La pandemia del Coronavirus ci lascerà brutti ricordi e grosse perdite sia dal punto umano che da quello economico. Cerchiamo però di dedurre alcune utili lezioni economiche per il futuro
Il caso Amuchina
All’inizio della pandemia ci fu un’impennata di richieste per comprare Amuchina e igienizzanti vari e perciò il prezzo di questi si impennò. A dispetto di quanto possano dire i marxisti vari su plusvalore e teorie strampalate dal valore il prezzo dei beni dipende (soprattutto) dalla domanda. La domanda di quel bene anche se non è rimasta ai livelli dell’inizio dell’epidemia, credo sia abbondantemente più alta dello stesso periodo dello scorso anno.
Allora perché i prezzi sono scesi dall’impennata iniziale? Oltre alla domanda, i prezzi dipendono anche dal grado di concorrenza per un prodotto. Per produrre prodotti simili all’Amuchina i costi fissi (quelli per produrre il primo esemplare) non sono elevati, e perciò molti sono entrati in questo mercato perché hanno visto la possibilità di guadagnarci. La possibilità di produrre beni sostituti e l’accessibilità al mercato dati i bassi costi fissi hanno permesso a più imprese di entrare nel mercato e di abbassare i prezzi per rubare clienti.
1 bis) I prezzi legali
In alcuni paesi sono stati fissati dei prezzi dallo Stato per questo tipo di beni, e anche in Italia è stata ventilata questa ipotesi per fortuna senza essere stata attuata. L’imposizione di prezzi legali produce un mercato nero, con tutti i problemi del caso, e impedisce a quello regolato di sbocciare. Come abbiamo visto, senza l’imposizione di prezzi legali, il mercato (gli agenti economici) si sono autoregolati trovando un nuovo equilibrio concorrenziale.
Con l’imposizione dei prezzi dallo Stato, ci sarebbe stato oltre il mercato nero dominato soprattutto dalla criminalità organizzata anche una scarsità di beni dato che con un prezzo massimo imposto molti beni non sarebbero stati profittevoli per le aziende e perciò non prodotti nemmeno per un breve lasso di tempo.
Formiche e cicale
L’Italia è il paese dopo la Grecia con il debito pubblico più alto in rapporto al PIL. Nonostante questa clamorosa evidenza, sentiamo veramente troppo parlare che in Italia viviamo di austerità pane e acqua e di manovre lacrime e sangue. Qui un’immagine ancora più esplicativa del cortocircuito mentale che vediamo tutti i giorni in televisione e sui social. (il deficit 2018 è stato del 2.2%, quello 2019 è stato di 1,6%)
Gli altri paesi d’Europa sono stati più intelligenti e hanno messo fieno in cascina in questi anni di bonaccia finanziaria con tassi d’interesse demoliti dalle azioni della BCE. Gli Stati che ci ostiniamo a chiamare rigoristi hanno messo in pratica quello che diceva Keynes: deficit quando c’è recessione, avanzi o pareggi di bilancio (il rapporto debito pil scende lo stesso) quando si cresce.
Noi invece in Italia abbiamo esponenti che si definiscono Keynesiani quando, a essere ottimisti, si ricordano solo la prima parte di una estrema sintesi del suo pensiero (non immune da critiche): “Deficit quando c’è recessione” (o forse solo la prima parola?).
Nonostante le limitate conoscenze economiche di cui potete e posso disporre, appare evidente che essere pieni debiti quando il reddito con cui si deve ripagarlo si contrae, può diventare una tragedia quando bisogna chiedere di emetterne di nuovo.
Il PIL è produzione
Un’altra fregnaccia che dobbiamo ascoltare praticamente tutti i giorni è che se spingiamo i consumi aumenta il PIL, ergo facciamo deficit. Questa fallace teoria deriva dall’equazione Y = C + I + NX + G. Y è il reddito (PIL), C sono i consumi, I gli investimenti, NX è il saldo Esportazioni -Importazioni e G rappresenta il deficit pubblico (non proprio ma mi perdonino gli economisti per la semplificazione). Cosa potrebbe portare un ragionamento molto semplificato? Aumentiamo G e aumenta il PIL di conseguenza dello stesso importo. Peccato che non sia vero.
