Il discorso di Paolo Savona, presidente della Consob, all’incontro annuale con il mercato finanziario, ha suscitato molte reazioni.
Tra le varie letture che si possono dare, mi ha colpito principalmente il leitmotif del discorso: un inno auto-assolutorio.
Ammetto di essere solitamente troppo duro sui giudizi riguardanti il mio Paese e, pertanto, spesso e volentieri nei miei scritti ne esalto le (non poche) eccellenze, che non rappresentano solo casi eccezionali. Ma in venti pagine di discorso, ho trovato nella trascrizione una serie numerosissima di attribuzione di colpe a fattori esterni. Ne riporto sotto alcuni estratti, per il lettore più incuriosito.
Per Paolo Savona, la mancata crescita dell’Italia, l’alto debito pubblico, la competitività del nostro sistema, derivano praticamente solo da decisioni prese da altri a nostro danno. Inoltre, secondo l’ex Ministro, sbagliano gli enti internazionali, quelli nazionali ed i centri di ricerca privati a dipingerci come un problema per la stabilità dell’Eurozona, perché non terrebbero debito conto della forza competitiva delle nostre imprese e del risparmio italiano. Critiche anche alle statistiche, in quanto produttrici di distorsioni percettive sulle nostre reali condizioni economiche.
In una sola occasione Savona riconosce “i problemi interni al Paese”, richiamando le Considerazioni finali di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia.
Le richiama, ma evidentemente deve aver saltato interamente il paragrafo delle stesse in cui si evidenziano “Le difficoltà strutturali dell’economia italiana”.
O la parte in cui il Governatore sostiene che «L’elevato rapporto tra debito pubblico e PIL rimane un vincolo stringente; per allentarlo non si può ritardare nel definire una strategia rigorosa e credibile per la sua riduzione nel medio termine», perché per Savona anche il 200% di debito/PIL non sarebbe un problema, purché «(…) il suo saggio di incremento deve restare mediamente al di sotto del saggio di crescita del PIL».
Oppure i problemi relativi alla demografia, ai divari interni al Paese, al tasso di partecipazione al lavoro.
Deve aver saltato la citazione più eloquente di Visco: «La debolezza della crescita dell’Italia negli ultimi vent’anni non è dipesa né dall’Unione europea né dall’euro; quasi tutti gli altri Stati membri hanno fatto meglio di noi».
Forse però non ha saltato tali passaggi. Li ha letti ed ha deciso di narrare una controstoria, quasi interamente rivolta ai problemi dell’esterno ed alle virtù tricolori che sarebbero subdolamente celate.
L’eccessiva auto-commiserazione di certo non aiuta, rappresentando l’eccesso opposto. Ma fino a che continueremo a rivolgere lo sguardo altrove per cercare la causa dei nostri problemi, continueremo a fare un danno a noi stessi.
Un tempo era una parte del Mezzogiorno a lamentare pedissequamente il fatto che il relativo sottosviluppo dipendesse dai problemi dello Stato nazionale. Oramai abbiamo proiettato la stessa mentalità a tutta la penisola, auto-convincendoci che i mali dell’economia siano davvero interamente attribuibili a colpe esterne.
Una narrazione che ci danneggia e che sarebbe tempo di invertire. Il riscatto del nostro Paese non può che partire dalla capacità di riconoscere le cause del nostro declino, quasi esclusivamente interne. Solo così facendo potremmo poi riuscire a lavorare sulla risoluzione delle stesse.
Twitter @frabruno88
Estratti del discorso di Paolo Savona
Sulle esportazioni:
«Esse, tuttavia, non dipendono dalle sole capacità imprenditoriali interne, ma anche dall’andamento della domanda globale costantemente esposta alla dinamica geopolitica, come sta accadendo in questi mesi».
