I non vaccinati hanno un tasso di ospedalizzazione 7 volte più alto e compongono oggi circa l’80% dei ricoverati in terapia intensiva (circa 2000€ a persona, al giorno), è giunto il momento di porre un aut aut: cari NoVax, o il vaccino o il ticket, una franchigia che copra una parte -anche minima- dei costi in caso di ricovero, fino ad oggi sempre ed interamente sostenuti dalla collettività. Servirebbe a responsabilizzare una platea che ha ampiamente dimostrato di non saperlo fare autonomamente. Una richiesta insolita per il panorama dei garantiti italiani, che trova però sostenitori autorevoli come Ilaria Capua. “È una provocazione” precisa la ricercatrice, ma forse non dovremmo prenderla come tale.
Esistono due tipi di sistemi sanitari nazionali al mondo: uno in cui le spese per la salute sono responsabilità del paziente che ne usufruisce ed un altro in cui sono responsabilità di tutti i cittadini.
Questi due sistemi sono prettamente teorici perché nella realtà, laddove vi sia un sistema sanitario pubblico, vi è una sola forma concettuale di assistenza assicurazionistica, in entrambi i casi. Nel primo vi accedono gruppi di privati cittadini che finanziano lo stesso soggetto privato, una compagnia assicurativa, condividendo parte del rischio. Nel secondo vi accede egualmente un gruppo di privati cittadini, ma talmente numeroso da finanziare un soggetto che include tutti, lo Stato. Nel cosiddetto sistema universalistico, dove la collettività sostiene le cure di ognuno, il rischio è totalmente condiviso da tutti i cittadini e il premio assicurativo è versato attraverso la fiscalità generale.
Di norma, quando stipuliamo una polizza assicurativa come l’RC auto ad un maggior rischio corrisponde un maggior premio, una cifra più ampia da versare annualmente. Sono moltissimi i fattori che possono far lievitare il rischio di un individuo, a livello sanitario molti di essi non sono controllabili: la genetica, il sesso e l’età, giusto per citarne alcuni. Tra questi fattori rientravano anche le guerre, a cui si era chiamati senza possibilità di scelta. Per questo motivo nel Regno Unito, il 5 luglio 1948, venne istituito per la prima volta al mondo un Sistema Sanitario Nazionale, l’NHS, oggi il terzo maggior servizio pubblico al mondo per numero di impiegati, dopo l’esercito cinese e le ferrovie indiane. Prima del ’48 nessun governo si era mai ritenuto direttamente responsabile della salute dei propri cittadini; questi si organizzavano in formule più o meno istituzionalizzate di mutua assistenza, esattamente come avvenne anche in Italia fino al 1978, 43 anni fa.
Scopo solidaristico del Sistema Sanitario Nazionale era sollevare le categorie meno abbienti dal peso di un rischio sanitario che non potevano controllare. Poteva forse un soldato scegliere di non esplodere sopra ad una mina? O un bambino di non ammalarsi di poliomielite?
Il sistema universalistico, garantendo a tutti l’accessibilità alle cure, ha un collo di bottiglia rappresentato dalla mera sostenibilità. Al contrario su un sistema privatistico, che garantisce per natura la sostenibilità economica, grava il peso di un’incompleta accessibilità: parte della popolazione non ha accesso all’assistenza medica, parzialmente o anche totalmente.
Ad oggi ogni sistema universalistico si è arricchito di una componente privatistica (più o meno ampia), che può prevedere un contributo del paziente per l’erogazione della prestazione pubblica, come ad esempio il ticket, oppure prevedere direttamente che sia il paziente a dover sostenere l’intera spesa per alcune prestazioni, come le cure odontoiatriche. Allo stesso modo i sistemi privatistici come quello americano hanno avviato diversi programmi volti a tutelare le fasce più fragili della popolazione, come quelle a basso reddito (Medicaid) o anziane (Medicare, la spesa sanitaria si concentra infatti considerevolmente negli ultimi 15 anni di vita). Da ambo i lati assistiamo quindi ad una convergenza verso un sistema ibrido, definibile in innumerevoli varianti.
Il sistema sanitario italiano, nato con principi universalistici, da tempo soffre la carenza di specialisti, di strutture e strumentazioni adeguate. Durante la pandemia in diverse località è collassato: a causa della saturazione degli ospedali migliaia di persone sono morte a casa o in corsia senza poter ricevere adeguata assistenza; e ancor più hanno visto rimandare sine die esami, visite mediche ed interventi programmati. Il nostro sistema universalistico è talmente poco sostenibile che emergono ormai anche evidenti problemi di accessibilità: liste d’attesa interminabili, scarsa presenza sul territorio, LEA insufficienti e molto altro. I servizi sulla carta restano garantiti, ma nella pratica il cittadino non riesce sempre ad accedervi.
La pandemia, come in molte situazioni, ha portato alla luce alcuni nodi scabrosi della nostra società. Occorre anzitutto sottolineare come storicamente sia la prima volta che una pandemia viene gestita da un sistema sanitario nazionale ed anche la prima volta che, in pandemia, abbiamo a disposizione una vaccinazione sovvenzionata dalla collettività, capace di abbassare in maniera rapida e diretta il rischio di ospedalizzazione causato da un nuovo agente patogeno.
