23 Maggio 2015. Sabato pomeriggio, l’Irlanda è ufficialmente diventata la prima nazione a legalizzare il matrimonio gay tramite voto popolare diretto, permettendo ai propri cittadini di recarsi alle urne e di esprimere liberamente la propria opinione.
I cittadini irlandesi, sono – così – stati lasciati “liberi di scegliere”, usando una terminologia cara a Milton Friedman, il quale, a suo tempo, si espresse più volte a favore dei matrimoni tra omosessuali, come anche ben documentato (se ce ne fosse bisogno) nella sua bibliografia pubblicata nel 2007 da Lenny Eberstein, professore dalla University of California e ricercatore indipendente presso il Cato Institute, think-tank americano di orientamento libertario.
La cattolica Irlanda, che solo venti anni fa depenalizzò il reato di omosessualità, ha così (a modo suo) deciso di entrare nei libri di storia, votando in favore dei matrimoni gay tramite referendum. Il risultato finale ha sancito la vittoria del sì con il 62% dei voti ed una affluenza alle urne di poco superiore al 60%, percentuale considerata elevata da tutti i commentatori Irlandesi.
Proprio sabato, durante le ore centrali dello spoglio, il quotidiano Il Foglio, ha pubblicato un articolo intitolato “Perché nella mia Irlanda è morta la Democrazia” in cui vengono riportate alcune dichiarazioni di John Waters, famoso giornalista di “The Irish Times”, il quale 1) cerca di spiegare come la Chiesa sia “Fucking Useless”, 2) cerca di raccontare di come lui, nonostante abbia cercato di spiegare in modo “politico” e “liberale” perché il matrimonio tra omosessuali non “sarebbe da farsi” sia stato solo accusato di bigottismo dal “pensiero unico” e 3) cerca di trovare un capro espiatorio nei moltissimi giovani irlandesi (ebbene sì, l’Irlanda ha la popolazione più giovane dell’Europa Occidentale) additandoli – tra le righe – come “ignoranti”.
Ovviamente tutte le affermazioni di John Waters sono il frutto della frustrazione post-voto. Purtroppo, il tifo politico porta spesso ad eccedere nelle proprie esternazioni a seguito di una “sconfitta”.
Innanzitutto, non è corretto definire la Chiesa come “fottutamente inutile”. La Chiesa è un’istituzione millenaria, che risulta essere ancora molto importante per tutti noi, anche per molti atei ed agnostici. Evitare di indicare dall’alto un particolare tipo di scelta è stata semplicemente la scelta più giusta che la Chiesa Cattolica Irlandese potesse prendere in una simile circostanza. La Chiesa Cattolica Irlandese ha un’assoluta necessità di trasformarsi visti i molti scandali di pedofilia degli ultimi anni e la decisione di “rimanere sostanzialmente neutrali” riguardo una tematica così sensibile è probabilmente il frutto di una lunga meditazione. Difficile davvero credere alla strampalata storia di Waters, il quale sembra quasi implicitamente sostenere che la decisione della Chiesa Irlandese di non intervenire nel dibattito sia principalmente dovuta alla “paura di parlare” ed alla voglia di “piacere alla stampa”.
Guardando oltre la siepe, infatti, nonostante il suo “apparente declino” la Chiesa risulta essere un’istituzione di centrale importanza, ma essa potrà tornare a svolgere un ruolo ancora più centrale nella vita di tutti noi solo nel momento in cui i suoi più alti “ministeri” capiranno che il mondo sta radicalmente cambiando.
Come spiegò molto bene nel Luglio del 2014 – durante un’intervista al quotidiano brasiliano “Zero Hora” – il Cardinale Clàudio Hummes, arcivescovo emerito di São Paulo e prefetto emerito della Congregazione per il Clero “Se vogliamo tornare a svolgere un ruolo cardine, la Chiesa Cattolica deve tornare ad ascoltare le persone, a rimettersi in gioco in un mondo che sta rapidamente cambiando”.
Nell’articolo John Waters spiega poi che ci troviamo “di fronte a una violazione innanzitutto delle idee liberali”. La prima domanda che dovremmo porci è a questo punto la seguente: John Waters è a conoscenza del pensiero classico liberale oppure è uno dei tanti “liberali” che cita – per il gusto di sembrare erudito – Milton Friedman, Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises e John Stuart Mill in modo tale da passare per l’anti-statalista del momento? Probabilmente la seconda risposta è quella più corretta, visto che, come è giusto sapere, molti tra i grandi pensatori “liberali classici” si definirono – direttamente o indirettamente – a favore dei matrimoni gay.
Risulta quindi davvero difficile capire le motivazioni “non religiose ma liberali” utilizzate da Waters per spiegare come il matrimonio tra omosessuali sia sbagliato.
