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Cina e affari strategici: dal weiqi a Sun Tzu

Uno degli eventi più significativi di questa estate è stato il viaggio della speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan, ennesimo episodio di ostilità tra USA e Cina. L’immediata reazione cinese si è realizzata con esercitazioni militari, definite «operazioni militari limitate». A prescindere dalle conseguenze di medio periodo di tutto ciò, la risposta di Pechino illustra bene l’approccio cinese agli affari strategici. Per comprendere tale atteggiamento bisogna capire un celebre gioco da tavola cinese e si deve conoscere il pensiero di Sun Tzu.

Partiamo dai fatti. Le forze armate cinesi hanno simulato l’imposizione di un blocco navale e aereo ai danni di Taiwan, che sarebbe la prima necessaria mossa da attuare per realizzare uno sbarco anfibio in un’ipotetica guerra futura. Diversi mezzi militari cinesi hanno oltrepassato la linea mediana dello Stretto di Taiwan (che rappresenta il confine de facto tra i due Stati).

Tutto ciò però non ha significato l’inizio di ostilità, anche perché non vi era alcuna volontà in tal senso da parte degli attori coinvolti. Secondo le stime degli esperti militari, la Repubblica Popolare non avrebbe ancora le capacità per prendere l’isola.

In ogni caso, negli ultimi anni il dibattito nei circoli strategici cinesi sulla possibilità di un attacco a Taiwan ha visto ulteriori contributi.

Ad esempio, nel 2020 due figure si sono schierate contro la possibilità di un’escalation militare. Il primo è il generale Qiao Liang, un hardliner in politica estera e autore nel 1999 del celebre libro «Guerra senza limiti» assieme a Wang Xiangsui (il libro è uno dei contributi intellettuali più importanti per comprendere come è cambiata la guerra in epoca contemporanea).

Secondo il generale, la Cina non è pronta per l’attacco a Taiwan per tre motivi. Primo: gli Stati Uniti, anche senza intervenire direttamente, potrebbero, attraverso la propria superiorità navale, bloccare le rotte commerciali da cui l’economia cinese dipende. Secondo: la Cina è troppo dipendente dal dollaro e dalle filiere produttive americane. Terzo: la popolazione taiwanese è totalmente contraria all’unificazione, dunque Pechino dovrebbe occupare militarmente un territorio ostile.

Lo storico Deng Tao, invece, ha evidenziato il modo in cui la Cina potrebbe prepararsi a conquistare Taiwan. Per farlo ha preso a modello un episodio storico di oltre 300 anni fa: la presa dell’isola di Formosa da parte della Cina all’epoca dei Qing. Come osserva Deng Tao, all’epoca la Cina mise in campo una ventennale campagna per isolare economicamente e diplomaticamente l’isola, rendendo così l’esito dello sbarco del tutto scontato.

È una caratteristica tipicamente cinese quella di riprendere episodi storici lontani nel tempo come bussola per cercare di orientare le proprie decisioni strategiche di oggi. Ad esempio, quando si apprestava ad andare in guerra contro l’India nel 1962, il dittatore cinese Mao Zedong si richiamò a considerazioni strategiche riprese da una guerra tra l’impero cinese e gli indiani risalente a oltre mille anni prima. Giocata possibile solo in un’entità politica con una storia millenaria come la Cina.

Inoltre, l’episodio raccontato da Deng Tao evidenzia perfettamente l’approccio cinese agli affari strategici, ben rispecchiato dal gioco del weiqi (in Occidente perlopiù noto col suo nome giapponese, il go). Nel weiqi ogni giocatore dispone di centottanta pezzi che progressivamente schiera sulla tavola, cercando di accerchiare tutti i pezzi dell’avversario. Porta avanti una campagna prolungata per realizzare l’accerchiamento strategico del nemico. Se si è inesperti e si guarda una tavola di weiqi, risulta persino difficile capire chi abbia vinto una partita da quanto i pezzi dei due giocatori si sovrappongono. In questo gioco bisogna muoversi negli spazi vuoti, combattere contemporaneamente più scontri in diverse parti della tavola traendone il meglio nell’ottica dell’obiettivo finale. L’importanza del gioco del weiqi nell’informare l’articolazione delle mosse strategiche cinesi è testimoniata da precisi episodi storici.

