“Urgente cambiare subito la strategia di contrasto al virus SarsCov2: è necessario un lockdown totale in tutta Italia immediato, che preveda anche la chiusura delle scuole facendo salve le attività essenziali, ma di durata limitata”.
Questo è il virgolettato che riporta Repubblica il 14 febbraio 2021 e attribuito al consigliere del ministero della salute Gualtiero, detto Walter, Ricciardi.
Premessa
Premetto che l’articolo non ha intenzione di trattare l’effettiva efficacia o necessità di un lockdown totale, non ho sufficienti conoscenze per esprimermi e tantomeno la professionalità necessaria per farlo. L’articolo ha lo scopo di ricordare come le misure restrittive, probabilmente inevitabili, che sono state applicate in questi mesi abbiano avuto un prezzo e, se non vogliamo essere alienati dalla realtà in cui viviamo, è doveroso indicare chi pagherà il conto più salato.
Questo tipo di argomento è stato assente nel dibattito pubblico italiano, polarizzato e che ama dividere il mondo tra buoni e cattivi, tra bene e male: se da una parte visionari proponevano la paura come mezzo di controllo sulla popolazione negligente, dall’altra individui in crisi di identità gridavano al liberi tutti. Per mesi abbiamo assistito alla lotta tra guelfi e ghibellini, intanto il tempo scorreva e le scelte venivano prese, in un modo o nell’altro.
Il lockdown non è stato uguale per tutti
Dopo questo breve preambolo storico possiamo introdurre l’argomento centrale dell’articolo: il lockdown, così come le misure restrittive, non è uguale per tutti. Può sembrare scontato, ma data la leggerezza con cui se ne parla nel dibattito mainstream mi sembra giusto sottolinearlo con una serie di dati e valutazioni.
Il mondo del lavoro
Come è ovvio la prima forma di disuguaglianza nasce nel mondo del lavoro. Negli ultimi mesi si è diffuso il cosiddetto “smart working”, lo strumento che ha permesso a migliaia di persone di coniugare lavoro e distanziamento sociale, in alcuni casi con ottimi risultati. Non tutti i lavoratori, però, hanno potuto accedere ad esso, usualmente per motivi legati al tipo di mestiere svolto. E coloro che non hanno potuto farvi affidamento, come testimoniato in uno studio svolto in Germania, sono quelli che svolgevano i lavori più umili, realisticamente anche i più poveri, i meno istruiti, le donne e i più giovani. È realistico pensare che saranno anche le categorie fra le quali vi sarà il maggiore aumento della disoccupazione e l’inasprimento delle condizioni di vita con tutte le conseguenze che ciò comporta sul tessuto sociale.
L’istruzione
Le disuguaglianze sono un fenomeno diffuso in tutto il mondo ed inevitabilmente legato a quello della discriminazione e dell’emarginazione sociale. Uno strumento adottato per superare tali condizioni è l’istruzione: essa permette a gruppi sociali di mescolarsi e ai singoli individui di emanciparsi, permette di ridurre le disuguaglianze di reddito e, di conseguenza, quelle sociali.
La riapertura delle scuole è stata soggetto di lunghi dibattiti nel nostro paese. Nei Paesi Bassi si è tentato di osservare quanto gli studenti avessero subito in termini di perdite di apprendimento durante le settimane di chiusura, limitate grazie all’uso della didattica a distanza. Oltre a notare un generale peggioramento, i ricercatori si sono accorti che gli studenti che avevano perso di più erano anche quelli con i genitori con i titoli di studio più bassi. Se la “scuola a distanza” può non essere stata efficiente in linea di massima, tra i più poveri ha ottenuto il fallimento più grande con la conseguenza che le famiglie meno istruite sono rimaste tali.
Negli Stati Uniti è avvenuto un fenomeno simile, interessante se si osserva la condizione sociale storica del paese, gli studenti che hanno perso maggiori conoscenze sono quelli afroamericani. È noto che la popolazione nera negli States sia in media meno istruita di quella bianca e viva in condizioni economiche e sociali meno fortunate. Nell’anno delle proteste del movimento Black Lives Matter (BLM), la chiusura delle scuole negli Stati Uniti ha reso ancora più profonde le disuguaglianze tra le due storiche anime del melting pot americano.
L’aspetto psicologico
Per concludere c’è un ultimo argomento di mio interesse di cui vorrei scrivere, anch’esso lungamente osteggiato e allontanato dal dibattito, forse per timore che potesse sminuire la gravità della situazione: l’aspetto psicologico. Non sono uno psicologo e le conoscenze che ho sono limitate, le valutazioni che si possono fare sull’argomento però sono di puro senso comune. Il “lockdown duro” che ci ha chiuso in casa durante la “prima ondata” è stato profondamente generalista. È evidentemente diverso vivere per mesi in una casa di trecento metri quadri rispetto ad una di quaranta, così come avere un figlio solo è diverso da non averne nessuno o dall’averne tre. Vivere per mesi in stretto contatto con una compagna o un compagno con cui si sta insieme da poco è diverso dal vivere con un marito o una moglie sposati da quarant’anni. È evidente che anche l’impatto sulla mente e sulla vita di queste categorie di persone sia stato molto differente. Anche in questo caso c’è da ribadire che le misure restrittive hanno colpito più duramente chi ha redditi bassi e un’età meno avanzata, per non parlare di quei gruppi sociali già emarginati come gli immigrati e gli stranieri che hanno usualmente famiglie più ampie e lavori più umili.
Si potrà a ragione ritenere che tutto ciò che è stato proposto in questo articolo sia ovvio. Lo è di certo. Quando si prendono decisioni pubbliche e vengono comunicate notizie attraverso i media è necessario farlo razionalmente e spiegando anche ciò che appare scontato così che il cittadino o l’ascoltatore possa vedere e comprendere chiaramente ciò che avviene intorno a sé, spero di aver contribuito a questa causa.