In questo contesto il fatto che alcune persone, per i motivi più disparati, scelgano di non vaccinarsi è un problema di sanità pubblica non indifferente, dal momento che queste contagiano maggiormente le persone a loro vicine ed esercitano una maggiore pressione sul SSN. Scartando tuttavia queste caratteristiche e supponendo che le persone non vaccinate rischino soltanto la propria salute permane comunque un nodo che per troppo tempo abbiamo ignorato: in un sistema universalistico chi sceglie di rifiutare un protocollo di prevenzione diretto ed efficace, come il vaccino, sta intenzionalmente riversando il proprio rischio personale sulla collettività. Qualora infatti dovesse necessitare di cure sarebbero tutti i cittadini a doverle sostenere. E parliamo di pressoché qualsiasi tipo di cura e per tutto il tempo necessario.
Questo non rientra nei patti: quelli che hanno condotto alla creazione di un sistema universalistico, ricordiamo pensato per assorbire il rischio di coloro che non possono scegliere in maniera così netta di non rischiare. Malati oncologici, infortunati sul lavoro, anziani, pazienti cronici di varia natura su cui oltre al peso della propria condizione è gravato anche l’onere complessivo del covid.
Se è vero che questo ragionamento è applicabile a molte altre categorie caratterizzate da fattori di rischio eludibili, ad esempio quella dei fumatori, è altresì vero che spesso manca la possibilità di prevenzione attraverso un’azione semplice, diretta e poco impegnativa come la vaccinazione. V’è poi da considerare che già oggi i fumatori risultano penalizzati nelle liste trapianti, ma qui si apre un discorso ben più complesso.
Ad ogni diritto corrisponde un dovere morale. Un sistema che si prefigge di curare tutti può funzionare solo quando è applicata una larga prevenzione alla radice, attraverso obblighi morali o materiali. Questi non sono giusti o sbagliati in maniera assoluta, rispecchiano solo la cultura del tempo, che considera un certo grado di rischio accettabile, es. 130 km/h in autostrada, ma non uno superiore. Non è un caso che in paesi dove la sanità nazionale è totalmente inesistente non esistano nemmeno particolari obblighi volti a calmierare il rischio sanitario, come ad esempio allacciare la cintura di sicurezza o indossare il casco.
Disponendo i cittadini su una curva secondo il rischio salute modulabile con le proprie scelte si ottiene una distribuzione gaussiana: al centro coloro che rischiano in maniera accettabile per la società, alla coda sinistra quelli che potrebbero osare di più ed alla coda destra quelli che rischiano più della media.
Non esiste un livello di rischio corretto, ma solo un grado più o meno sovrapponibile a quello comune. In un sistema universalistico se qualcuno si sposta progressivamente a destra, rischiando sempre più, si giunge al punto dove non è più tollerabile che la collettività si accolli interamente quanto il singolo ha scientemente scelto di rischiare. Questo è esattamente ciò che accade quando qualcuno a novembre 2021 rifiuta ancora di vaccinarsi.
Non è sbagliato in senso stretto, semplicemente quel rischio è troppo alto perché spetti interamente alla società civile gestirlo, dal momento che il grosso di questa si orienta in maniera nettamente più prudenziale. Le potenziali soluzioni a questo punto sono due e sono entrambe valide:
- Si costringe a rischiare meno pur di mantenere il principio di assistenza universalistica = obbligo vaccinale de jure o de facto, lockdown per i non vaccinati…
- Si scorpora il rischio del singolo da quello della collettività pur di tutelare la libertà di scelta = franchigia sulle cure per non vaccinati (ticket), assicurazione per covid…
Cari NoVax, caro governo, delle due l’una. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non è più accettabile che su questo tema qualcuno scelga ancora di rischiare così tanto sapendo che tanto a pagare le spese sarà sempre lo Stato. Perché lo Stato siamo noi, tutti quelli che hanno scelto di vaccinarsi per ridurre il proprio il rischio e non hanno più intenzione di sobbarcarsi quello di chi non intende assumersi il proprio.
2 comments
Pur non nutrendo la minima simpatia per antivaccinisti ed affini, introdurre il concetto di escludere dal SSN alcune categorie di cittadini è estremamente pericoloso.
Dovremmo allora escludere i fumatori? E gli obesi, visto che si può dire che lo siano entrambi per libera scelta e che per questo si ammalano di più degli altri sempre a spese della collettività?
La questione che poni non è secondaria. Copio una prima riflessione a riguardo dall’articolo:
“Se è vero che questo ragionamento è applicabile a molte altre categorie caratterizzate da fattori di rischio eludibili, ad esempio quella dei fumatori, è altresì vero che spesso manca la possibilità di prevenzione attraverso un’azione semplice, diretta e poco impegnativa come la vaccinazione. V’è poi da considerare che già oggi i fumatori risultano penalizzati nelle liste trapianti, ma qui si apre un discorso ben più complesso.”
Insomma, il nostro sistema penalizza già alcuni comportamenti. Non si può poi smettere di fumare o ricalibrare la propria dieta con la stessa facilità di scelta che si ha di fronte alla vaccinazione, perché occorre modificare la propria quotidianità per lunghi periodi