Anche recentemente, si può affermare che gli accordi stretti tra Pechino e le isole Salomone rispondano a questa logica. Per la Cina si tratta di sfruttare degli spazi per uscire dal cordone allestito dagli americani e dai loro alleati locali nell’Indo-Pacifico per bloccare le ambizioni militari e marittime cinesi, sfruttando il controllo americano dei choke points della regione.

Così la Repubblica Popolare si propone di ovviare al contenimento avversario, accerchiando i propri rivali. Nel caso degli accordi con le isole Salomone, il governo di Xi Jinping cerca di estendere la propria influenza nel giardino di casa dell’Australia (membro importante dello schieramento anticinese guidato da Washington). Anche gli investimenti cinesi e le acquisizioni di infrastrutture critiche in altri continenti in giro per il globo rispondono alla logica di agire in diversi teatri simultaneamente per accerchiare le pedine dei propri nemici.

Se gli strateghi cinesi agiscono su più fronti, significa che difficilmente si focalizzano su un unico teatro e se possibile non si giocano mai il tutto per tutto in unico scontro decisivo. Su quest’ultimo punto emerge una chiara differenza con l’approccio occidentale alle questioni strategiche.

Qui in occidente il gioco da tavola che più rispecchia la concezione della strategia è il gioco degli scacchi, dove si inscena appunto una battaglia decisiva che si conclude con la vittoria totale di uno dei due giocatori (o molto più raramente la partita si conclude senza un vincitore). Al contrario, nel weiqi i giocatori mettono in campo una campagna prolungata dove si cerca costantemente il vantaggio relativo. L’equilibrio tra i due giocatori si sposta dopo ogni mossa. Negli scacchi si mettono in campo tutte le pedine a disposizione e si cercano di eliminare le pedine avversarie in una serie di scontri diretti. Nel weiqi invece bisogna valutare anche il potenziale dei pezzi non schierati dall’altro giocatore e la loro neutralizzazione avviene gradualmente evitando scontri diretti.

In ultima analisi, nel gioco degli scacchi vengono rispecchiati alcuni dei più importanti principi del teorico militare prussiano Carl von Clausewitz, come quello del «centro di gravità» e del «punto decisivo».

Le differenze tra la concezione occidentale degli affari strategici e quella cinese sono evidenziate pure dal fatto che in Occidente la strategia è sempre stata studiata come una disciplina a sé stante, pur senza negare il legame tra la strategia e altri ambiti dell’agire umano. In effetti, la celebre frase di Clausewitz per cui la guerra è «politica con altri mezzi» implica in ogni caso che con lo scoppio di una guerra si apre una nuova fase che deve essere affrontata con «mezzi» peculiari. Gli strateghi occidentali riflettono su come concentrare i mezzi disponibili per avere una potenza superiore all’avversario nel momento decisivo.

Nel caso cinese conviene invece guardare al celebre libro «l’arte della Guerra» di Sun Tzu.

Per Sun Tzu la guerra è un campo inestricabilmente legato alla politica. Un’azione a prima vista puramente politica potrebbe essere in realtà una mossa per guadagnare un vantaggio strategico in caso di guerra. Sun Tzu spiega come utilizzare tutti i mezzi (militari, politici, diplomatici, economici e psicologici) per godere di un vantaggio cruciale sull’avversario prima ancora di combatterlo in battaglia. L’obiettivo è guadagnarsi una posizione di predominio a livello psicologico e politico, così da rendere l’esito dello scontro scontato. Gli strateghi occidentali studiano come vincere le battaglie, Sun Tzu come arrivare in battaglia già da vincitori.

Nelle stesse parole usate da Sun Tzu: «soggiogare il nemico senza combattere rappresenta la vera vetta dell’arte militare». Bisogna dunque far saltare i piani del nemico, comprometterne le alleanze e isolarlo usando mezzi diplomatici ed economici. Vanno usate pure tattiche di sotterfugio e disinformazione, cioè delle armi psicologiche per abbattere il morale del nemico. Così si raggiunge una posizione di predominio e l’esito della battaglia è scontato. Si ha già vinto senza combattere, al massimo l’azione militare è semplicemente l’ultimo atto di una guerra già combattuta in molteplici ambiti. Esattamente come indicato da Deng Tao per prendere Taiwan. Per Sun Tzu lo stratega non deve tanto analizzare una particolare situazione, piuttosto dovrebbe valutare il legame tra la situazione e il contesto in cui essa si svolge. Deve capire l’evoluzione (quello che Sun Tzu chiama shi, che potrebbe essere tradotto come “tendenza strategica”) di una situazione, per piegarla ai propri scopi.

