Scansando gli strali dell’ intellighenzia di sinistra e l’incenso annacquato della stampa di destra, risulta quantomai difficile tracciare un ritratto plausibile di Licio Gelli, venerabile maestro della Loggia massonica P2, scomparso lo scorso 15 Dicembre, all’età di 96 anni.
Punto primo, perché di lui nulla si può dire con certezza, realtà e sospetto sono delimitati da una parete fragilissima.
Punto secondo, perché egli fu una figura manichea, in senso più ampio, un autentico artista del paradosso pragmatico: viscerale fascista e punto di riferimento per l’estabilishment dell’Asse, ma anche collaboratore della CIA e fedele americanista; fervente cattolico e massone di ferro.
Punto terzo, perchè Gelli sfugge ad ogni possibile categorizzazione, tipica delle scienze naturali e sociali, che consentirebbe di trattarne in modo neutro e distaccato, non abbiamo referenti empirici (o forse ogni italiano, in modo più volgare, può esserlo) che consentano di rinchiuderlo in un modello preciso.
Solo la letteratura picaresca ci ha fornito personaggi simili.
Si potrebbe accostare ad un Lazarillo de Tormes. Anche Gelli, infatti, svolse vari mestieri e rivestì ruoli differenti (fu soldato, impiegato, ufficiale, diplomatico, spia, imprenditore e massone).
In lui, convivevano istinto di sopravvivenza ed ambizione.
Ebbe il guizzo tipico dell’enfant prodige, a soli 18 anni partì come volontario in Spagna.
La sua fu una passionalità sempre moderata e centellinata, ogni sua singola emozione entrava in gioco come un pedone sulla scacchiera.
Amava l’Italia e lo dimostrò con l’astuzia e la scaltrezza di un Odisseo o di un Andreuccio da Perugia, piuttosto che con l’ardore di un giovane Werther.
Oltre che di astuzia Gelli era dotato di energia , sia nella burocrazia sia nell’azione.
Da semplice impiegato del GUF riuscì ad avere accesso agli archivi di stato, da semplice aderente alla RSI divenne ufficiale di coordinamento tra truppe italiane e tedesche, da portaborse del deputato democristiano Romolo Decidue divenne direttore dello stabilimento Permaflex di Pistoia.
Tutta la prima parte della sua vita fu una continua arrampicata sociale, un percorso tortuoso nel quale riuscì a raccogliere informazioni sulle personalità politiche più eminenti del suo tempo e a stringere relazioni con loro.
Tale ragnatela di rapporti e contatti (la classe politica, i vertici ecclesiastici, la massoneria, l’intelligence statunitense, i servizi segreti italiani, gli ambienti neofascisti ecc…) fanno sì che durante gli anni di piombo, il suo, diventi uno dei volti del Grande Vecchio l’ eminenza grigia che dall’estero avrebbe ideato e diretto le varie stragi e colpi di stato.
Aldilà delle infamie e delle lodi, Licio Gelli fu un faccendiere ed un factotum, né più né meno di ciò che è ogni italiano, solo che Gelli lo fu con scaltrezza, inventiva, furberia ed un pizzico di sfacciataggine.