Sulla bilancia estera:
«Ne è chiara testimonianza un persistente avanzo della nostra bilancia estera di parte corrente, realizzato nonostante il severo aggiustamento della nostra economia resosi necessario a seguito della modifica delle ragioni di scambio -variabile centrale del nostro sviluppo- causate da shock di origine esterna».
Sui giudizi negativi:
«Senza voler l’esistenza di problemi interni al Paese – efficacemente analizzati nelle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia – i giudizi negativi non di rado espressi da istituzioni sovranazionali, enti nazionali e centri privati appaiono prossimi a pregiudizi, perché resi su basi parametriche finanziarie convenzionali che non tengono conto dei due pilastri che reggono la nostra economia e società: la forza competitiva delle nostre imprese sul mercato globale e il nostro buon livello di risparmio».
Sulle statistiche:
«L’uso consueto di medie non rappresentative dell’universo in quanto la distribuzione di frequenza (curtosi) delle informazioni statistiche non ha caratteri normali (gaussiane), induce a una valutazione distorta delle nostre reali condizioni. Una tale prassi si riflette in giudizi negativi sulla solidità del nostro debito pubblico all’interno e all’estero».
Sull’architettura istituzionale:
«L’architettura istituzionale europea e internazionale entro cui operiamo è maturata quando il mondo era diviso in blocchi geopolitici e non si è adattata ai mutamenti emersi nell’ultimo quarto di secolo (…)».
Sull’impegno degli Stati per evitare l’isolamento:
«I Governi del mondo, a cominciare da quelli degli Stati membri dell’UE, si devono assumere la responsabilità di cambiare questo stato insoddisfacente di cose ponendo un impegno proporzionale alla rispettiva forza geoeconomico-politica».
Sull’adesione all’euro:
«Con la decisione di aderire all’euro fin dall’inizio, l’Italia ha accettato di far convergere il debito pubblico verso il 60% del PIL senza prima definire a livello interno e a quello europeo una politica di rientro dai 45 punti percentuali in eccesso, priva di caratteristiche deflazionistiche e, di conseguenza, del consenso democratico necessario».
Sul commercio mondiale:
«Verso la fine del secondo millennio, l’allargamento dell’area di libero scambio alle economie di non di mercato è avvenuto senza una revisione delle regole del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio: è stata infatti lasciata ai singoli paesi la scelta del regime di cambio, permettendo l’alterazione per via valutaria delle condizioni competitive sul mercato mondiale».
Sul debito pubblico:
«In Italia il rapporto debito pubblico/PIL (…) è risalito al 132,1% sotto la spinta delle difficoltà di adattamento al nuovo shock finanziario trasmessosi all’attività reale».
Sulla crescita zero:
«La crescita zero ha il suo epicentro negli investimenti e da questi si deve partire. Tuttavia, è altrettanto necessario che si stabilisca una compatibilità tra l’accettazione delle forti spinte inflazionistiche e gli andamenti altalenanti delle grandezze economiche e finanziarie interne e internazionali».
Sui detentori del debito pubblico:
«Poiché gli accordi europei hanno scambiato la stabilità del debito pubblico con quella dei cambi e dei prezzi sono venute meno le guarentigie di cui i titoli di Stato avevano goduto in passato; la percentuale tenuta dalle famiglie è andata riducendosi, cadendo a fine 2018 al 5,9% del totale in essere (138 mld su 2.322».
Sui detentori del debito pubblico (2):
«Il potere di valutare il rischio di rimborso si è trasferito sul mercato senza un adeguato contrasto alla speculazione, che non di rado trova alimento nell’attitudine delle autorità a usarlo come vincolo esterno per indurre gli Stati membri a rispettare i parametri fiscali concordati a livello europeo».
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[…] Alcuni osserveranno che erano gli anni settanta, ma ora le cose sono diverse. Perché il Giappone, la Fed, e la BCE stampano a manetta senza provocare inflazione. Questa storia è complicata perché dobbiamo capire cosa determina la domanda di moneta (qui c’è una spiegazione). Cercherò di semplificare. […]