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Siria: il conflitto negli anni recenti – parte 5

Siamo giunti alla quinta parte della nostra serie che ripercorre la guerra civile in Siria: in questa ultima parte dedicata agli eventi che si sono susseguiti sul campo analizzeremo come si è evoluto il conflitto negli anni recenti e le varie implicazioni politiche che ci sono state. Riprendiamo il nostro racconto partendo dall’estate del 2019, quando le truppe di Assad supportate dagli alleati russi e iraniani lanciano un’offensiva militare volta a riconquistare il governatorato di Idlib, ancora fuori dal controllo governativo. L’operazione militare avviata quell’estate prende il nome in codice di “alba di Idlib”.

Avanzando lungo il governatorato di Hama, le forze lealiste siriane si scontrano con un vasto numero di sigle anti-Assad prevalentemente islamiste ma non solo, dato che nella zona sono presenti anche altri tipi di fazioni più vicine al Fronte di Liberazione Nazionale, che riceve il supporto politico e militare dalla Turchia e che entra subito in contrasto con Hayat Tahrir al-Sham (Organizazzione per la Liberazione del Levante), la principale sigla di orientamento islamista del luogo. In questa prima fase dell’avanzata, il più importante successo governativo sta nella ripresa della città di Khan Shaykun (avvenuta il 20 agosto 2019), snodo strategico per poter raggiungere l’autostrada M5. Ad agosto 2019 viene annunciato un accordo unilaterale tra USA e Turchia per un cessate il fuoco e la successiva creazione di una nuova zona cuscinetto demilitarizzata nel Nord della Siria. Il 30 dello stesso mese un nuovo accordo siglato dal governo di Damasco con la Russia stabilisce un cessate il fuoco duraturo nella zona di Idlib a partire dal giorno successivo.

Mentre si registra una pausa dei combattimenti si verificano due grandi eventi attorno ad alcune tematiche internazionali inerenti la guerra in Siria. Il primo riguarda una crisi di rifugiati che, cercando di mettersi in salvo dai bombardamenti, si incamminano verso l’Europa. Partendo dalla Turchia, chi può tenta di raggiungere l’isola greca di Lesbo, che da anni ospita un campo profughi dove si trovano i migranti che tentano di raggiungere l’Europa, venendo in alcuni casi respinti o rimanendo ospiti di questo campo per molto più tempo del previsto. La rotta percorsa dai siriani è comunemente nota con il nome di “rotta balcanica” poiché dalla Grecia, passa attraverso la ex-Jugoslavia e si chiude in Germania o in Austria, mete ambite dai profughi. Il secondo evento riguarda la lotta al terrorismo internazionale e avviene nel 2019: il 27 ottobre nella città di Barsiha viene ucciso in un raid statunitense il leader dell’ISIS Abu Bakr Al-Baghdadi, principale ricercato dalle intelligence mondiali nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale.

La fragile tregua siglata da Russia e Turchia si rompe il 19 dicembre 2019, quando riparte l’offensiva militare su Idlib, denominata “Alba di Idlib 2” e che causa, come in precedenza, un altissimo numero di rifugiati in cerca di riparo nella vicina Turchia. Durante l’avanzata delle truppe di Assad con gli alleati russi e iraniani, si registrano episodi di tensione con l’esercito turco, presente in Siria in supporto alle sigle di opposizione. Il principale successo militare di Assad è la riconquista della città di Maarrat al-Numan, che avviene il 28 gennaio 2020. Pochi giorni dopo segue la conquista della strategica città di Saraqib, decisiva per controllare la M5 – principale autostrada del paese che, partendo da Aleppo, la collega a Damasco, passando per le città di Homs, Hama e arrivando a Dar’a e al confine di stato con la Giordania.

Il febbraio del 2020 vede le forze governative riconquistare alcune cittadine nell’hinterland di Aleppo, favorendo così il totale controllo di Assad sull’area e anche la definitiva messa in sicurezza della seconda città del paese. Sempre nello stesso mese, si registrano scontri tra l’esercito siriano e quello turco che sostiene alcune sigle dell’opposizione siriana presenti nel governatorato di Idlib. Il 27 febbraio, nella cittadina di Balyun, si verifica l’episodio più grave: uno scontro diretto tra l’esercito di Damasco e quello di Ankara, che causa la morte di 34 soldati turchi. Agli inizi di marzo 2020 il presidente turco Erdoğan decide di rispondere lanciando l’operazione militare “Scudo di Primavera con l’obiettivo di fermare l’avanzata governativa verso Idlib e vendicare la morte dei suoi militari. L’operazione ha vita breve, ma vede le forze filo-turche riconquistare Saraqib e la strategica montagna Zawiya.

