Ieri su Twitter l’economista Michele Boldrin è diventato argomento di acceso dibattito, entrando nei trend topic (ovvero gli argomenti più dibattuti). Accade che un giornalista tale de Luca, sinistrorso, filo grillino, in passato a il Post ora in forze al nuovo giornale edito da De Benedetti, abbia rilanciato un video di una vecchia intervista in cui l’economista Italo americano discetta di immigrazione, accusandolo di razzismo. Oltretutto retwittandolo da un account di un facinoroso che poco prima aveva auspicato che la Bocconi fosse bombardata… Non pago, il giornalista in questione ha poi rincarato la dose con altre amenità sul razzismo naturaliter intrinseco ai sessantenni. Senza tuttavia scusarsi.
Questo è un classico esempio di campagna diffamatoria via social. Si estrapolano alcune frasi o dichiarazioni, in questo caso lo spezzone di un video, storpiandone artatamente il senso; si monta il caso, la polemica facile e si getta il malcapitato in pasto al pubblico ludibrio degli utenti. In spregio alla verità fattuale.
E ci dice molto di come funziona un certo tipo di giornalismo, in voga soprattutto a destra (ma non solo, il fatto quotidiano ne è un emblema) che fa della character assassination dell’avversario la propria cifra distintiva. Ai tempi di Berlusconi si sarebbe parlato di “macchina del fango”.
Basta ascoltare il video per intero, infatti, per evincere come si tratti di una clamorosa falsità, di un attacco pretestuoso e infondato. Chi lo segue sa che Boldrin è tutto fuorché un bieco razzista e che sull’immigrazione ha posizioni (fin troppo) progressiste.
Ora, Boldrin non è scevro da difetti, sappiamo tutti che ha un carattere malmostoso. Ma allora sarebbe più onesto ammettere che vi sta in uggia, cosa del tutto legittima, anziché attaccarlo in quel modo infame.