Come la storica tradizione “Classica Liberale” vuole, gli individui interagiscono tra di loro all’interno di una sfera pubblica (in cui devono rispettare determinate leggi) ed una sfera privata (all’interno della quale essi sono liberi di scegliere ciò che vogliono). Come conseguenza di ciò, l’argomentazione più sensata, più liberale e più semplice in favore del matrimonio gay risulta essere quella che spiega di come il singolo individuo sia l’unico che debba scegliere il proprio percorso di vita. Come John Stuart Mill scrisse nel primo capitolo di “Sulla libertà”, pubblicato nel 1859, “L’individuo è sempre l’unico e solo sovrano della sua mente e del suo corpo”. Per poter scegliere il suo, proprio, percorso di vita, l’individuo deve essere libero e lo Stato, così come ogni altra istituzione “seconda al suo essere”, non ha alcun diritto di interferire nelle sue decisioni personali.
Quando la legge di Stato vieta alle persone dello stesso sesso di sposarsi, essa sta semplicemente riducendo la libertà di questi ultimi in quanto certifica che questi individui potranno essere liberi solo entro un certo limite, e cioè il limite di non sposarsi e di non seguire il percorso di vita scelto secondo propria coscienza.
Essere in favore dei matrimoni significa credere nel libero progresso della società. Questo concetto fu espresso molto bene da Friedrich von Hayek nella sua opera magna intitolata “Legge, Legislazione e Libertà”:
“I cambiamenti morali non sono dovuti al declino morale, anche se essi spesso sembrano offendere delle tradizioni culturali ereditate, ma sono sempre stati una condizione necessaria per lo sviluppo di una società aperta per uomini liberi. L’evoluzione delle tradizioni ha reso possibile lo sviluppo di una cività più libera”.
In particolare, Hayek mette in evidenza come questi cambiamenti sociali – che devono avvenire nel momento in cui all’interno della società si genera un conflitto tra una regola tradizionale prestabilita e le giuste convinzioni morali degli individui – spesso vengano osteggiati da quello che noi oggi chiamano “credo religioso”:
“I profeti religiosi e filosofi etici sono naturalmente sempre stati per lo più reazionari, difendendo così i vecchi principi e condannando i nuovi. Infatti, in molte parti del mondo lo sviluppo di un’economia di mercato aperta è stato a lungo osteggiato da quella stessa morale predicata dai profeti e dai filosofi, ancor prima che dall’intervento del governo. Dobbiamo quindi ammettere che la civiltà moderna è riuscita ad evolversi in gran parte grazie all’inosservanza delle ingiunzioni di quei moralisti indignati”.
(Le frasi tradotte si possono trovare tra pagina 165 e pagina 169 della versione inglese del libro sopra citato, ripubblicata nel 1979)
La vittoria del sì in Irlanda non deve quindi sorprendere coloro che si definiscono “liberali”, così come non dovrebbe assolutamente far gridare alla “morte della democrazia”. Troppo facile prendersela quando si perde ed invocare la giustizia democratica quando si vince.
Quale processo democratico migliore che quello di chiamare direttamente a raccolta i propri cittadini, lasciarli dibattere in modo libero circa le loro convinzioni, evitare che le autorità statali intervengano ed indire un voto popolare diretto?
Probabilmente nessun altro.
È quindi molto grave definire le decine di migliaia di giovani cittadini ignoranti. Questi stessi giovani cittadini hanno capito molto meglio di Sir. John Waters, il significato delle espressioni “libertà individuale” e “intrusione dello stato nella sfera privata dei cittadini”.
In Italia, invece, il dibattito sembra risultare ancora troppo scomodo, e lo Stato non vuole assolutamente allentare il proprio controllo sulle decisioni private dei propri cittadini. A questo punto, una seconda domanda sorge spontanea: dopo essere saliti tutti sul carro di David Cameron appena ricevuta la notizia della vittoria dei Conservatori alle elezioni generali del 7 maggio,in quanti, oggi, si chiedono quale sia la posizione del Primo Ministro “Conservatore” britannico (il quale – per diritto di cronaca – nel 2011 tenne un discorso presso il partito Conservatore molto forte in favore dei pari diritti e nel 2013 si spese in prima persona affinché il parlamento britannico approvasse una legge in favore dei matrimoni gay – poi approvata anche grazie all’aiuto dell’opposizione)?
Ebbene, questo è il messaggio rilasciato da David Cameron sui social media appena ricevuta la notizia dello storico risultato proveniente da Dublino:
“Congratulazioni ai cittadini Irlandesi che, dopo aver votato in favore dei matrimoni gay, hanno reso chiaro il fatto che siamo tutti uguali, sia gay che etero”.
Per concludere, credo sia giusto citare un passaggio dell’appassionatissimo intervento del Parlamentare libertario Australiano David Leyonhjelm, il quale, nel Novembre 2014, ha consegnato presso il parlamento di Canberra la sua proposta di legge (“Freedom to Marry Bill”) per permettere a due persone gay di sposarsi:
“Lo Stato è un servo meraviglioso, ma un terribile maestro. In un senso importante, lo Stato rappresenta tutti noi. Questa qualità di rappresentatanza significa che, quando esso si impegna a fornire un servizio, deve farlo in modo neutrale. Lo Stato non deve discriminare; se lo fa, significa che esso sta esercitando un abuso di potere nei confronti di alcuni cittadini”.