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La “Legge Stazzema”: imporre un divieto o proporre un confronto?

Negli ultimi tempi è divenuta giustamente popolare una proposta di legge di iniziativa popolare, per cui molti hanno recentemente iniziato a battersi. La proposta prevede, in sostanza, delle pene più severe di quelle già presenti per “Chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco” e prende il nome dal Comune di Sant’Anna di Stazzema, da cui è partita.

A un primo impatto, una legge di tal fatta non può che apparire, se non necessaria, date le esigue dimensioni dei movimenti di ispirazione fascista o nazista in Italia, comunque utile, nell’ottica di preservare le nostre libertà da una minaccia che, pur sopita, è sempre pronta a riprendersi la scena. Il problema, tuttavia, non è nel fine, che non può che dirsi apprezzabile, quanto nel metodo: sanzionare delle idee, per quanto deprecabili, non impedirà la loro diffusione ma, semmai, porterà alla creazione di eco chambers e ridurrà le possibilità di un dialogo costruttivo, sostituendolo con una forma di oppressione per i sostenitori di un determinato pensiero.

Non è mai successo nella storia che un’idea sia stata del tutto eradicata con un mero divieto, neppure quando accompagnato da pene a dir poco draconiane. Quel che succede, in genere, è la creazione di gruppi isolati che possono portare avanti le loro idee senza temere il confronto e, anzi, rifuggendolo. Impedire il dialogo con i portatori di idee diverse renderà loro impossibile, inoltre, smussare il loro pensiero. L’autore che in modo più chiaro si è espresso sul tema, J.S. Mill, nel suo “On Liberty“, fa l’esempio del Cristianesimo, che, nonostante le persecuzioni, è sopravvissuto in determinati gruppi finché non ha avuto la forza di imporsi[1].

Queste idee verranno davvero sconfitte non con un divieto e con la relativa sanzione, bensì perché, in seguito ad un confronto con idee diverse, esse verranno meno; diversamente, continueranno a sopravvivere e a circolare nell’ombra. Qualora queste idee, invece, vincessero, verrebbero meno nel lungo periodo per la ben poco piacevole esperienza pratica di esse.

Anche l’atteggiamento tenuto nei confronti dei portatori di talune opinioni dalle masse ha degli effetti, in qualche modo, positivi. Pur non contribuendo all’eliminazione di un’idea, la disistima e l’isolamento intellettuale che ne deriva contribuiscono a tenere lontani dalla possibilità di influenzare le nostre vite i soggetti che la subiscono; si tratta di una forma di violenza intellettuale che non nega la libertà di pensiero, né la possibilità di confronto, ma la limita fortemente. Come scrisse in proposito A. De Tocqueville ne “La Democrazia in America”: “i principi avevano materializzato la violenza, le repubbliche democratiche del nostro tempo l’hanno resa intellettuale […] Sotto il governo di uno solo, il dispotismo per arrivare all’anima, colpiva grossolanamente il corpo […], ma nelle repubbliche democratiche la tirannide non procede a questo modo: essa non si cura del corpo e va dritta all’anima. […] Il padrone non dice più: “voi penserete come noi o morrete”, ma dice: “voi siete liberi di non pensare come me; la vostra vita, i vostri beni, tutto vi resta; ma da questo momento, voi siete stranieri tra noi[2]. L’autore, in questo passaggio, intende criticare una tendenza dei sistemi democratici, che, se non tenuta debitamente a bada, potrebbe avere effetti nefasti, ma non pare difficile immaginarlo come un buon second best, rispetto al divieto di diffusione del proprio pensiero, dal momento che esso non nega il dialogo ma rimette la scelta su quali idee sanzionare a delle dinamiche sociali di origine spontanea.

I proponenti di tali idee, pur non rendendosene conto, intendono applicare la stessa violenza che è propria di coloro che vorrebbero far rinsavire. La legge non ha senso di esistere se non è accompagnata dalla forza coercitiva e i firmatari della proposta di legge altro non otterrebbero che l’uso della forza pubblica contro soggetto a loro invisi. Tali mezzi andrebbero usati contro gli atti violenti causanti dalle idee intolleranti, non contro le opinioni, in particolare quando queste ultime si fondano su convinzioni profondamente radicate anche in chi si oppone ad esse.

L’inquisizione non ha mai potuto impedire che […] circolassero libri contrari alla religione della maggioranza[3], per citare ancora una volta Tocqueville, e così sarà in questo caso; l’unica cosa che può davvero risolvere il problema, ammesso che esista un problema, non sarà l’utilizzo di metodi analoghi a quelli in uso nel sistema che si vuole delegittimare, ma saranno, bensì, il confronto e la dimostrazione della propria superiorità.


[1] cfr. J. S. Mill, “On Liberty and Utilitarianism”, Everyman’s Library, 1992, cap. II, p. 17 ss.
[2] A. De Tocqueville, “La Democrazia in America”, Bur Rizzoli, 2018, p. 261.
[3] Ibid., p. 262

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