Cento anni fa, il 15 maggio 1921, Benito Mussolini veniva eletto in Parlamento con i Fasci italiani di combattimento. Fu il terzo deputato più votato d’Italia.
Le elezioni si svolsero senza particolari irregolarità, che invece divennero la firma dello squadrismo negli anni successivi con la fondazione del Partito Fascista, le intimidazioni, gli arresti e la consacrazione del mito personale del duce tramite un consenso plebiscitario.
La parola totalitarismo fu coniata in quel frangente per indicare la presenza della dittatura in tutti gli aspetti della vita quotidiana e la tolleranza o l’appoggio incondizionato delle masse. Il regime “totalitario”, con gran dispiacere di Hitler e Stalin, fu un’invenzione italianissima.
Sono passati 100 anni e questo aspetto è ancora poco noto, fondamentalmente perché del fascismo si fatica ancora a parlare. Chiunque cerchi di discutere un periodo di Storia italiana, che per brutta che fosse c’è stata, al fine di spiegare il perché del successo totalitario del fascismo, viene tacciato di fascismo. È l’effetto della smania di rimozione, di voltare pagina e nascondere la povere sotto il tappeto, che negli ambienti accademici perdurò fino alla caduta del muro di Berlino, mentre nel dibattito pubblico è ancora viva anche oggi.
Restiamo ancorati ad una narrazione di comodo, che ci deresponsabilizza propinando un Mussolini giunto al potere bombardando i palazzi come un Pinochet qualunque, quando invece in Parlamento già ci stava, deciso a governare d’accordo col Re, col Papa e con la maggioranza del popolo italiano. Non partecipò neppure alla marcia su Roma, durante la quale si trovava a Milano e a seguito della quale non fu nemmeno dichiarato dal governo lo stato d’assedio.
Lo squadrismo e la piazza erano già insiti nell’Italia dell’epoca, riemersero inesorabilmente anche a Piazzale Loreto, dove a sputare e orinare sui cadaveri vi era la stessa folla che qualche anno prima aveva applaudito estasiata l’entrata in guerra della nazione.
Come ricordato anche recentemente dal Presidente Draghi: non fummo brava gente, il nostro fu un paese fascista e la Resistenza fu anzitutto resistenza di una minoranza -non sparuta, ma comunque indiscutibile minoranza- di alcuni italiani ad altri italiani. Questo è confermato da due fatti storici inequivocabili che si verificarono durante le ultime fasi del conflitto mondiale:
- la guerriglia continuò anche dopo la ritirata delle truppe tedesche, segno che si combatté una guerra che era anche guerra civile, tra italiani;
- l’insurrezione generale non venne mai proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale, neanche quando le truppe tedesche furono in rotta. Il CNL, infatti, non si trovava ancora di fronte un paese capace di respingere compatto il nazifascismo, che di conseguenza non avrebbe unitariamente aderito alla sommossa, peggiorando agli occhi della comunità internazionale la già compromessa situazione italiana.
A complicare il quadro si aggiunse la componente comunista, che aveva sempre cercato di rivendicare il monopolio sulla Resistenza, al punto che avrebbe preferito negarla ad altri pur di non vederselo sottrarre.
I motivi dell’affermazione totalitaria del fascismo sono da cercare, oltre che nella consueta propensione a delegare la responsabilità all’uomo forte, anche nella larga approvazione da parte della pubblica opinione di alcune riforme strutturali. Ogni qualvolta si affronti questo tema v’è chi tende a negare l’attribuzione dei suddetti provvedimenti al fascismo o chi tende, pur riconoscendone la natura fascista, a contestarne l’effettiva applicazione e di conseguenza l’efficacia. Da esterni si potrebbe sostenere che una certa barricata politica voglia classificare come fascista qualsiasi evento occorso in Italia tra il ’22 e il ’43, destinandolo quindi al biasimo e alla rimozione, che si tratti di riforme della pubblica amministrazione o azioni della Marina Militare (il corpo meno sodale al fascismo, fondato vent’anni prima della nascita di Mussolini ed ancora attivo oggi). Dovremmo forse smettere di festeggiare anche il mondiale di calcio vinto dalla nazionale nel 1934, nello “Stadio del Partito Nazionale Fascista” di Roma?
Le riforme ci furono, piaccia o non piaccia, furono sostanziali e ampiamente apprezzate dal popolo, a ragione o a torto. Interessarono principalmente l’assistenza sanitaria, la previdenza sociale e la pubblica istruzione. Tramite la riforma Gentile, ad esempio, si inserì l’obbligatorietà degli studi umanistici per i dirigenti pubblici (poste, banche, amministrazione…), perché non diventassero semplici tecnici, ma fossero in grado di comprendere ed interpretare le emozioni dei cittadini tramite la letteratura e la filosofia, aspetto per altro fondamentale in un regime che volesse definirsi totalitario.
