Dopo aver analizzato nel precedente articolo il fenomeno delle primavere arabe e i vari effetti che hanno avuto nei paesi coinvolti, in questa serie che sta per cominciare verrà affrontata la situazione in Siria, partendo in questa prima parte dalla nascita del regime degli Assad fino agli avvenimenti che si sono verificati nell’estate del 2013.
A partire dal 1970 la Siria fu governata dalla famiglia degli Assad con Hafiz Al-Assad che resta al potere fino al 2000, anno della sua morte, a cui successe il figlio Bashar. Da un punto di vista politico il nuovo regime si fondava sull’ideologia del partito Baath: fondato nel 1940 in Siria da Michael Alfaq (di religione cristiano-ortodossa) e Salah Al Din Ali Bitari. Il partito aveva come obiettivo sostenere l’unità del mondo arabo seguendo gli ideali di libertà, a partire da una lotta per l’indipendenza dal dominio coloniale europeo (la parola ba’th in arabo significa “risorgimento”). Il partito Baath promuoveva un’ideologia socialista e, coerentemente con quest’ultima, un modello di società basato sulla secolarizzazione e la laicizzazione, il che gli permise di essere sostenuto da un sempre maggior numero di persone, soprattutto tra i rappresentanti delle minoranze religiose.
Il movimento socialista pan-arabo prese piede anche nel vicino Iraq dove, a seguito di una scissione avvenuta nel 1966 tra la componente siriana e quella irachena, e salì al potere nel 1969 con Hassan Ahmad Al-Bakr e nel 1979 con il regime di Saddam Hussein, che proseguì fino al 2003. Possiamo asserire che la componente siriana del partito rappresentava la “sinistra baahtista”, mentre la componente irachena quella di destra. Per quanto riguarda la questione arabo-israeliana il movimento sostenne la causa palestinese seguendo l’ideale di un grande stato arabo laico e socialista.
Il regime siriano si basò fin da subito su una forte repressione interna che limitava le attività degli oppositori e, pur non raggiungendo la brutalità del vicino iracheno, non mancarono sistematiche violazioni della libertà personale da parte della polizia politica. Dal punto di vista religioso, coerentemente con l’ideologia socialista, Assad avviò un processo di secolarizzazione della società siriana, cosa che gli portò il consenso delle minoranze religiose drusa, alawita e cristiana, le quali vedevano queste azioni come un argine contro possibili attacchi della Fratellanza Musulmana, che era sostenuta dalla componente sunnita e aveva una visione più conservatrice della società.
Sulla scena internazionale il regime siriano mantenne rapporti di amicizia e partenariato con l’Unione Sovietica, a cui aveva concesso anche l’affitto per ottenere una piccola base navale nella città meridionale di Tartus nel 1971, permettendole così di ottenere lo sbocco sul Mar Mediterraneo. Nell’intricata partita arabo-israeliana, pur sostenendo la causa palestinese, il regime non diede mai supporto al movimento di Arafat in quanto voleva proporsi come alleato affidabile per risolvere la crisi.
Furono tuttavia ostili i rapporti con lo Stato di Israele contro cui la Siria aveva condotto la guerra dei sei giorni (1967) e quella dello Yom Kippur (1973). A peggiorare i rapporti tra i due paesi vi era la contesa sovranità delle Alture del Golan, tutt’ora in corso. I rapporti furono infine molto tesi anche con il vicino Iraq, cosa che portò la Siria a schierarsi con l’Iran nella guerra Iran-Iraq (1980-1988).
Dopo la sua morte, avvenuta nel 2000 a seguito di un attacco cardiaco il potere passò nelle mani del secondogenito Bashar Al-Assad che riuscì a mantenere un certo controllo sul suo popolo almeno fino agli eventi del 2011: infatti nella prima fase delle proteste che interessavano il mondo arabo la Siria sembrava inizialmente esserne esclusa, almeno fino al marzo 2011 quando martedì 15 marzo iniziarono delle manifestazioni anti-governative nella piccola città di Dar’a situata al confine con la Giordania che costituisce la regione più povera del paese.
A partire da questa data la situazione sul campo cambierà radicalmente: quel giorno infatti vengono arrestati ,e successivamente torturati, alcuni minorenni colpevoli di aver scritto su un muretto cittadino slogan anti-regime: ne nasce così una protesta cittadina repressa nel sangue dal governatore di Dar’a, aumentando quindi l’esasperazione cittadina che porterà la situazione a diventare presto molto incandescente: il 26 marzo, giorno dei funerali di alcuni dei manifestanti uccisi, viene data alle fiamme la locale sede del partito Ba’ath.
