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Economia & Finanza

Proposte pericolose per il futuro dell’Europa

La situazione di bassi tassi d’interesse non durerà per sempre. La proposta di cambiare le regole europee per sfruttare questa contingenza può essere foriera di effetti negativi. Nel mentre, nonostante prolungati periodi di crescita, alcuni paesi europei non hanno ancora risolto i problemi di finanza pubblica: riusciranno a essere più virtuosi in un contesto di regole meno rigide?

Terminate le elezioni europee, in attesa dell’insediamento del nuovo Parlamento Europeo previsto per il 2 di luglio, è iniziata la gara a formulare nuove proposte per suggerire quale diverso cammino dovrebbe intraprendere l’Unione Europea, in particolar modo con riferimento all’Euro-zona.  Sorprende trovare tra coloro che propongono soluzioni eterodosse, facili ma scorrette, un grande economista come Olivier Blanchard, che ha recentemente scritto un articolo per spiegare come, a suo avviso, riformare le regole europee del patto di stabilità e crescita per usufruire al meglio dell’attuale contingenza di bassi tassi di interesse.

Secondo l’economista francese, l’Europa deve iniziare a ripensare completamente la sua politica economica, in particolar modo con riferimento ai parametri relativi al debito pubblico e al deficit, di modo da renderla così coerente con un contesto di bassi tassi di interesse, ovvero il contesto esistente oggi, diverso dal contesto esistente all’epoca in cui vennero stabilite le regole in discussione. La questione relativa alla politica fiscale europea è un tema che va certamente affrontato e con riferimento al quale sono possibili spazi di miglioramento. Tuttavia, le proposte di Blanchard invece che produrre benefici, sarebbero soltanto uno scudo utile a quei paesi che avrebbero un disperato bisogno di attuare una serie di riforme, la cui implementazione è stata ritardata negli anni, che hanno usufruito di politiche fiscali anti-cicliche per uscire dalla crisi, ma che hanno poi dimenticato di mettere fieno in cascina durante il recente e prolungato periodo di crescita continuata: uno su tutti, l’Italia.

Svariati punti della proposta di Blanchard, infatti, lasciano alquanto perplessi: per primo, l’idea di creare un bilancio europeo comune, il famigerato pilastro incompiuto dell’Euro-zona fin dagli inizi del progetto di unione monetaria con la nascita dell’Euro (idea, questa, in parte condivisibile) e per secondo, l’idea di allentare i vincoli che limitano le possibilità di ricorso al deficit di bilancio in presenza di livelli elevati di debito. In particolare, l’ex capo economista del Fmi si riferisce alle regole del patto di stabilità e crescita riguardanti il limite del 3 per cento di deficit annuo e il tetto del 60 per cento nel rapporto debito su Pil. Con riguardo a quest’ultimo parametro, Blanchard sottolinea che, in un regime di così bassi tassi d’interesse, la necessità di abbassare il livello del debito in tempi così rapidi come prescritto dai trattati europei verrebbe meno. L’Europa, al contrario, dovrebbe permettere in questo momento storico agli stati membri di coordinare una politica fiscale espansiva, o attraverso espansioni fiscali coordinate dei singoli stati o attraverso un bilancio comune finanziato dai – mai troppo poco invocati – eurobond. 

Questa lettura keynesiana, asciutta e semplice della realtà, tuttavia, prescinde completamente da qualsiasi meccanismo di contenimento dell’azzardo morale, problema intrinseco di qualsiasi unione monetaria (che ha mostrato la gravità della sua sottovalutazione ai tempi del fallimento della Grecia).  Al contrario Blanchard sostiene – sorprendentemente – che la proliferazione di imposizioni e vincoli, nata dall’assunzione aprioristica secondo cui gli stati membri, in mancanza di essi, avrebbero l’incentivo a comportarsi in modo scorretto o, peggio, fraudolento sia una forzatura dai risultati alle volte incomprensibili. Ciò nonostante, gli scambi di missive tra Commissione e paesi membri (soprattutto del sud Europa) raccontano un’altra storia: i vincoli della Commissione sono stati gli unici freni che molti paesi hanno incontrato nel desiderio di aumentare in modo incontrollato spesa, deficit e quindi debito, dal momento che ciò che emerge dai carteggi è che questi paesi hanno sempre proposto alla Commissione maggiore flessibilità (quindi maggiori deficit) e mai invece una riduzione del debito superiore a quanto richiesto. Come se ciò non fosse già di per sé sufficiente, è d’uopo ricordare che in tempi in cui si tentava di non giocare sulla difensiva con regole e vincoli, un piccolo paese è riuscito a frodare l’intera unione mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della moneta unica.

Ci domandiamo inoltre, da dove provenga la necessità di uno stimolo fiscale keynesiano, ovvero anti-ciclico, ad esempio per un paese come l’Italia, che – come evidenziato dalla stessa Commissione – presenta un output gap del – 0,1% per il 2018 e del – 0,3% per il 2019 che tornerà poi ad avvicinarsi nuovamente allo zero nel 2020.

Ciò considerato, allargare lo spazio fiscale di uno stato come l’Italia significherebbe allargare permanentemente il perimetro del settore pubblico, dal momento che per sorreggere il PIL al di sopra del suo livello potenziale lo stimolo dovrebbe essere portato avanti per un tempo indefinito.

L’attuale scenario di bassi tassi d’interesse, inoltre, è tutt’altro che casuale e molto probabilmente rappresenta una circostanziata contingenza e non un permanente mutamento nel livello dei tassi d’interesse. Infatti, ciò che osserviamo è la diretta conseguenza della politica monetaria sviluppata dalla BCE a partire dall’introduzione del quantitative easing. Grazie a tale politica, che ha portato con sé un significativo contraccolpo noto come “Cantillon effect”, ovvero una distorsione dei prezzi relativi dei titoli di stato, per la gioia dei paesi ad alto debito che hanno visto i propri tassi debitori appiattirsi su quelli dei paesi più virtuosi; quegli stessi paesi con precarie situazioni debitorie hanno così potuto ignorare il segnale che era stato precedentemente lanciato dai mercati sul loro effettivo livello di rischio, e spostare ancora in avanti l’appuntamento con le proprie responsabilità, grazie al tempo e alla protezione comprati loro dalla BCE. Tutto questo altro non dimostra che la realtà dei fatti è in completa antitesi con le dichiarazioni morbide sul problema dell’azzardo morale fatte da Blanchard; in Italia quel risanamento tanto agognato non è mai arrivato, né in termini fiscali, né per quanto riguarda quell’impianto di riforme strutturali di cui il paese necessitava e necessita ancora, e questo proprio perché ha potuto godere di un più ampio margine fiscale per effetto delle politiche della BCE. La politica monetaria espansiva doveva essere lo strumento per ottenere un po’ di ossigeno dalla morsa dei mercati e mettersi il peggio alle spalle con un più morbido, ma pur deciso, risanamento. Per l’Italia tutto questo è servito soltanto a posticipare ed aggravare i problemi.

Rimuovere gli unici vincoli che hanno permesso di impedire ad una situazione grave di diventare tragica, soprattutto in considerazione del fatto che, giocoforza, il tempo del QE volge al termine e i tassi di interesse sul debito torneranno presto a seguire dinamiche maggiormente legate al mercato, sembra essere un inutile e pericoloso azzardo.

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