Il 6 marzo Putin ed Erdoğan si incontrano a Mosca stabilendo un nuovo cessate il fuoco, che sarebbe subito entrato in vigore, e alcuni punti tra i quali: il pattugliamento congiunto di soldati russi e turchi lungo l’autostrada M4, il reinsediamento di circa 1 milione di profughi siriani nella zona cuscinetto di Idlib voluta dalla Turchia e il ritorno ad Assad della città di Saraqib. Tale operazione lascia il controllo totale dell’autostrada M5 al governo siriano, permettendogli così di poter ricollegare le principali città del paese certificando quindi una vittoria strategica del duo Assad-Putin. Con queste azioni termina la parte più dura dei combattimenti portando a un congelamento del conflitto, ma per la popolazione siriana i problemi non sono ancora finiti.

Con le principali città del paese di nuovo nelle mani del regime e tutte collegate tra di loro, Assad inizia a parlare di ricostruzione e di ripresa economica del paese, aprendo anche alla possibilità di investire per le imprese estere provenienti dai paesi che lo hanno sostenuto (Russia, Iran e Cina) ed escludendo, quindi, sia le imprese dei paesi occidentali sia quelle dei vicini paesi del Golfo che hanno sostenuto l’opposizione. Il governo di Damasco firma a questo proposito un accordo con l’Iran che promette un aiuto alla Siria per la ricostruzione energetica del paese.

La gestione dei soldi e dei fondi necessari per la ripresa viene affidata a Rami Makhlouf direttore di Syriatel (la principale compagna telefonica siriana) e cugino del presidente, considerato uno degli uomini più potenti e più ricchi del paese. Ma a maggio 2020 il ministro delle finanze ordina la confisca dei duty-free di sua proprietà, situati sia all’aereoporto di Damasco, sia nelle zone di confine con Libano e Giordania: le accuse sono appropriazione indebita e corruzione. Dopo alcune critiche sullo sperpero dei soldi pubblici arrivate anche dalla Russia, Paese alleato, la strategia del regime è evidentemente quella di mostrarsi attento al problema.

Sebbene tra le motivazioni ci sia anche la lotta alla corruzione, in realtà emergono altre due ipotesi considerate più vicine alla realtà. Makhlouf era infatti diventato una figura troppo ingombrante che avrebbe messo in ombra Assad. Il suo impero telefonico, inoltre, faceva gola a molti all’interno del regime. Nonostante l’arresto con l’accusa di aver evaso al fisco 4,7 miliardi di dollari, la guerra della telefonia è una partita ancora aperta che vede coinvolte la società Mtn Syria, ufficialmente appartente alla multinazionale sudafricana Mtn, e il regime iraniano, altro alleato di Damasco, desideroso di entrare nel settore della telefonia. La corruzione e le lotte interne al regime non hanno di fatto permesso una vera ricostruzione del paese anche in zone dove i combattimenti sono fermi da molto tempo.

Le nuove sfide per il regime: la pandemia da Covid-19, nuove sanzioni internazionali e malcontento

Il 17 giugno 2020 l’allora presidente statunitense Donald Trump vara il Caesar Act, un nuovo pacchetto di sanzioni che colpiscono direttamente il settore economico, energetico e militare della macchina del regime siriano. Considerate le sanzioni più dure mai inflitte alla Siria da parte degli Stati Uniti, esse non solo fiaccano l’economia del Paese, ma finiscono per impattare direttamente sulle entità militari russe e iraniane, attivamente coinvolte nel sostegno al governo siriano. Oltre alla nuove sanzioni internazionali, a mettere ulteriormente in difficoltà l’economia siriana è una grave crisi inflazionistica, che comporta un aumento della popolazione siriana incapace di acquistare beni di prima necessità – una percentuale che, secondo il World Food Programme, arriva nel 2021 al 60% del totale.

Come gli altri Paesi del mondo, dal 2020 anche la Siria ha dovuto fare i conti con la pandemia da Covid-19, che ha colpito massicciamente il paese: a partire da marzo, quando si sono registrati i primi casi, il ministero della salute siriano ha imposto rigide restrizioni per cercare di contenere il dilagare della pandemia. Ad agosto del 2023 il ministero della salute siriano ha affermato di aver registrato nel paese 57.423 casi e solo 3.163 deceduti, mentre le persone che hanno ricevuto almeno due dosi di vaccino sono solo il 10% della popolazione siriana. Numeri, questi, contestati dall’OMS, che si dice convinta che il numero di casi e di deceduti sia molto più alto, dato che nelle aree del Paese sotto il controllo dell’opposizione il regime siriano si è rifiutato di eseguire qualsiasi tipo di tracciamento e di distribuzione dei vaccini, aggravando ancora di più la situazione sanitaria. Per migliorare la situazione, l’ONU ha lanciato il programma COVAX Facility, con l’obiettivo di fornire circa 2,3 miliardi di dosi ai paesi a basso reddito – programma che in Siria ha creato diversi problemi. L’aumento della variante delta a partire dalla fine del 2021 e la crescente burocrazia hanno posto diversi paletti nel programma di gestione, mostrandone tutti i limiti e le storture.

