Mario Draghi non avrebbe dovuto aspettare quello che, a detta di molti, sarebbe stato il suo turno per vaccinarsi, ovvero quello di qualsiasi altro cittadino con le stesse generalità. Il motivo è abbastanza ovvio: Draghi non vale come qualsiasi altro cittadino. Serba un valore aggiunto che non deriva dalla persona (non solo), ma anzitutto dall’alto ruolo istituzionale che ricopre.
Alla base del riconoscimento di questo valore vi sono due cose, due soltanto: lo spirito di servizio e il senso dello Stato. E non occorre essere statalisti per poterle apprezzare.
Il Presidente del Consiglio, così come molti altri funzionari direttamente implicati nel contrasto della pandemia, ha una responsabilità enorme. Dalle sue decisioni dipende la risposta della nazione alla pandemia e questo ha serie implicazioni nella vita di ognuno, anche in quella dei 20 milioni di garantiti che hanno sempre puntualmente percepito un reddito mensile da marzo 2020. Un periodo di anche temporanea inattività in questo momento avrebbe ripercussioni disastrose per tutti.
La corsia prioritaria che dovrebbe essere quindi riservata alle più alte cariche dello Stato non va intesa come un privilegio destinato a poche persone, ma come una doverosa azione necessaria a tutelare l’intera collettività, garantendo appieno l’operatività di una figura fondamentale per ciascuno di noi.
Non mi stupisce che molti italiani non l’abbiano compreso: non importa il colore politico, l’estrazione culturale o la fascia di reddito, trattasi di una questione prettamente concettuale, educativa. Il senso dello Stato, della comunità, è qualcosa che dev’essere appreso nella prima infanzia, veicolato dai genitori. I boomer segnati da tengentopoli non potevano certo essere i migliori insegnanti di questa forma mentis, che in ultima analisi riguarda la fiducia nelle istituzioni, nella coscienza d’essere gli uni interdipendenti dagli altri e nella piena consapevolezza di dover collaborare come società per poter uscire prima e meglio dalla pandemia.
Negli USA, politici e membri del Congresso sono stati d’istinto vaccinati per primi, senza polemiche, esattamente come sono stati vaccinati per primi gli operatori sanitari, consci del fatto che la mancata operatività di un medico (o la morte) avrebbe finito per moltiplicare i costi umani e sociali, causando altre morti a catena nei cittadini che quel medico non sarebbe riuscito a curare.
Chiunque pensi di venire prima del Presidente del Consiglio, foss’anche stato Giuseppe Conte, ha preso un abbaglio controproducente perfino per i suoi stessi interessi. In nome di quella disgrazia sociale dell’uno vale uno abbiamo dimenticato che uno non vale l’altro.
Vi sono ruoli ben definiti all’interno di una società, anche in democrazia, dove è riconosciuto il valore di ogni essere umano a prescindere dalla sua condizione. Questo però non può e non deve significare che ogni persona abbia la stessa influenza -e responsabilità- sugli altri. Di conseguenza le maggiori cariche devono essere maggiormente tutelate, perché esse condizionano il buon funzionamento del modello sociale. Questo non è un concetto giuridico, non si riscontra esclusivamente all’interno dello Stato, ma è un inconscio collettivo proprio dell’uomo, che si riflette anche nell’organizzazione delle comunità tribali e finanche in quelle d’alcune specie animali, arrivando ad essere considerato un inconscio evolutivo.
Un carattere favorevole, affinatosi in milioni di anni del quale, a quanto pare, dovremmo frettolosamente sbarazzarci in virtù di una neo-raggiunta illuminazione dell’uguaglianza. Siamo tutti uguali e valiamo tutti uguali. Alzi la mano chi pensa di valere più del Presidente del Consiglio.
Eppure intere categorie hanno vaccinato la maggior parte dei propri ascritti e, per mezzo dei noti capibastone, seguitano a reclamare corsie prioritarie, più prioritarie di quelle altrui, arrivando a minacciare pensanti ritorsioni che minerebbero ancor più il delicato equilibrio su cui l’Italia si è retta nel corso della pandemia.
Questo atteggiamento viene definito da alcuni sociologi crab mentality, perché mima il comportamento di alcuni granchi chiusi in un secchio che, pur potendo costruire un ponte vivente per fuggire, non collaborano, ma addirittura si ostacolano gli uni con gli altri, finendo tutti in padella. Non v’è bisogno di chiudere il secchio con un tappo: i granchi presi a litigare non supereranno mai l’ostacolo comune. Alcuni tendono a mostrare comportamenti predatori, come se pensassero che qualcosa che non è loro concesso debba essere negato anche a chiunque altro, forse proprio in virtù di un’uguaglianza tra membri senza gerarchia sociale definita.
È questa la prova evidente della mancanza di spirito di servizio e di senso dello Stato. Due caratteristiche purtroppo ubiquitarie nel tessuto sociale italiano, a qualsiasi livello, che rendono incredibilmente difficile superare qualsiasi difficoltà come comunità, ma anche come individui, in quanto promotrici di una penalizzazione trasversale e sinergica, che ben s’è vista nelle puerili querelle tra VIP delle ultime settimane.
Eminenti professionisti che hanno dimostrato di non essere poi così diversi dai granchi in un secchio. Emblematica espressione d’un paese dove Mario Draghi deve aspettare il turno degli altri.
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