Ovviamente non bisogna abbandonarsi all’elogio passivo delle doti strategiche cinesi. Non sono in pochi quelli che sostengono che l’approccio qui presentato da solo non basti. D’altronde, l’impero cinese venne completamente distrutto dall’incontro con le potenze dell’Europa occidentale. L’egemonia cinese in Estremo Oriente era esercitata tramite leve economiche basate sulla ricchezza della Cina: dava benefici commerciali agli altri Stati ottenendo in cambio la loro obbedienza. E questi Stati diventavano de facto suoi vassalli. Era un sistema fortemente gerarchico, figlio della concezione confuciana delle relazioni internazionali, dove gli Stati venivano classificati sulla base della loro più o meno aderenza ai canoni culturali confuciani. La Cina stava al vertice della gerarchia: era tutto ciò che stava tra il cielo e la terra (Tianxia).

Questo sistema internazionale però non poté che soccombere una volta che si scontrò con le potenze dell’Europa occidentale. Queste ultime erano abituate a sopravvivere in un ambiente altamente competitivo. Si stava progressivamente realizzando un sistema internazionale basato sull’equilibrio di potenza, ma il continente europeo era comunque molto caotico e pieno di guerre. Dunque, per tutelare la loro stessa sopravvivenza, gli Stati europei dovettero innovare il modo in cui si concentrava la potenza. Di qui alcuni popoli presero la via del mare, riuscendo nei secoli a costruire navi e flotte sempre più avanzate per controllare gli oceani e in ultima analisi il mondo.

Il Paese che lo fece meglio e in modo più compiuto fu l’Inghilterra. Gli inglesi furono coloro che riuscirono a completare il processo che ha portato l’essere umano a dominare il mare, tema ben illustrato nel libro «Terra e Mare» del filosofo tedesco Carl Schmitt. L’impero britannico viveva per mare: era una talassocrazia. Passaggio che ai cinesi non riuscì mai, che ancora oggi rappresenta il vero obiettivo delle politiche di riarmo cinesi. Di qui, nello scontro della prima Guerra dell’oppio, tra i due non poteva che prevalere l’impero britannico.

Non solo, proprio guardando all’approccio cinese agli affari strategici emergono le difficoltà cinesi. Ad esempio, il fatto che negli ultimi anni infatti la Cina sia diventata più assertiva a livello militare dimostra quanto abbia avuto difficoltà a raggiungere risultati strategici solo attraverso mezzi economici. In effetti, gli Stati asiatici che commerciano con Pechino sono pur sempre legati militarmente agli USA. Il fatto che abbiano un grande interscambio commerciale con la Cina non implica che non vedano nelle politiche cinesi una minaccia alla loro sicurezza.

Tant’è che si sostiene che la maggior aggressività cinese e le crescenti tensioni con gli Stati Uniti non siano il frutto dell’ascesa cinese, ma, al contrario, l’effetto dell’inizio del declino cinese. La minor crescita economica, i problemi strutturali che persistono, la nascita di coalizioni ostili guidate dagli USA: tutti problemi insidiosi per Pechino. Di qui l’idea che la leadership cinese sappia di star raggiungendo l’apice della propria potenza, ma anche che le difficoltà crescenti stanno preannunciando il declino. Quindi sa che c’è una finestra di opportunità di un decennio, che si sta velocemente chiudendo, per diventare superpotenza rivaleggiando con gli USA. Proprio questo è il tema centrale del libro «Danger Zone: The Coming Conflict with China» degli analisti Hal Brands e Michael Beckley», recentemente pubblicato.

La ricchezza del dibattito sulla rivalità tra Stati Uniti e Cina, talmente ampia che non si capisce nemmeno quale delle due sia la potenza in ascesa, mostra la complessità della situazione odierna. Complessità aggravata dalle differenze negli approcci agli affari strategici, ma anche nella diversa concezione di deterrenza, delle due potenze. Giusto per ricordare quanto possa essere non semplice evitare il disastro.

1 comment

Dario+Greggio 11/09/2022 at 16:56

interessante e condivisibile, grazie

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