Negare a Mussolini d’aver fatto anche cose buone, per quanto di moda, è in realtà il primo vizio che ci espone ad una deriva anti-democratica. È infatti proprio in virtù di quel buono diffusamente riconosciuto che si commisero i mali peggiori. I social, con la loro naturale predisposizione all’appiattimento e alla polarizzazione, non aiutano.
Il regime si presenta sempre nel momento dell’emergenza, con delle soluzioni. Quando occorrono provvedimenti incisivi e riforme strutturali, quando serve far funzionare le cose che non funzionano e pur di farle funzionare si rinuncia alla libertà.
Il sarcasmo con cui per anni abbiamo scherzato su “ha fatto anche cose buone” serviva a prendere le distanze da coloro che tentano di giustificare una dittatura sanguinaria, quale era il fascismo, evidenziandone i provvedimenti positivi. E aveva perfettamente senso.
Oggi sembra invece voler indicare che nel fascismo non vi fosse nulla di buono ed è proprio questo il principale pericolo: una visione caricaturale del cattivo, il super-villain dei fumetti e dei film bidimensionali, fatto di una malvagità innata, totale ed immediatamente riconoscibile. Inutile dire che se è questo il modo in cui ci aspettiamo un dittatore non riusciremo mai a riconoscerlo in tempo.
Durante i primi anni il fascismo raccolse un consenso oceanico tra una popolazione scarsamente acculturata, segnata dalla prima guerra mondiale, diffidente delle istituzioni e refrattaria allo Stato di diritto. Una popolazione in cerca di un salvatore. Venne accolto, anche dagli ambienti non fascisti, come movimento rivoluzionario e restauratore, necessario per chiudere con la vecchia politica e rinnovare il paese.
Le democrazie di rado vengono soffocate dalla dittatura, ma più spesso si estinguono perché il popolo perde la cultura necessaria ad alimentarle. A quel punto qualcuno si domanda “come si fa a non diventare padroni di un paese di servi?”.
Quando Salvini parlò apertamente di pieni poteri rievocò lo stereotipo del regime e questo bastò a far scattare un campanello d’allarme, ma ripensando a quella disgrazia nazionale che sono stati i 5 Stelle, al modo in cui per un decennio hanno attaccato le istituzioni, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, la politica e i politici senza distinzioni, arrivando a raccogliere il 33% dei voti (in una tornata elettorale già fortemente polarizzata dalla Lega), non può che stupire il clima di relativa distensione che si respirava. Il Comitato di Conciliazione, organo parallelo al Parlamento, fu esempio emblematico della china pericolosa e sottovalutata che i 5 Stelle avevano fatto imboccare al paese.
Personalmente non avrei mai immaginato che un partito con l’aggettivo democratico nel nome finisse col farci un governo a due polmoni, prodromico d’una futura coalizione elettorale, ma d’altronde nemmeno Giolitti pensava di dover sottostare alle condizioni di Mussolini.
Oggi, pur non scorgendo all’orizzonte il rischio di un ritorno al fascismo delle camicie nere, l’analogia con un elettorato antidemocratico, prono alla piazza e alla gogna, manettaro e forcaiolo è innegabile.
“Questi deputati che minacciano pronunciamenti, questi deputati che diffondono -con le più inverosimili esagerazioni- il panico tra gli elettori; questi deputati pusillanimi, ciarlatani… Questi deputati andrebbero consegnati ai tribunali! La disciplina deve cominciare dall’alto se si vuole che sia rispettata in basso. Quanto a me, sono sempre più fermamente convinto che per la salute dell’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati, e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia un bubbone pestifero. Occorre estirparlo.”
Fu Mussolini in persona a pronunciare questo discorso. Potremmo tranquillamente attribuirlo a Beppe Grillo e ad una certa sinistra che vanta sempre d’essere democratica per imposizione suprema, dimenticando per altro che il duce fu uno dei più grandi socialisti che l’Italia abbia mai partorito, come confermano diverse vicende fra cui la lunga amicizia con Carlo Silvestri e Nicola Bombacci.
Viene da pensare che se Mussolini in persona si ripresentasse oggi stesso con un nuovo look, alla Bonaccini, riproponendo la stessa identica retorica della campagna del 1920, lo eleggeremmo di nuovo.
Questo in parte per la sopracitata comoda soluzione dell’uomo forte, ma in parte perché non riusciamo ancora ad avviare un dibattito intellettualmente onesto ed ammettere che il fascismo per imporsi come primo totalitarismo e durare 20 anni qualcosa di buono debba pur averlo fatto. Ci sfugge quindi che è in virtù di questo buono che il popolo avalla le più violente dittature, voltandosi dall’altra parte -o peggio prendendone parte- aspettando di doversi dissociare solo di fronte al male assoluto.
Occorre sforzarsi un po’ di più, perché alla porta della democrazia non verrà mai a bussare Crudelia de Mon in persona con le SS al seguito. Chiunque voglia accentrare i poteri lo farà sempre in nome dei migliori propositi e dei più nobili princìpi, spesso per gradi. L’abolizione della povertà, le pensioni, la sanità pubblica, il lavoro…
La democratura inizia sempre così, con qualcosa di buono.