Nella primavera del 2021, la grande crisi economica provocata dalle sanzioni e una sempre più feroce repressione verso il dissenso hanno generato enormi manifestazioni di malcontento popolare, soprattutto nelle città meridionali di AlSuwayada e di Dar’a. Quest’ultima già teatro di scontri a partire dal luglio 2021, quando la popolazione è scesa in piazza per protestare contro il mancato rispetto degli accordi (mediati dalla Russia nel 2018) tra le forze di opposizione e quelle lealiste, che concedeva il disarmo in cambio di un’amnistia generale e una successiva riconciliazione.

La Siria sulla scena internazionale

A partire dal febbraio del 2022 il regime di Damasco si è dimostrato uno dei più decisi sostenitori dell’invasione russa dell’Ucraina, votando in tutte le risoluzioni ONU a favore di Mosca assieme ad altri regimi autoritari quali Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea, Nicaragua e Mali (paese dove è presente una giunta militare sostenuta dalla Wagner). La collaborazione siro-russa non si è soltanto limitata a un voto a favore degli invasori all’ONU, ma si è estesa anche alla collaborazione militare e politica: nel marzo dello stesso anno il regime di Damasco ha aperto alla possibilità di rimpolpare le fila delle forze armate russe, inviando dei mercenari siriani in Ucraina, mentre il 29 giugno la Siria riconosce come stati indipendenti le repubbliche separatiste di Donec’k e Luhansk, causando una rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, già tese da tempo.

Il riconoscimento, da parte del regime di Assad, delle due repubbliche separatiste si unisce quindi alle decisioni di altri due paesi (la Russia e la Corea del Nord) e segue quanto già accaduto nel 2018, quando la Siria riconobbe l’indipendenza di Abcasia e Ossezia del Sud, entità separatiste filo-russe presenti in Georgia (in questo caso riconosciute anche da Nicaragua, Venezuela e Nauru, oltre che ovviamente dalla Russia). Il 6 febbraio del 2023 un violento terremoto di magnitudo 7.8 colpisce la cittadina turca di Kahramanmaraş, che vede coinvolta anche la parte settentrionale della Siria e, in particolare, i governatorati di Idlib e di Aleppo sono duramente colpiti. In risposta al terremoto, la comunità internazionale decide di allentare per un periodo di sei mesi le sanzioni economiche contro la Siria, in modo da poter aiutare le popolazioni delle aree colpite.

La necessità di aiuti internazionali conseguenti il devastante sisma è stata vista dal regime assadista come la possibilità di uscire dall’isolamento internazionale nel quale il regime è entrato dopo l’inizio della guerra civile: oltre al sostegno dei pochi alleati rimasti sulla scena internazionale, Damasco contava su una revoca delle sanzioni internazionali imposte soprattutto da Stati Uniti e Unione Europea. Oltre ai paesi occidentali, il regime era in pessimi rapporti con altri paesi del mondo arabo: su tutti Arabia Saudita e Qatar, i quali avevano sostenuto i gruppi di opposizione più radicale al regime. Tuttavia, il progressivo avvicinamento tra Arabia Saudita e Cina ha portato anche a un riavvicinamento dei rapporti tra Damasco e Ryadh, che ha fatto seguito al precedente riavvicinamento della Siria con Giordania, Oman ed Emirati Arabi Uniti (i quali avevano già riallacciato i rapporti con Assad a partire dal 2018).

Dopo il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla Cina, il 7 maggio 2023 la Siria viene ufficialmente riammessa nella Lega Araba, dalla quale era stata sospesa il 26 novembre 2011, durante la prima fase delle proteste contro il regime. Naturalmente la Siria deve rispettare una serie di condizioni che le sono state imposte, come la lotta alla produzione di captagon, potente anfetamina prodotta nel Paese e immessa nei mercati mondiali che fa della Siria un vero e proprio narco-stato. Come ulteriore prova di sostegno di Assad verso Putin, durante il discorso del presidente ucraino Volodimr Zelensk’jy tenuto il 19 maggio a Jeddah, al vertice della Lega Araba, il dittatore siriano ha deciso di sfilarsi le cuffie con la traduzione simultanea in segno di disprezzo verso il leader ucraino e il suo Paese.

Con questa parte abbiamo concluso gli eventi che si sono verificati sul campo, cercando di coprire il più possibile tutti gli avvenimenti. Nella sesta ed ultima parte di questa serie tratteremo una sintesi con dati e numeri riguardanti questo conflitto.

Continua nella parte 6

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