EsteriFinestra sull'Europa

Il Tramonto della Pax Americana

trumpDonald Trump dunque è stato eletto Presidente degli Stati Uniti. Pur non volendoci annoverare tra i cosidetti complottisti, riteniamo tuttavia imperdonabilmente ingenuo credere che la maggiore potenza mondiale rincorra ciecamente gli istinti dei contadini del Mid West o di qualche altra piccola categoria di provincia; mentre valutiamo politicamente molto più realistico ravvisare nel voto di martedì l’espressione di un moto complessivo della nazione americana, non necessariamente in contrasto con i sentimenti delle sue classi dirigenti. Il diffondersi nei gangli della società USA di un profondo senso di ripulsa verso il resto del mondo, Europa inclusa, è quindi l’unica chiave di lettura verosimile del successo del candidato repubblicano sulla democratica Clinton, da sempre percepita come vicina alle cancellerie del Vecchio Continente.

Ora, effettivamente, se c’è una cosa su cui questo Trump, che per certe sue retrive visioni economiche, per le sue oscene simpatie politiche e per la sua insopportabile volgarità abbiamo disprezzato e continuiamo senza vergogna a disprezzare anche ora che gli Epimetei del giornalismo mondiale montano goffamente sul suo carro, se c’è una cosa su cui egli ha indubitabilmente ragione è nell’accusare, in fatto di relazioni internazionali, l’ignavia e l’opportunismo degli Europei, i quali ormai da decenni non solo pretendono che la loro sicurezza sia garantita a prezzo di saldo dallo Zio Sam, ma addirittura si stracciano le vesti, strillando ipocriti slogan pacifisti, non appena viene loro richiesto di onorare il servizio di gendarmeria col mezzo obolo pattuito.

Occorre, quindi, che i capi di governo del Vecchio Continente, che su tale questione si sono comportati sinora non troppo diversamente dai populisti che essi quotidianamente a ragione stigmatizzano, invece di sproloquiare di mutualizzazioni dei debiti e sussidi transnazionali, si sforzino di spiegare ai propri concittadini che, siccome siamo un blocco di economie trasformatrici che importano materie prime ed esportano manufatti, per sopravvivere abbisogniamo della sicurezza delle rotte commerciali e delle arterie energetiche come dell’aria. E che, poichè i predoni e i duci del secondo e del terzo mondo non sempre si lasciano persuadere dagli eloqui raffinati, il mantenimento dell’ordine e della pace esige purtroppo l’uso del piombo e talvolta, ahinoi, addirittura dell’uranio. E che infine, visto che aborriamo spendere in armamenti e visto che la massa politica di tutte le singole nazioni europee – Francia esclusa – è a dir poco ridicola, se vogliamo creare una forza militare di autodifesa credibile è necessario che essa sia organizzata come esercito federale di almeno sei Paesi, se non di diciannove o di ventisette. Altrimenti possiamo provare a lasciare l’Ucraina e la Siria a Putin, l’Iraq all’ISIS e il Nord Africa ai Fratelli Musulmani per vedere se con i campi petroliferi e con i canali e gli stretti interamente in mano a mattoidi peggiori di quelli del 1973 è così facile prosperare; oppure possiamo tornare a dividerci nuovamente in blocchi contrapposti, Francesi contro Tedeschi, Italiani contro Austriaci, Ungheresi conto Romeni come ai bei tempi, tanto rimpianti dai nazionalisti, in cui, senza sprecar fiato in futili dibattiti al Parlamento di Strasburgo, le controversie intraeuropee si regolavano facendo tuonare i cannoni, sventrando le città e massacrando i civili a milioni.

Il tema dei commerci internazionali peraltro ci porta all’altro punto cruciale. L’aspetto più inquietante della campagna elettorale americana sono senza dubbio gli argomenti protezionistici usati in abbondanza dal candidato vincitore: se però volessimo razionalizzare il fenomeno Trump e ricondurne i deliri ad una parvenza di verosimiglianza politica, potremmo ravvisare nelle invettive contro il liberoscambismo una rozza metonimia intesa a significare le manipolazioni valutarie, che in effetti nell’ultimo lustro hanno colpito pesantemente i produttori a stelle e striscie e che davvero ben poco hanno a che fare con l’economia di mercato.

E anche qui l’Europa, mano sul cuore, deve farsi un serio esame di coscienza, visto che, nonostante un avanzo corrente mastodontico, un bilancio complessivo non lontano dal pareggio ed un debito pubblico aggregato nettamente inferiore a quello statunitense, non solo abbiamo artificialmente svalutato l’Euro, col consenso dell’Amministrazione democratica, al solo scopo di proteggere gli stati membri più indisciplinati, ma addirittura accusiamo gli altri incessantemente di mercantilismo, quasi per tenerci pronti ad assestare ulteriori colpi ribassisti alla nostra moneta. Certo la situazione di alcuni Paesi, singolarmente considerati, è tutt’altro che rosea, anzi diremmo funerea. Ma è davvero legittimo scaricare sul mondo esterno la nostra incapacità di ricondurre all’ordine i vari Tsipras e Renzi? Forse che qualche screanzato in giro per il globo reputa che concedere agli Italiani il lusso di non tagliarsi le pensioni e di non licenziare i forestali non sia un motivo sufficientemente nobile per mandare all’aria l’economia mondiale? Attenti, perchè, entro la stessa Europa, la pazienza per quel fardello che è ormai diventato il nostro Paese è giunta ai minimi storici e con l’elezione di Trump l’integrità dell’UE cessa probabilmente di essere una priorità della Casa Bianca.

Prendiamo quindi atto che la fine della Pax Americana sull’Europa è stata ufficialmente annunciata e non è possibile rinviare più oltre il momento della responsabilità. Senza la guida statunitense, le uniche alternative all’instaurazione di una Pax Europea autogena sono la disgregazione, l’irrilevanza politica e conseguentemente, presto o tardi, la miseria. L’avvertimento valga due volte per l’Italia, visto che, da classico vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro, il Bel Paese, a dispetto dei tronfi proclami dei suoi arruffapopoli nazionalisti, appena s’inizierà a pogare, sarà il primo a sbriciolarsi.

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