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Economia & Finanza

La riforma delle pensioni #4

Abbiamo visto che l’Italia è il primo paese europeo per spesa pensionistica, staccando di diversi punti di PIL gli altri grandi paesi dell’eurozona. Resta da domandarsi come ci si è arrivati. Si tratta quindi di analizzare la struttura demografica, i requisiti più o meno laschi per concedere una pensione, e la generosità dell’importo della pensione stessa, ricordando che non basta guardare il quadro attuale, ma l’evoluzione del sistema negli ultimi 40 anni.

In questa puntata ci occuperemo di valutare la generosità dell’assegno retributivo -rispetto al contributivo- e dare un indice di massima per stimare l’iniquità degli assegni concessi in passato (in buona parte tutt’ora tali e quali, dato che “i diritti acquisiti non si toccano”).

Partiamo subito con la roba forte, le simulazioni del Cerp sul present value ratio (qui il pdf da dove è stata estratta la tabella).

Present Value Ratio
Fonte: Pietro Ichino

Come vanno letti questi numeri. Molto semplice, questo valore indica la quantità di contributi necessari per pagare l’assegno ottenuto dal pensionato relativamente ai contributi effettivamente versati. Un p.v.r. di 100 indica una situazione di equità, hai versato contributi sufficienti per pagare una pensione di 100 ed effettivamente incassi una pensione di 100. Un p.v.r. maggiore di 100 indica una situazione di squilibrio che tende a rendere instabile il sistema: ad es. un p.v.r. di 200 indica che se i tuoi contributi versati giustificherebbero una pensione di 100 in realtà ne stai incassando una da 200, o detta altrimenti, stai consumando da solo contributi per due persone. E’ chiaro che un sistema del genere non può durare a lungo.

La tabella è chiara, il sistema pensionistico in vigore fino agli anni ’90 era chiaramente insostenibile (e il suo peso si trascina fino ad oggi ed oltre), in quel modo ogni pensionato avrebbe consumato in media il frutto dei suoi contributi (e fin qui niente di male) più una grossa fetta di quelli dei figli (e qui male, malissimo), ai nipoti non ci si sarebbe proprio arrivati.

Questa enorme sproporzione è giustificabile per due motivi:

  • il sistema di calcolo retributivo, che basandosi sull’entità della contribuzione solo degli ultimi anni di lavoro restituisce volentieri una pensione “gonfiata” rispetto all’effettiva contribuzione di tutta la carriera lavorativa, soprattutto in un mercato del lavoro in cui le retribuzioni crescono linearmente con l’anzianità lavorativa. Insomma, si facevano i calcoli prendendo come riferimento gli anni più favorevoli della carriera, ignorando il resto.
  • l’uscita precoce dal mercato del lavoro, per cui si contribuiva meno anni del necessario, e si riceveva una pensione per un periodo di tempo ancora maggiore. Giusto ricordare la vergogna delle baby-pensioni, che certo, sono dei casi limite, ma aiutano a capire l’andazzo del periodo. Qui in pensione a 29 anni, qui il mezzo milione di pensionati under 50 (nel 2011!), qui una breve stima di quanto ci sono costate le baby-p.

Però vi chiederete: – che c’entra? Questo è quanto succedeva fino a vent’anni fa, ora le cose sono cambiate, la riforma Dini del ’95 ha infatti introdotto il calcolo col contributivo…- Ecco, non è proprio così, ricordate quella strana gobba dell’andamento della spesa pensionistica, in particolare ante-riforma del 2004 (la linea rossa tratteggiata per intenderci)? Il trucco sta lì.

La riforma Dini era stata disegnata per tutelare i cosiddetti “diritti acquisiti” (ossia contributivo sì, ma con calma, non per tutti), per cui chi aveva già maturato 18 anni di contributi alla data della riforma avrebbe visto la sua pensione calcolata interamente col retributivo (che un’anzianità lavorativa di 18 anni nel ’95 e con una vita lavorativa residua grossomodo di altri 20 anni significa che tutti i neo-pensionati tra il 1995 e il 2015 ne avrebbero goduto). Chi invece aveva maturato meno di 18 anni di contributi avrebbe visto la quota versata prima del ’95 calcolata col retributivo e solo la parte post-95 calcolata col contributivo (che a spanne significa che tutti i neo-pensionati fino al 2035/2040 avrebbe ancora goduto di un retributivo parziale) e solo chi avrebbe iniziato a lavorare dopo la riforma avrebbe avuto il contributivo pieno. E facendo ancora un po’ di conti (entrata nel mondo del lavoro nel 1995 a 20 anni con un’aspettativa di vita di altri 60/65 anni), solo attorno al 2055/2060 non ci sarebbero più rimasti assegni retributivi in circolazione. Ecco spiegata la gobba del grafico, quella ante 2004 e riforme successive incluse (che pure hanno in qualche modo tentato di limare la situazione).

Ma alla fine di tutto è chiaro che è necessaria una revisione degli assegni ancora calcolati col metodo retributivo, ma questo sarà argomento delle prossime settimane.

Vedi anche La riforma delle pensioni #3

6 comments

Davide Sguazzardo 21/01/2015 at 11:19

Mi manda in bestia sentire questa storia dei diritti acquisiti e continuare a pagare tanti contributi e tasse per permettere la copertura a questi. Con un ricalcolo si risparmierebbero minimo 50 mld l’anno. C’è anche chi giudica anticostituzionale un ‪#‎ricalcolo‬ con il contributivo di tutte le pensioni e vitalizzi sopra un minimo! E portare le pensioni a 70 anni come hanno fatto è costituzionale però….
È costituzionale avere senza copertura contributiva:
291 pensioni sopra 50 volte il minimo
332 pensioni sopra 40 volte il minimo
1141 pensioni sopra 30 volte il minimo
9069 pensioni sopra 20 volte il minimo
177309 pensioni sopra 10 volte il minimo
E tu parlamentare ti poni il dubbio della costituzionalità di un #ricalcolo?!