In questa fase Assad sembra voler ascoltare il malcontento popolare e fa una serie di aperture promettendo di allentare la repressione e di iniziare a pensare a come migliorare la situazione economica dei siriani: il 23 marzo viene rimosso il governatore della regione di Dar’a, viene sciolto il governo e nomina come nuovo premier il ministro dell’agricoltura Adel Safar, riduce da 21 a 18 mesi la coscrizione obbligatoria, mentre il 23 aprile del 2011 viene rimosso lo stato d’emergenza che era in vigore nel paese dal 1963: tuttavia se da un lato sembra voler venire incontro alle proteste dei manifestanti dall’altra la repressione del regime verso i dissidenti resta pesante.
Seguendo l’esempio egiziano e libico giovani blogger e attivisti per i diritti umani giocano un ruolo di primo piano in questa fase delle proteste chiamando a raccolta, tramite i social-network molti cittadini in piazza: così il 29 aprile del 2011 si ha la più grande manifestazione di protesta denominata “venerdì della rabbia“: insorgono così anche la città di Banyias, successivamente anche Homs e Idlib. Sempre nell’aprile del 2011 ci sono le prime proteste nelle città di al-Qamoshili e di Amuda nel Kurdistan siriano.
Parallelamente alle manifestazioni di protesta, ci sono anche manifestazioni a favore del regime che si svolgono nelle principali città del paese: Damasco, la capitale, Aleppo, Tartus e Laodicea. Nella seconda metà del 2011 la situazione è sempre più difficile per il regime con altre città che insorgono, tra queste la più importante è Hama: nella città il risentimento verso il regime è molto forte ed è radicato il sostegno cittadino verso la Fratellanza Mussulmana, che comincia quindi a comparire sulla scena delle proteste anti-regime: in città è rimasto vivo il ricordo degli eventi del 1982 quando la fratellanza musulmana aveva organizzato un’insurrezione contro il regime di Hafiz Al-Assad che venne repressa nel sangue dal fratello del presidente, Rifat Al-Assad. Questi, avvalendosi della fanteria e dell’aviazione, ridusse la città in un cumulo di macerie uccidendo tra le 35.000 e le 45.000 persone.
A causa dell’aumento della repressione del regime verso i manifestanti, il 29 luglio 2011 viene creato l’ Esercito Siriano Libero (ESL) più conosciuto come Free Syrian Army (FSA) un esercito composto da disertori dell’esercito siriano che inizia quindi la lotta armata per destituire il regime degli Assad, evento che cambierà ancora lo scenario sul campo: da pacifiche proteste di piazza per chiedere più diritti e democrazia si passa a una guerra civile vera e propria. Per facilitarne il ruolo politico del rinnovamento in atto viene fondato nella città di Istanbul il Consiglio nazionale siriano (CNS), che raccoglie i membri dei partiti anti-Assad in esilio ad esclusione dei gruppi curdi e del fronte Al-Nusra considerata la costola di Al-Qaeda in Siria. La presenza di disertori con esperienza militare e dotati di una importante catena di comando mette in difficoltà le truppe fedeli al regime che si trovano così impreparate ad affrontare gruppi armati, come dimostra la battaglia di Rastan combattuta tra il 27 settembre e il 1°ottobre 2011 nei pressi di Homs che vede la prima vittoria sul campo del FSA. Alla fine del 2011 la situazione sul campo si è notevolmente surriscaldata.
A partire dal gennaio 2012 Assad tenta di dare nuove concessioni ai suoi oppositori, tra queste l’approvazione di un referendum che permetterebbe alla Siria di dotarsi di un sistema multipartitico che non comprenda solo il partito Ba’th ed una nuova costituzione che viene approvata il 27 febbraio 2012 dal 89,4 % dei votanti: tra le riforme più importanti vi erano l’eliminazione di qualsiasi riferimento all’economia di tipo socialista e allo stesso tempo il divieto di formazione di partiti su base religiosa ed etnica. Si esclusero così sia i Fratelli Mussulmani sia i partiti di ispirazione curda che rappresentano la vera e principale opposizione al regime. Per tutta la durata del 2012 la repressione del regime si fece più pesante, malgrado le aperture di facciata verso gli oppositori.
