Non credo che sopravvivremo alla stupidità del dibattito sulla conversione di Silvia Romano. La responsabilità principale di questa agonia è, naturalmente, in primo luogo del governo, che ha esibito la ragazza come un trofeo anziché mantenere discrezione e prudenza su tutti gli aspetti della vicenda. Discrezione e prudenza che sarebbero state opportune tanto per ragioni politiche e strategiche, sia per evitare di dare in pasto una vittima di Al Shabab ai peggiori commentatori.
Non ci soffermiamo qui sul problema politico e strategico posto dall’opportunità o meno di pagare il riscatto chiesto da Al-Shabab: problema che non andrebbe affrontato “a caldo”, e che al momento risulta già inevitabilmente logorato dal refrain pezzente e populista “quei-soldi-potevate-darli-alla-povera-gente-italiana”: è noto ai più avveduti che potremmo contare ogni giorno molti più soldi pubblici sprecati in spese clientelari e improduttive di quelli usati per il riscatto di Silvia Romano. Il pagamento del riscatto andrebbe valutato, per l’appunto, senza moralismi da bettola, e tenendo conto di almeno due dati:
1: nel 2019, lo stato italiano ha concesso autorizzazioni alla vendita di armi all’estero, per il 72 per cento, a paesi extra-NATO e extra-UE: in larga parte, pertanto, a paesi, come l’Arabia Saudita e il Pakistan, che notoriamente proteggono e nutrono i terroristi islamici; e la stessa Turchia che, pare, sia stato un alleato vitale per le trattative, era ben prima del rapimento di Silvia Romano un partner strategico dell’Italia e dell’Europa, in Africa e sul Mediterraneo, come è purtroppo ben noto.
2: l’indisponibilità a trattare coi terroristi non può implicare che i cittadini rapiti da organizzazioni criminali vengano tout court abbandonati al loro destino: i paesi che perseguono la linea dura in questi casi, come USA e Israele, sono anche i paesi più interventisti sul piano militare. Dobbiamo ammettere che questo tipo di politica estera, da parte di un paese come l’Italia, in un’Europa ancora militarmente insignificante, è quantomeno difficile da condurre.
Discrezione e prudenza sarebbero state necessarie, dicevamo,proprio per evitare a una cooperante di 23 anni, per diciotto mesi prigioniera di terroristi islamici dei quali la quasi totalità dei commentatori ha solo sentito parlare, di divenire l’oggetto simbolico delle prevedibilissime barricate giornalistiche e social.
Ai fanatici reazionari che urlano al “tradimento” della cooperante nei confronti del proprio paese e alla “resa” di questo, da un lato, e agli islamofili da rive gauche che senza esitazione difendono la“libertà di culto” di una persona convertitasi all’Islam mentre si trovava prigioniera dei terroristi islamici, dall’altro, si è aggiunta da ultima Silvana De Mari, medico-guru dei Cattolicissimi Impegnatissimi contro la famigerata Lobby LGBT.
La dottoressa De Mari, che si proclama da tempo immemorabile cattolica e guaritrice di gay, ha senza esitazione parlato di Silvia Romano come di una indegna sciacquina (sic) in cerca di emozioni forti: sciacquina, cosa vai a fare in Africa, ha detto, perché te ne vai in vacanza? Ché poi paghiamo noi! Sciacquina! Se siete medici e ingegneri ok, andate in Africa ad aiutare; se no è inutile, andate solo per farvi i selfie, sciacquine esibizioniste.
Ecco, a questa ultima esternazione mi permetto di rispondere: e mi permetto di farlo senza usare argomenti laici e pacati – che pure ci sarebbero: la De Mari è così convinta che il soft power esercitato in Africa dalla pletora di istituzioni caritative varie, laiche e religiose, da educatori, mediatori, cooperanti, dall’insieme delle sciacquine insomma, non contribuisca minimamente al nostro benessere?
No, ecco, mi permetto di farlo perché anche io, parafrasando Giorgia Meloni, “sono una donna”, e “sono cristiana”.
E allora, per amore di verità, qualcuno deve pur parlare con Silvana De Mari. Silvana, da questo giornale, tempio dei liberisti da divano e sacrario delle più fantasiose perversioni di libertà, ascolta le parole di una tua sorella, a beneficio dei tanti che altrimenti potrebbero considerarti un apostolo del cristianesimo più autorevole di quanto non sia in realtà.
Silvana,
1: un cristiano non chiama “sciacquina” nessuno, tantomeno una giovane donna, tantomeno una vittima. Un cristiano benedice ogni opera di bene per i più poveri, sia essa volontariato o cooperazione, sia essa nell’ambito di una comunità cristiana o di una organizzazione laica, nazionale o internazionale;
2: anche Gesù di Nazareth era un bell’esibizionista; anche Gesù di Nazareth andava in lungo in largo, fuori dalla sua comunità di nascita, tra gli infedeli e gli impuri; e non faceva il medico, né l’ingegnere; lo stesso Gesù, peraltro, ha messo non poco in tumulto la stabilità della società di persone perbene di cui faceva parte;
3: e questo vale anche per il tuo congiunto Giulio Meotti: la Chiesa cattolica (universale), comunità concreta e spirituale, NON coincide con l’Occidente e con la sua storica civiltà. Questa disconnessione, che in fondo è logica, e quindi intrinseca alla religione stessa, è cominciata sin dalla scoperta del Nuovo Mondo e dalla fondazione dell’Ordine dei Gesuiti. Attraverso la pervasiva evangelizzazione del mondo negli ultimi cinque secoli, e anche grazie anche alla benedetta, progressiva erosione del proprio potere temporale, la Chiesa si era già attrezzata alla secolarizzazione dell’Occidente: perché per l’appunto, essa non coincide con l’Occidente. Ergete pure le vostre barricate antimoderne, se credete sia utile: ma lo stendardo della Chiesa sventola su territori che voi non conoscete.
Il cristianesimo non è un manuale di vita per brava gente civile e occidentale: è una chiamata radicale all’amore, alla compassione, al lavoro, per il bene di tutti, e soprattutto per i più deboli: ieri i ragazzini africani coi quali Silvia lavorava, oggi Silvia stessa: e l’evangelizzazione si fa così, non col turpiloquio millenarista di chi evoca la fine dei tempi a causa della Lobby LGBT.