
Il primo giugno 2018 prestava giuramento l’autonominatosi “Governo del Cambiamento”. Giurava nelle mani di un Presidente della Repubblica per il quale era stata invocata pochi giorni prima, davanti alle telecamere nazionali, la procedura di impeachment.
L’Esecutivo è giunto al primo anniversario, che potrebbe essere anche l’ultimo se l’alleanza di interessi non dovesse reggere alle contraddizioni politiche in essere.
Provando a tracciare una parvenza di bilancio dell’anno appena trascorso, non si può essere complessivamente soddisfatti.
La linea di politica economica del Governo ha risentito della natura bipede della maggioranza, con ciascuna delle forze politiche vogliosa di coltivare il suo orticello elettorale. Ne è fuoriuscito un mix convulso di misure spesso contraddittorie tra loro, anche a cavallo di pochi mesi di distanza.
Tra tutte, spiccano per notorietà e copertura mediatica il reddito di cittadinanza (RdC) e Quota 100, i cui fondi sono stati stanziati con la legge di bilancio 2019. Si tratta di due provvedimenti che incarnano la natura del Governo in carica, tesa a voler allargare le maglie del consenso attraverso la spesa pubblica.
Entrambe le misure, tra l’altro, condividono lo scopo (apparente) di favorire l’occupazione, pur essendo strutturalmente inadatte a sortire tale effetto.
L’RdC è stato fatto partire con la fretta del politico che guarda alla scadenza elettorale prossima (le elezioni europee appena avvenute), pur in assenza di tutti i provvedimenti che avrebbero dovuto essere propedeutici allo stesso. Si pensi alla riforma dei centri per l’impiego, alle dotazioni organiche e infrastrutturali, ai fantomatici navigator. Tutto rinviato sine die, perché l’unica cosa che contava era far accreditare gli importi prima del voto (la buona notizia è che ciò non pare aver pagato elettoralmente). Lo strumento resta ibrido, in un limbo che rischia di non attenuare la povertà né di favorire il reinserimento nel mercato del lavoro di disoccupati e inattivi.
Quota 100 è stata propagandata come misura in grado di favorire l’occupazione giovanile. I vertici del Governo sono giunti ad affermare che grazie alla misura sarebbero stati assunti due o tre lavoratori per ogni pensionato. Verrebbe da chiedersi in che mondo vivano e con quali aziende si confrontino, dato che semmai avviene l’esatto opposto. L’Italia è piena zeppa di imprese che non aspettano altro che poter ridurre le dotazioni organiche ed i prepensionamenti offrono un comodo strumento gratuito. E pazienza se ciò aggrava la sostenibilità del sistema previdenziale di venti miliardi di euro in tre anni.
Ma se è presto per giudicare con i dati l’efficacia di tali misure emblema, di certo i danni più visibili sono stati fatti in termini di credibilità.
Ne abbiamo visto sin da subito gli effetti sui mercati finanziari. Appare pleonastico ricordare che oramai la Grecia mostra maggiore affidabilità e che siamo lontani anni luce da Spagna e Portogallo. Ma nonostante ciò si continua imperterriti a giocare su Italexit e monete parallele. Si continua a sfidare l’iceberg, senza virare, confidando che sarà la montagna di ghiaccio a spostarsi. Non si riesce a capire dove finisca il bluff politico a scopo di consenso e dove inizino le intenzioni serie di provocare un default finanziario, economico e sociale.
Gli altri effetti si vedono e si vedranno sugli investimenti, soprattutto esteri. Una delle cause è la manifestata voglia del Governo di voler incidere pesantemente nella governance delle aziende private. Con il dichiarato proposito di determinarne le scelte strategiche, ben oltre il confine -già controverso- della difesa della sicurezza nazionale.
Elementi come la credibilità, l’affidabilità, la serietà agli occhi del mondo, sono durissimi da costruire, ma facilissimi da perdere irrimediabilmente per decenni.
Quando si spengono le candeline di una torta di compleanno, si esprime un desiderio. In questa ricorrenza il festeggiato dovrebbe chiedere per sé stesso (e per il nostro bene) un maggiore senso di responsabilità dei suoi membri.