Ad aumentarla ulteriormente vi furono le prime vittorie dell’Esercito Siriano Libero nei pressi di Homs che diventa subito a inizio anno la “capitale della rivoluzione” dopo una battaglia nella quale i ribelli anti-Assad hanno assassinato 38 soldati dell’esercito siriano. Nel maggio 2012 l’episodio più grave è quello del massacro di Hula, località vicino Homs dove l’esercito siriano uccide 110 civili di cui 32 bambini episodio che porta diversi paesi a espellere, in segno di protesta, personale diplomatico siriano dalle loro ambasciate o loro paesi mentre all’ONU Il regime di Assad viene condannato dalla maggior parte dei paesi, tuttavia non da Cina e Russia.
Proprio questo gravissimo fatto porta la comunità internazionale a scendere in campo in quella che ormai è diventata una consolidata e sanguinosa guerra civile. Il regime siriano può contare sull’appoggio della Russia, della Cina, dell’Iran: la Russia ha legami storici e geopolitici con il paese dal 1971, grazie alla base navale di Tartus che le permette di avere uno sbocco sul mar Mediterraneo, la Cina sostiene il regime in quanto nemica dei cambiamenti politici e favorevole al mantenimento dello status quo, mentre l‘Iran sostiene Assad in quanto la famiglia che detiene il potere in Siria appartiene alla minoranza alawita, una minoranza religiosa musulmano-sciita presente nel paese, inoltre la Repubblica Islamica vuole mantenere la sua influenza in Medio-Oriente come fa nel vicino Libano con le milizie Hezbollah. Un supporto di natura meno strategica e più ideologica giunge invece dal Venezuela e dalla Corea del Nord.
A sostenere l’opposizione siriana invece troviamo gli Stati Uniti, il Regno Unito, l‘Unione Europea, la Turchia, l’Arabia Saudita ed il Qatar. Gli stati arabi sostengono tramite numerosi finanziamenti i gruppi più radicali che si sono formati tra l’opposizione al regime. Nel corso del 2012 le cancellerie occidentali, così come numerosi analisti politici sono convinti che il regime di Assad sia ormai sul punto di cadere, in quanto non controlla più numerose zone nel paese: nell’estate di quell’anno entrano in scena i curdi che sono la principale minoranza etnica nel paese e che da sempre ha avuto vita difficile sotto il regime siriano. Le battaglie nel cantone di Arfin e nella provincia di Al-Hasakah vengono vinte dalle brigate curde in particolare dall’YPG e dalle altre forze curde combattenti che danno vita così all’esperienza del Rojava , seguendo gli ideali del confederalismo democratico ,uno dei cardini della politica curda, convivendo quindi in rapporti amichevoli anche con la minoranza araba: in questa fase del conflitto non ci sono scontri armati tra le forze del regime e quelle curde in quanto la priorità del regime siriano è il recupero delle zone a maggioranza araba ed è proprio lì che si intensifica battaglia.
Proprio durante l’ estate del 2012 si verificano i due episodi che potrebbero dare la spallata definitiva al regime: Il 18 luglio l’ESL lancia l’offensiva sulla capitale in modo da strappare definitivamente il paese ad Assad: ha inizio così “l’operazione Vulcano di Damasco” che si conclude con un pesante attacco al ministero della difesa, un attacco che decapiterà parte del vertice militari in un attentato dove perderanno la vita il ministro della difesa siriano Dawoud Rajiha, il suo vice Ashef Shawkat, il ministro dell’interno Mohamed Ibrahim Al-Shar e il generale siriano Hassan Turkmani che coordinava le azione contro i ribelli. Tuttavia all’ESL non riesce la presa della capitale in quanto non tutta la popolazione cittadina sostiene l’iniziativa.
Parallelamente all’attacco a Damasco il 19 luglio è il giorno dell’attacco ad Aleppo la seconda città del paese, centro economico e culturale fino a quel momento famosa anche per la produzione di un sapone che serve per l’igiene personale a base di olio d’oliva e di alloro. Da questo in momento in poi sarà una delle città simbolo della guerra civile siriana: i ribelli riescono a entrare nella cittadella medioevale della città e a conquistare la parte Est mentre la zona Ovest di Aleppo resta in mano alle truppe di Assad: la mancata presa di Damasco e la non totale conquista di Aleppo dividono ulteriormente il fronte dei ribelli che vedono l’entrata in scena , sempre più numerosa, di gruppi di jihadisti che hanno obiettivi diversi da quelli degli altri gruppi di opposizione: il più numeroso è quello di Al-Nusra legato ad Al-Qaida in Siria che ha come obiettivo la caduta di Assad per poter instaurare un califfato seguendo i dettami del salafismo e del wahabbismo sunnita. Nelle zone in cui questi gruppi sono la maggioranza iniziano episodi di terrore contro le minoranze religiose che vengono trattate come dei miscredenti da eliminare. Sebbene in alcune zone inizi una cooperazione tra ESL e Al-Nusra la stessa organizzazione ucciderà numerosi comandanti del esercito di disertori ritenendoli troppo secolarizzati.