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Leonardo Padovan 21/01/2015 at 17:07

Quanto si risparmierebbe col ricalcolo non lo so, comunque bisogna considerare che per recuperare cifre consistenti (e 50 mld lo sono) bisogna andare a toccare molto in basso, verosimilmente ben sotto i 2.000 euro lordi mensili, e questo sarà il tema della 7ma puntata. In ogni caso, per dare un’idea, anche supponendo di ricalcolare al contributivo tutto ciò che sta sopra a 10 volte il minimo (circa 5.000 lordi mensili) i risparmi non superebbero i 5 mld.

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Davide Sguazzardo 21/01/2015 at 17:23

Per me si possono ricalcolare quelle pensioni senza copertura contributiva già a partire da quelle sopra i 1000 €.
Hai usato parole “andare a toccare” come se si facesse un prelievo, mente qui si tratta di ricalcolare per capire se tutta o una parte delle pensioni sopra un minimo, sono coperte da contributi, e ci saranno pensioni da 1500€ completamente contributive, altre che saranno ricalcolare con un 10% in meno

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Leonardo Padovan 22/01/2015 at 10:38

Ecco, partendo da 1.000 (sinceramente non avrei saputo quantificare su questa soglia, dato che ho usato le tabelle uscite nel 2012 che partivano da 3 volte il minimo). Avevo fatto da 10 volte il minimo perché l’elenco del tuo commento partiva da lì. Che dire, già nell’articolo precedente avevo evidenziato come spendiamo almeno 3 punti di Pil in più della media dell’area Euro, che grossomodo sono i 50mld che dici, e personalmente potrebbe anche andarmi bene dato che non appartengo alla categoria attualmente beneficiata.
Però mi permetto una nota sui diritti acquisiti.
Sostanzialmente, al di là delle sbruffonaggini della gran parte dei sostenitori, è un problemino di “informazione”. Ossia il fatto che si sia usciti dal mercato del lavoro in anticipo, non contribuendo a sufficienza, è dovuto al fatto che i governi del tempo passavano l'”informazione” che la cosa fosse fattibile e sostenibile. Alla fine stava ai governanti fare i conti, i pensionandi non hanno fatto altro che fidarsi e adattarsi. La gran parte almeno, che c’era sempre chi si rendeva perfettamente conto del regalo.
Poi certo, ci sono anche i diritti degli attuali contribuenti di non essere dissanguati per offrire trattamenti che loro non vedranno mai, e qui siamo d’accordo, se ho iniziato la serie è proprio per mettere a nudo il problema. E quindi chi prende 3.000 avendo versato per 2.000 avrà poco da lamentarsi, dato che il contribuente tipo prende ancora meno. Però man mano che ci si abbassa con la soglia le cose possono complicarsi, insomma, chi si vedrebbe ricalcolare l’assegno potrebbe argomentare che lui ha agito sulla base delle “informazioni” passategli al tempo, e che se avesse invece avuto l'”informazione” giusta, o che prima o poi gli si sarebbe ridotto l’assegno, non si sarebbe fatto problemi a lavorare di più, però appunto a patto che gli si fosse passata l'”informazione” giusta, “non è colpa sua” se gliela si è passata distorta.
E quindi ci si pone il problema su quanto sia desiderabile tagliare 2-300 euro a chi ne prende 1.200-1.300, magari causando della sofferenza, quando il pensionato stesso a saperlo non si sarebbe fatto problemi a lavorare quel qualcosa in più.
Ecco, ci sarà da tagliare e tanto, poi da dove partire esattamente non lo so, personalmente avrei suggerito tra i 1.500 e i 2.000, o si può anche pensare un taglio parziale tra 1.000 e 2.000 e totale al di sopra, però appunto son suggerimenti teorici. Alla fine quello che più mi interessa, piuttosto che dare soluzioni precise, è che il lettore abbia gli strumenti per comprendere e misurare il problema, cosa che ai più purtroppo manca.

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Davide Sguazzardo 22/01/2015 at 11:57

Ma si, il minimo sotto il quale non ricalcolare può essere anche 2000€, possiamo anche riconoscere l’importo della rata a chi si vede ridotto la pensione/vitalizio e aveva già contratto un debito, e si può dare anche un preavviso di 6 mesi, MA deve passare il concetto del #ricalcolo con il contributivo di pensioni e vitalizi PERCHÉ NON CI SIANO PIÙ SITUAZIONI COME PRODI, AMATO, ECT CON RENDITE FOLLI SENZA COPERTURA CONTRIBUTIVA

Francesco Formaggio 24/01/2015 at 13:06

Ai (bei) tempi di Fare sentivo qualcuno (mi pare proprio Boldrin) che sosteneva come anche andando a indagare le pensioni sopra i 5000 euro per vedere se fossero o no effettivamente bilanciate da contributi versati, ci sarebbe un gran risparmio comunque. Non conosco le cifre precise, ma ciò rende bene l’idea di quanto marcio serpeggi nel sistema.

Anyway, complimenti per l’articolo. Chiaro e che trasmette i concetti anche ai non amanti dell’economia, categoria con la quale bisogna imparare a convivere.

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