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Esteri

Un viaggio presidenziale

Hanno fatto il giro del mondo le immagini della storica visita del Presidente degli Stati Uniti nella capitale di un paese definito fino a poco fa come “nemico e ostile”. Per la prima volta in tre generazioni il leader della più grande potenza del mondo ha messo piede in un paese forgiato da una cruenta rivoluzione che ha visto trionfare i comunisti. Per la prima volta in assoluto, il Presidente potrà incrociare coloro i quali hanno messo in fuga un governo autoritario, corrotto, repressivo e ampiamente sovvenzionato dagli Stati Uniti. I primi scatti da soli basterebbero: l’Air Force One che sorvola maestoso cieli che non vedono aerei statunitensi da decenni – gli aerei spia, che hanno compiuto centinaia se non migliaia i voli, ovviamente non contano; il Presidente che, con la First Lady  al braccio, scende accolto dai diplomatici; il corteo che avanza in mezzo a una folla incuriosita di vedere gli Yankee e la meraviglia degli americani di trovarsi in un mondo dove gli Anni ’50 sembrano non essere mai trascorsi. Ma non è finita qui. Il pezzo forte della visita è l’incontro con l’anziano dittatore, l’ex studioso che, vinta la Rivoluzione, si trova a mettere in pratica gli insegnamenti di Marx e Lenin, adattandoli ai tempi cangianti. C’è la stretta di mano, che non cancella anni di rancori, di tentati cambi di regime, di spionaggio e di sospetti. Piuttosto, indica che gli Stati Uniti accettano di dissentire con il loro ex nemico su certi punti, levano le sanzioni economiche, ma non quelle militari, e il regime accetta di aprirsi al commercio con lo Zio Sam. Entrambi i leader sanno che in un modo o nell’altro sono entrati nella storia con questo semplice incontro. Il Presidente in particolare è felice dell’accordo: eletto auspicandosi di potere essere un Presidente portatore di pace, ha ereditato un sanguinoso e interminabile conflitto lontano da casa che erode il prestigio americano, si scontra con gli alleati europei, scarsamente propensi di sobbarcarsi gli oneri della propria difesa contro una Russia apparentemente incontenibile. Sa che troverà molti detrattori a casa, che i Repubblicani lo criticheranno per aver dialogato con un governo che ancora si proclama rivoluzionario, mentre i Democratici gli rimprovereranno di non aver sollevato la questione dei di diritti umani a sufficienza. Per questo ha scelto di andare personalmente; mentre un trattato può essere bocciato dal Senato, una stretta di mano non si può cancellare.

Con queste parole si potrebbe descrivere il viaggio del Presidente Obama a Cuba. Oppure, si sarebbe potuto descrivere il viaggio di Richard Nixon in Cina nel 1972. A prescindere dalla ovvie differenze tra i due, saranno accomunati, nel giudizio che la storia gli riserverà, dall’aver saputo prendere una decisione coraggiosa e necessaria, che cambierà nel bene e nel male la politica estera degli Stati Uniti. Hanno entrambi scelto di fare un viaggio degno di un vero statista.

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