No, nessuno piangerà la sorte del Portogallo nelle chiassose osterie del web italiano; né vedrete celebrare alcun processo agli aguzzini del popolo lusitano nelle gabbie televisive del nostro avanspettacolo politico. Una nazione che disciplinatamente e compattamente si impegna a risanare le proprie finanze e a modernizzare la propria economia, facendo affidamento sulle classiche dottrine economiche del rigore e della competitività, sulla propria determinazione a sostenere i necessari sacrifici e su un rapporto di lealtà con i partner europei, non merita le prime pagine dei notiziari e dei quotidiani italiani.
Sicuramente è molto più gratificante per la nostra autostima nazionale entusiasmarci per i Greci, compiacerci degli imbrogli di mariuoli come Tsipras e degli illusionismi di commedianti come Varoufakis, piuttosto che confrontarci con un Paese che in cinque anni ha corretto il saldo delle partite correnti di 12 punti di PIL [vedi grafico in basso a destra], ha tagliato il deficit di bilancio dall’11% al 4,5% del PIL e ha compresso i costi unitari del lavoro di 6 punti; senza reclamare tagli del debito, senza denunciare presunte congiure internazionali e senza millantare grottesche alleanze con qualche Putin nordafricano.
Soprattutto ora che la crescita economica (prevista tra +1,7% e +1,9% nei prossimi tre anni) e occupazionale (disoccupazione scesa al 12% dal 17,5% di due anni fa) premiano la linea di austerità ostinatamente ed orgogliosamente mantenuta dal governo Passos Coelho, consentendo al cartello centrista di “Avanti Portogallo” di riaffermarsi alle elezioni politiche, con grande sorpresa e forse disappunto di quanti si aspettavano una sconfitta del governo in carica. Soprattutto ora che la vittoriosa uscita del Paese iberico dal programma di assistenza finanziaria internazionale mette in luce tutta la falsità dei miti sulla tossicità dell’Euro, sulla perfidia dell’Europa e della troika e sull’ineluttabilità del declino dei Paesi del Sud.
Certo, il basso profilo tenuto dai nostri media sulle elezioni lusitane ha risparmiato alla destra italiana dei Salvini e delle Meloni, di Libero e de Il Giornale l’imbarazzo di schierarsi nuovamente con i comunisti, che nel Paese iberico hanno coagulato intorno a sé la protesta – decisamente minoritaria a giudicare dall’esito del voto – contro la scelta europeista e riformista delle classi dirigenti liberal-democratiche. Certo, il Portogallo ha beneficiato, come la Grecia, del credito agevolato dell’Unione Europea e dell’FMI; e il fatto che il governo di Lisbona, a differenza di quello di Atene, abbia ripagato tutti i debiti contratti secondo le scadenze pattuite e non si sia messo ad accusare i prestiti emergenziali ricevuti dalla comunità internazionale di essere essi stessi causa dell’emergenza, dovrebbe essere in un mondo ideale normalità non degna di nota.
Ma sospettiamo che il vero motivo per cui lungo lo stivale la storia del Portogallo non interessa a nessuno è che essa sbugiarda clamorosamente la pochezza della cultura politica italiana: una cultura che preferisce farsi suggestionare dal regressivismo economico degli Tsipras e degli Iglesias e costruirsi inesistenti alibi esterni – l’Euro, la Merkel, il fantasma del “neo-liberismo” – pur di non far pagare il prezzo delle riforme e della modernizzazione alle tante piccole cricche e corporazioni che paralizzano e parassitano il Paese.
4 comments
[…] Segnalo questo che è qualcosa di più che un articolo economico: No, nessuno piangerà la sorte del Portogallo nelle chiassose osterie del web italiano; né vedrete celebrare alcun processo agli aguzzini del popolo lusitano nelle gabbie televisive del nostro avanspettacolo politico. L’eroica normalità del Portogallo […]
Bellissimo, Dario, e non c’è nulla da aggiungere.
Con tutto il rispetto, i tuoi commenti sulla copertura mediatica di Portogallo e Grecia mi sembrano assurdi dal punto di vista di come funzione la comunicazione. Il liberista mondo anglosassone ha parlato più di Grecia in questi ultimi 5 anni che nei 2000 precedenti. E fidati che la maggioranza di loro non sa neanche dov’e’ il Portogallo.
Può darsi che il Portogallo sia un paese strutturalmente meno problematico della Grecia (difficile fare peggio). Comunque ciò che è certo è che la loro austerity, seppur intensa, non è nemmeno paragonabile a quella Greca. Magari l’austerity lì ha funzionato davvero, ma magari invece la crescita è arrivata dopo e/o nonostante l’austerity. Vedi l’esperienza del Regno Unito. In breve, bene citare i dati ma la brevità del salto tra dati e conclusioni mi da idea di ideologia più che ‘analisi’.
Grazie se riesci a rispondere!
La stampa anglosassone, a differenza di quella italiana, si è però soffermata diffusamente sul risultato delle elezioni portoghesi sottolineandone anche il significato politico. Di seguito alcuni esempi:
http://www.wsj.com/articles/portugal-leader-gains-ahead-of-election-despite-austerity-1443720207
http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-10-04/portugal-s-austerity-champion-coelho-shows-rajoy-victory-path
http://www.bloombergview.com/articles/2015-10-06/reform-is-working-for-portugal
http://www.ibtimes.co.uk/portugal-ruling-coalition-re-elected-despite-tough-austerity-programme-1522426
In merito alla Greica: è vero che la condizione di partenza della Grecia era peggiore di quella del Portogallo, ma è anche vero che la Grecia ha beneficiato di un trattamento di favore (condono di debito pari al 50% del PIL e interessi bassissimi) di cui il Portogallo non ha beneficiato (Per entrambi dati ti rimando al mio articolo https://immoderati.it/2015/02/17/la-mitologia-finanziaria-greca/). Inoltre nell’articolo più ancora che i diversi risultati ottenuti dai due paesi sottolineo il diverso comportamento della classe politica: il governo greco avrebbe potuto, pur nella difficoltà della situazione, comportarsi in modo serio e leale verso la comunità internazionale come ha fatto quello portoghese.