Il 2012 è anche l’anno in cui grazie al numeroso flusso di denaro e di munizioni proveniente da Turchia, Arabia Saudita e Qatar i gruppi di ispirazione islamica e fondamentalista aumentano di numero arrivando addirittura a sostituire l’Esercito Siriano Libero dalle zone che inizieranno a conquistare. Grazie al tacito consenso turco nasce la cosidetta “autostrada della Jihad” che consente a numerosi foreign fighters di ingrossare le file sia di Al-Nusra sia del neonato ISIL (Stato Islamico del Levante).
Sebbene venisse dato ormai per sconfitto il regime di Assad riesce a portare la situazione in una fase di stallo dei combattimenti dopo essere riuscito a non perdere totalmente il controllo di Aleppo e di Damasco facendo quindi diventare le battaglie per la città (soprattutto Aleppo) delle guerre di posizione: a dicembre del 2012 ad Aleppo si combatte casa per casa in situazioni durissime per la popolazione civile che deve fare i conti con una città divisa in due (Aleppo Ovest in mano al regime la parte Est in mano ai ribelli). Alla fine dell’anno, il 31 dicembre 2012, le forze anti-governative riescono a conquistare la città di Hama, grazie però anche al contributo degli islamisti che in questa fase sono diventati il gruppo più numeroso.
Il 2013 si apre quindi con l’ESL ancora come forza di maggioranza tra quelle anti-Assad ma con un numero di jihadisti sempre più forte e sempre più numeroso: questi gruppi agiscono in totale autonomia rispetto agli altri gruppi e iniziano quindi a conquistare in maniera più decisa diverse località nel nord della Siria riuscendo a conquistare la più grande base militare del nord del paese, quella di Taftanaz, e a ottenere alcuni successi lungo il confine iracheno sulla linea del fiume Eufrate conquistando nel marzo 2013 la città di Raqqa, antica città romana conosciuta con il nome di Niceforio, iniziando quindi un processo di islamizzazione forzata della città che verrà effettuato dai miliziani di Al-Nusra assieme a quelli di Ahrar Al-Sham altro gruppo fondamentalista di ispirazione salafita: come abbiamo visto questi gruppi stanno aumentando le loro fila arruolando jihadisti provenienti sia dal Medio Oriente ma anche da alcuni paesi europei e Occidentali: nel 2013 i gruppi di jihadisti si rendono responsabili di numerosi omicidi e rapimenti: tra questi ricordiamo il gesuita padre Paolo Dall’Oglio sacerdote attivo in Siria da molti anni, promotore del dialogo interreligioso e inviso al regime degli Assad, venne rapito nel luglio 2013 a Raqqa e non venne mai più ritrovato il religioso si era proposto come mediatore per uno scambio di prigionieri, mentre ad aprile stessa sorte tocca a un altro italiano Domenico Quirico inviato della Stampa, rapito nell’aprile del 2013 dal fronte Al-Nusra e liberato nel settembre dello stesso anno.
Sfruttando le divisioni tra le forze di opposizione, il regime siriano tenta di recuperare parte del territorio perduto, che secondo le stime ammonta al 60%, lanciando una controffensiva tra l’aprile e il giugno del 2013 tentando di recuperare la località di Al-Qusayr località al confine con il Libano. L’esercito di Assad, sostenuto dalle milizie di Hezbollah, grazie a un’azione militare che vede la fanteria supportata dall’aviazione, riesce a riconquistare questa importante località al confine con il Libano. La vittoria per Assad è importante per due motivi: è la prima vittoria del suo esercito dopo una lunga serie di sconfitte e vede Assad proporsi ancora come in grado di controllare il paese. La sconfitta comincia invece a fare perdere autorità all’esercito siriano libero a favore dei gruppi islamisti e jihadisti che in questa fase stanno prendendo terreno: tra di loro c’è chi vuole un paese governato dalle dalla Sharia, la legge islamica, e chi anche vuole costruire un califfato e vede nella caduta del regime un’opportunità.
Tuttavia il 21 agosto 2013 nell’area di Ghuta nei pressi di Damasco, in alcune aree controllate dai ribelli le truppe siriane regolari lanciano un attacco con missili superfice-superifice contenenti il gas chimico sarin, uccidendo numerosi civili (alcune stime parlando di 281 vittime altri di 1.729 morti). L’attacco fa precipitare la guerra verso un pericolosissimo punto di non ritorno.
Continua nella parte 2
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