La notizia della settimana è l’allontanamento di Orsini dalla trasmissione “Cartabianca” di Rai 3. La questione, in altri tempi, non avrebbe suscitato scalpore; tuttavia, tale fatto spinge a riflettere sul significato della Società Aperta di Popperiana memoria (e sui suoi limiti).
Orsini, dopotutto, è un intellettuale con un discreto background accademico: escluderlo dal dibattito pubblico non vorrebbe dire, forse, comportarsi esattamente come Putin? La questione richiama l’annosa vexata quaestio del paradosso di Popper, proposto nella sua opera “La società aperta e i suoi nemici”. Una questione complessa, che deve tenere conto di diversi livelli di analisi per essere indagata.
Perché Orsini sbaglia…
Il primo livello di analisi di cui tenere conto è capire quali sono le fallacie (logiche e fattuali) che stanno dietro il ragionamento di Orsini. Tesi centrale dello studioso è che l’Europa non rifornisca di armi l’Ucraina, che gli Ucraini si arrendano a qualsiasi condizione alla Russia; che – sostanzialmente – le velleità imperiali della Russia di Putin sull’Ucraina vengano soddisfatte. Tutto questo anche (e soprattutto) perché la NATO avrebbe “provocato” la Russia con delle esercitazioni che – secondo il professore – i “media mainstream” (sic!) non hanno reso pubbliche.
Il punto centrale del discorso del prof. Orsini è che, in sostanza, la colpa della guerra non sia di Putin ma la nostra; che sia l’Occidente a provocare Mosca e non Mosca ad avere velleità imperiali. In primo luogo questo ragionamento è fallace dal punto di vista logico. Secondo il ragionamento di Orsini, una persona non dovrebbe girare vestita come più gli aggrada per “non provocare” le attenzioni altrui; attenzioni che se si esplicitano in qualcosa di più serio allora la persona aggredita non solo non dovrebbe reagire (e i passanti intorno ad essa restare indifferenti) ma anche “arrendersi” all’aggressore e “farla finita” in maniera rapida.
In secondo luogo, il ragionamento di Orsini è fallace anche dal punto di vista empirico. Infatti l’esercitazione di cui Orsini parla è stata pubblicizzata in maniera evidente sulla stampa internazionale; con Reuters (che sfido chiunque a non definire indipendente) che riporta nomi delle unità coinvolte, numeri di soldati in campo e date relative all’esercitazione stessa. Così come il 10 febbraio (ben prima che questa guerra cominciasse) la Russia ha condotto un’esercitazione militare in Bielorussia.
Inoltre, l’affermazione di Orsini non tiene forse conto della terza legge di Newton (che in politica trova molte applicazioni interessanti); nel senso che si dimentica di dire che nel 2019 e nel 2021 i russi sono entrati in Serbia con uomini e mezzi. Il tutto mentre la Russia stessa partecipava ad una missione OCSE; nella quale si tentava di capire (e migliorare) in maniera pacifica e collaborativa la situazione dei russofoni nelle zone orientali dell’Ucraina.
La provocazione, agli occhi di chi scrive, sembra a parti invertite; con i russi che da anni stanno spostando l’asticella della tensione.
… e dove (forse) è condivisibile
Visto che penso sia comunque interessante analizzare la posizione di uno studioso (indipendentemente dalle opinioni), l’onestà intellettuale mi impedisce di non riconoscere alcuni tratti del ragionamento di Orsini. In primis il fatto che con i Russi bisogna continuare a negoziare; così come penso sia opportuno – a guerra finita e assieme agli Ucraini e ai russi – trovare un assetto post-bellico soddisfacente per tutte le parti in causa.
Qualsiasi persona sa che bisogna negoziare e lavorare per tenere aperti i canali diplomatici (ed è imperativo farlo, perché il primo obiettivo è la pace). Ma la pace non significa resa. Si negozia nella misura in cui si ha una posizione di forza relativa; motivo per cui ha senso (al contrario di quanto dice Orsini) armare gli ucraini e imporre sanzioni ai Russi (per costringerli, cioè, a negoziare da una posizione di debolezza relativa). Dire il contrario, come Orsini invece fa, vuol dire essere (implicitamente) dalla parte dell’aggressore; un nemico della Società Aperta. Dopotutto, come disse il premio Nobel per la Pace Elie Weisel,
“La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, mai il torturato”.
Tollerare gli intolleranti?
Il pensiero di Orsini, però, ci interessa relativamente; visto che il tema del nostro articolo è tutt’altro. Quello che mi premeva sottolineare nel mio discorso preliminare è che Orsini non solo mente sapendo di mentire; ma nel fare questo difende (implicitamente) le azioni di un regime dittatoriale.
Posto questo, dobbiamo ancora dare spazio ad Orsini nella nostra TV? Domanda che null’altro è che il famoso “paradosso della tolleranza” di Popper; che viene risolto dal filosofo austriaco sostenendo che gli intolleranti devono essere tollerati nella misura in cui non rappresentino un pericolo imminente per la società aperta. Dopotutto è questo quello che (anche) i sostenitori di Orsini dicono: non è forse vero che comportandoci – nei fatti – come Putin non possiamo permetterci di criticarlo? A mio avviso no, ed ora spiegherò perché.