Se aumentiamo G le altre variabili non stanno ferme e reagiscono. Se il potenziale produttivo non ha margine di crescita (Output Gap) aumentando G aumentano solo i prezzi (il PIL aumenta ma solo per l’inflazione). Con l’inflazione i beni interni perdono di competitività rispetto a quelli esteri e NX peggiora. Con l’inflazione i tassi d’interesse al netto dell’inflazione si abbassano (almeno nel breve periodo) e perciò diminuisce la convenienza a risparmiare per fare credito per gli investimenti.
Oltre a questo il debito pubblico assorbe il risparmio (c’è differenza fra nazionale o estero ma glissiamo) e perciò porta gli emettitori di debito a alzare i rendimenti per ottenere credito (ancora meno I). Oltre tutto questo, si ricordi che i debiti e gli interessi su questo si devono sempre ripagare con tutti gli effetti negativi che si possono avere sull’economia invertendo il ragionamento appena fatto. Detto tutto questo, un aumento del deficit teoricamente spesso aumenta il PIL per l’anno in corso. Avverrà anche quest’anno? Ovviamente no. Il PIL dipende dalla capacità produttiva dei fattori presenti nell’economia (capitale e lavoratori) che sono stati gravemente colpiti dal COVID 19, se non si aumenta il numero e la produttività di questi, la crescita del PIL reale (al netto dell’inflazione) rimarrà un sogno.
Più Libertà economica = + Produttività, + Ricchezza
A causa del COVID la libertà di tutti noi è stata ridotta. Questo è inevitabile, (anche se un premier dai capelli biondi affermava il contrario rischiando un’ecatombe) ma ci insegna qualcosa. È ovvio a tutti che chiudere i negozi porta ad una riduzione dei fatturati (del PIL), dei posti di lavoro e tutto ciò che ne consegue. In un’economia complessa come quella in cui viviamo le attività sono interconnesse l’una con l’altra con implicazione che non immaginiamo e magari nemmeno di cui gli stessi imprenditori sono pienamente al corrente. In questi giorni si stilano liste di imprese che sono servizi essenziali alle persone, verosimilmente senza ricordare che i servizi forniti dalle imprese rimaste fuori da queste liste sono essenziali alle imprese che forniscono i servizi essenziali alle imprese. Ma andiamo oltre.
Quando l’epidemia è scoppiata in Cina settimane prima che da noi, molte imprese italiane ne hanno risentito perché erano parte della catena produttiva di quelle aziende di Wuhan chiuse. Alcune nostre aziende avevano scelto di essere parte di quella catena del valore perché era l’opzione più conveniente, come noi scegliamo i beni a seconda di prezzi e qualità a seconda di quelli che ci soddisfano di più. Ora le aziende dovranno ripiegare su altre catene produttive meno convenienti e lo stesso facciamo noi con beni e servizi che ci soddisfano meno. Anche se la nostra ricchezza di consumatori rimane intatta, il potere d’acquisto diminuisce al diminuire delle possibilità di acquisto. Lo stesso vale per i fattori produttivi: meno possibilità ci sono di adoperarli, meno sono produttivi.
Le lezioni per ora sono finite, ora speriamo che il professore ci abbandoni il prima possibile.
3 comments
grande :)
[…] Pandemia coronavirus e’ un frullatore di certezze che sconquasserà gli equilibri e il processo di globalizzazione. Soccomberà chi si ostina a dare […]
[…] Cina che si fa beffe dell’Italia è solo un esempio della diplomazia cinese ai tempi della pandemia. Molte forniture e kit di test venduti dalla Cina ad altri paesi erano […]