non sente una particolare vicinanza tale da correre il rischio di accettare posizioni più interventiste. Ciò è un problema soprattutto se si considera il fatto che molti esponenti politici, di vario schieramento ideologico, hanno una posizione simile. Il centro-destra, la coalizione che ha per adesso più probabilità di guidare il prossimo governo, ha in sé due partiti i cui capi politici non riescono a prendere una posizione decisa nei confronti di Putin. Vi sono di certo storici legami politici e financo personali che impediscono che ciò avvenga, ma è abbastanza improbabile che essi non tengano conto di questa indifferenza diffusa tra gli italiani. Solamente la Meloni ha espresso chiare posizioni di supporto verso l’Ucraina, ma che sono dovute a ragioni impellenti di darsi una figura istituzionale, meno da demagoga e da anti-atlantista, in vista di una sua possibile nomina a guida del prossimo governo.
Tuttavia, questa posizione dell’opinione pubblica italiana e dei partiti italiani, specialmente di destra, è moralmente inaccettabile, oltre ad essere pericolosa per la credibilità del Paese a livello internazionale. Si deve comprendere che l’aiuto all’Ucraina è la questione del decennio. Lasciare che l’Ucraina venga lentamente fagocitata dalle continue guerre russe non implica risolvere il problema, ma rimandarlo per altri decenni ancora, con una sempre minore forza con cui opporsi alla Russia. Anche se Putin accettasse la soluzione diplomatica come ipotizzata nei sondaggi visti, è poco credibile che si limiti solamente a quella. L’Ucraina, assieme alla Georgia e alla Cecenia, è l’ennesima dimostrazione concreta del programma ideologico panslavista e illiberale putiniano. Sottomettere manu militari, quando non è possibile la via politica, quei paesi considerati come facenti parte di una visione del mondo che vede una grande comunità slava e ortodossa sotto la guida della Russia. Per questo è fondamentale che quelle forze politiche che in Italia sono convinte del sostegno all’Ucraina propongano un deciso programma politico di sostegno militare e, soprattutto, spieghino all’elettorato l’urgenza di non avere tentennamenti e debolezze su ciò.
È inevitabile il costo enorme sia a livello economico che politico che richiede l’aiuto dell’Ucraina: la vittoria sulla Russia, nonostante gli straordinari successi ucraini nella battaglie di Kiev e Kherson, non è scontata e non possiamo sapere fino a dove Putin e la sua cricca di criminali vogliano spingersi per non vedere distrutta tutta la reputazione da “ritorno della superpotenza” costruita in questi vent’anni. Ma altresì è inevitabile che il non impegno nella questione ucraina avrebbe un risultato certo: la vittoria russa, la distruzione dello stato ucraino come oggi lo conosciamo e l’umiliazione delle democrazie liberali, specialmente europee. Ma, soprattutto, l’eventualità di questo risultato sarebbe l’equivalente di un macigno di responsabilità morale posto su ogni qualsivoglia progetto di integrazione europea futura. Per i sovranisti sarebbe la conferma definitiva di come l’Unione europea altro non sia che un mero progetto tecnocratico senza anima, senza una vera comunanza di valori, incapace persino di difendersi dai nemici esterni che la vogliono vedere distrutta. Come è possibile parlare d’integrazione europea, se gli stessi europei non riescono a difendere un paese che è stato invaso proprio perché aspira a diventare come noi?
Per questi motivi, non è possibile né accettabile l’indifferenza verso l’Ucraina, sia dal punto di vista morale che politico. Per quanto vogliamo convincerci che il nostro aiuto sia un ulteriore escalation del conflitto o che sia pressoché inutile per sovvertire le sorti del conflitto, non si può però negare il fatto che Putin abbia una volta e per tutte gettato via la maschera dell’autocrate moderato, dell’autocrate che potevamo contenere semplicemente facendoci redditizi affari economici, come con l’importazione del gas e del petrolio. I segnali sulla vera natura del regime ci erano già stati dati da vent’anni da studiosi e giornalisti, tra i quali alcuni hanno pagato con la propria vita per far ciò, come Anna Politkovskaja.
Persino lo stesso Putin in un colloquio con Bush nel 2008, nel quale si discusse sulla possibile entrata dell’Ucraina nella Nato (non è avvenuta per opposizione dei paesi europei, con in testa la Germania di Angela Merkel), negò l’esistenza dell’Ucraina come stato. È inevitabile che i rapporti con la Russia non saranno più come prima. Non ci si può confrontare con moderatezza e con reciproco atteggiamento di parità con un regime che rincorre un vano e ridicolo sogno di imperialismo etnico-religioso di stampo ottocentesco, per il quale accetta persino di mantenere la propria cittadinanza in condizioni di miseria economica e facendo di tutto per inasprire i rapporti con i paesi europei, con ricatti economici, minacce militari/diplomatiche e pesanti ingerenze nella loro politica interna.