Il punto debole dell’argomento di Popper
L’argomento di Popper è, a mio avviso, inapplicabile in questo caso per diverse ragioni. In primis perché Orsini, ancorché allontanato dalla RAI, è ancora libero di scrivere sui social, di presentare articoli (profumatamente pagati) ad un giornale e di esporre il suo punto di vista in altre sedi; visto che si sta parlando di un accademico e non, come a molti forse non è chiaro, di un dipendente RAI. Se Orsini fosse vittima di censura non lo avremmo visto un giorno sì e l’altro pure in trasmissioni televisive di dubbio gusto e qualità.
In secondo luogo l’argomento di Popper in sé contiene delle debolezze nelle assunzioni di base; debolezze – queste – che lo rendono inapplicabile nel contesto in cui ci troviamo oggi.
La debolezza dell’argomento di Popper risiede nel fatto che nel mondo globalizzato l’informazione può circolare in maniera molto veloce, rapida ed in grande quantità; ma spesso perde in qualità: non è possibile umanamente controllare un flusso di informazioni costantemente in aumento. Popper assume, sulla scia di Mill, che la “competizione tra idee” porti ad un esito di ottimo concorrenziale; in cui il maggior numero di persone ha il maggior numero di informazioni e della miglior qualità.
Cattiva maestra televisione (e social)
Come tutti i mercati, però, nemmeno quello delle idee è perfetto. Kanheman, studioso di economia comportamentale, mostra molto bene che le persone tendono a selezionare le (tante) informazioni in base a dei loro bias; cosa che li porta ad escludere alcune fonti piuttosto che altre, appiattendo quindi il dibattito su quello che da queste fonti viene detto. Un’affermazione paradossale questa, perché è Popper stesso in “Cattiva Maestra Televisione” a portare un’argomentazione simile; mostrando i (tanti) problemi delle informazioni della cui veridicità non possiamo mai essere sicuri se non affidandoci a fonti di carattere specialistico e/o internazionale. Fonti, queste, che ricomprendono la televisione ma anche i social network; dove è molto facile far “viaggiare” le informazioni di tutte le risme indipendentemente dalla loro veridicità, e dove il principio di autorità (come quello che Orsini suscita, considerando che è un accademico) vince sui fatti e sui dati.
L’importanza dell’educazione nella Società Aperta
Direte voi, però, che è compito del singolo individuo capire quali informazioni sono false e quali no. Dopotutto, non è forse impossibile che a certe notizie qualcuno creda davvero? I dati, ad oggi, ci dicono il contrario.
Siamo, infatti, il Paese con il tasso di analfabetismo di ritorno più alto d’Europa (27,7%); il che vuol dire che quasi un terzo delle persone, in Italia, crede che sia possibile sostituire le fonti internazionali con i social, che esista un “complotto dei poteri forti” e che qualsiasi cosa detta da un “uomo della strada” abbia un valore euristico maggiore delle statistiche ufficiali.
Siamo una società senza le difese per reggere una minaccia (come quella russa) che non è solo militare ma anche culturale e politica; una società vulnerabile politicamente e culturalmente. Non è un caso se Gerasimov (ideatore della “guerra ibrida”) è un grande teorico dell’uso dei mezzi di informazione (tradizionali e non) come metodo per destabilizzare la nazione avversaria; creando un “fronte interno” per destabilizzare l’avversario da un punto di vista politico.
Quale futuro per la società aperta?
Tornando alla questione centrale dell’articolo: dato questo contesto, possiamo tollerare gli intolleranti (e chi li supporta)? La mia personale opinione è che la risposta sia negativa; perché tollerare che gli intolleranti sfruttino una debolezza della società aperta (che nel lungo periodo dovrà comunque essere risolta) porta alla morte stessa della tolleranza. Sarebbe come, e passatemi il termine, lasciar circolare un virus con la speranza che anche in assenza di anticorpi il paziente non muoia.
Anticorpi che, teoricamente, avremmo dovuto avere dopo le tragiche esperienze dei totalitarismi del Novecento; ma che a quanto pare sono sempre più deboli con il passare del tempo. La colpa, in parte, risiede nell’instabilità delle condizioni economiche; che appiattiscono il dibattito verso l’utile e non verso il giusto. Con prezzi in aumento e il rischio di una nuova recessione è del tutto normale che le persone siano intellettualmente più vulnerabili a un certo tipo di contenuti; che offrono soluzioni immediate in cambio del bene più prezioso dell’essere umano: la Libertà.
La società aperta ha un futuro? Difficile dirlo oggi, mentre gli eventi di cui stiamo discutendo sono ancora in corso. Tutto dipenderà dal nostro pensiero critico e dalla nostra volontà di capire (e non rigettare) la complessità del mondo che ci circonda.
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2 comments
ottimo. #nofutureformankind
Articolo interessante, ma ritengo necessario evidenziare un paio di elementi esposti che sono fondamentalmente errati.
– Orsini non è affatto “un intellettuale con un discreto background accademico”. È solo un soggetto come tanti che ha ottenuto un modesto contratto universitario di collaborazione. Altrove li chiamano “lecturer”, qui invece si usa impropriamente il termine “professore universitario” od addirittura “intellettuale.
– Diritto di parola non vuol dire affatto diritto ad essere ascoltati, né diritto d’accesso ai mezzi di informazione, né tanto meno diritto ad imporre agli altri il proprio pensiero.