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Ma è vero che gli insegnanti guadagnano poco?

insegnante

È da qualche anno che faccio parte del mondo degli insegnanti delle scuole superiori e che alla fine di ogni mese, sul sito del mio conto in banca, vedo materializzarsi sempre la stessa cifra: 1.493€.

Tanti? Pochi?

La risposta è “dipende”, in quanto, per come funziona il mio mestiere in Italia, posso scegliere liberamente ogni giorno che cosa fare in cambio di quei soldi.

Se compio certe scelte, quella cifra risulta misera. Se ne compio altre, risulta generosissima, quasi scandalosa.
E la scelta, lo ripeto, è del tutto volontaria. Dipende dal mio umore del momento e – più raramente – dai miei valori morali.

Per capire meglio che cosa intendo occorre farsi un’idea di quel che avviene nella giornata-tipo degli insegnanti.
Porto solo un paio di esempi.

Supponiamo che io sappia di dover tenere domattina una lezione sulla Rivoluzione francese. Ho diverse scelte davanti a me.

Posso scegliere di presentarmi in aula, aprire il manuale e mettermi a leggerlo. Lo sforzo mentale richiesto è piuttosto leggero, quasi nullo. Al mio pomeriggio lavorativo la preparazione di questa lezione non aggiunge che pochi minuti.

Posso anche scegliere di prepararmi bene per tenere una spiegazione frontale con parole mie, calibrate su misura per i ragazzi che avrò di fronte, consultando tutt’al più un canovaccio di appunti, nel tentativo di risultare più coinvolgente e di imprimere meglio nell’uditorio alcune nozioni sulla Révolution. Fare questa scelta allunga il mio pomeriggio lavorativo di circa un’ora.

Se poi volessi proprio offrire agli alunni un servizio di lusso, potrei scegliere di fare lezione con le slide, proiettando non solo immagini d’epoca e documenti da commentare, ma anche grafici, cartine, i ritagli dell’Ami du Peuple, i quadri di David e ogni altro supporto utile. Questa scelta allunga il mio pomeriggio lavorativo di tre o quattro ore.

Lo stesso accadrebbe se scegliessi, avendo molte ore d’aula a disposizione, di mettere su un bel lavoro in gruppi sulle fonti o qualche altra trovata da pedagogia scandinava.

Come vedete, un’ora di attività sulla Rivoluzione francese può significare quattro cose assai diverse.
E può significarne anche una quinta: che invece di insegnare storia io scelga di fare un bel comizio agli studenti sostenendo che Macron sia il nuovo Luigi XVI, che i gilet gialli siano i nuovi sanculotti e che Zémmour e la Le Pen siano i nuovi Vandeani.
Casi del genere si verificano ogni giorno nelle nostre scuole.

Ma qualunque delle opzioni io scelga, dal comizio alla pedagogia scandinava, la cifra che si materializzerà sul sito alla fine del mese resterà sempre la stessa: 1.493 euro.

Arriva poi il momento della verifica, e anche qui come docente ho più opzioni da percorrere.

Posso fare un’interrogazione orale a tutti, per esempio. In quel caso, per le successive cinque o sei ore in cui vedrò quella classe, potrò sedermi tranquillo e godermi due dozzine di piacevoli chiacchierate su Danton e Robespierre. I miei pomeriggi lavorativi si accorceranno drasticamente.

Minore sarà il risparmio se sceglierò di interrogare un allievo all’inizio di ciascuna lezione: se non altro continuerò a dover arrivare ogni volta in aula preparato sull’argomento del giorno.

In alternativa posso (a volte devo) preparare una verifica scritta. Ma di che tipo?
Per mettere a punto domande secche e generiche come “Parlami dei Giacobini” o “In quale giorno è stata presa la Bastiglia” ci vuole al massimo una mezzoretta. Sempre se tutti gli studenti hanno le stesse domande, giacché, se invece preferissi differenziare le domande tra due blocchi (o tre, o quattro, o dieci) per evitare soccorsi e copiature tra i ragazzi, sarebbe tutt’altro che una passeggiata ideare un numero così alto di domande che risultino tutte della stessa difficoltà.

E se invece, trattandosi di un corso di storia, volessi dare come compito l’analisi e il commento di alcune fonti? La ricerca di quelle più adatte talvolta prolunga un pomeriggio lavorativo fino alla sera e alla tarda notte.

Svolta la verifica, bisogna correggerla.
Se ho scelto di fare soltanto prove orali, i miei pomeriggi sono salvi. Ma se ho di fronte la pila dei compiti scritti? Anche lì c’è un’infinita gradazione di correzioni possibili: ad esempio c’è chi non corregge gli errori di italiano “perché mica sono il professore di italiano”, chi si limita a sottolineare in rosso senza spiegare quale sia l’errore, chi al contrario è tanto zelante da riscrivere la frase corretta accanto a quella sbagliata del ragazzo, e via dicendo.

E i voti?
Anche quelli sono ore di lavoro. Le insufficienze significano recuperi, colloqui estenuanti con le famiglie, esami di riparazione, e in caso di bocciatura noiosi ricorsi che costringono a ricontrollare qualsiasi virgola burocratica scritta durante l’anno. Ne vale la pena? In tanti rispondono di no, e coi brutti voti non calcano la mano.

Le giornate degli insegnanti, così, si possono configurare in mille modi diversi: l’unica costante fissa restano i 1.493 euro. Il nostro è un vero e proprio lavoro “graduabile”: a quella retribuzione fissa possiamo scegliere di giorno in giorno se far corrispondere dieci ore di fatiche di Ercole o tre-quattro comode ore mattutine di lettura del manuale e interrogazioni orali.
Quando abbiamo bisogno di liberare tempo, per problemi familiari ma anche per puro svago o per dare più ripetizioni private, possiamo alleggerire il carico. E con la stessa facilità possiamo appesantirlo. Ma dipende solo dal nostro umore. Gli euro restano sempre 1.493.

Anzi, se proprio devono aumentare, aumentano per anzianità. Ovvero quando è più probabile che figli adolescenti, genitori malconci e altre incombenze ci spingano a scegliere il lavoro light.

Certo, le nostre libere scelte su cosa fare in cambio di quei 1.493 euro hanno un impatto sull’apprendimento degli allievi. Ad esempio, se sceglierò di fare tante prove scritte è probabile che alle Invalsi di italiano i miei allievi se la caveranno meglio.

A quel punto il Ministero, in teoria, potrebbe dirmi: “Hey, sai una cosa? Dai dati Invalsi ci risulta che nei tre anni passati con te questi ragazzi sono migliorati in italiano. E pensa che caso: ci risulta anche che gli hai fatto fare tante prove scritte. Che ne pensi di un aumento di stipendio?”

Potrebbe, ma non lo fa. Non esiste alcun controllo su quanto noi insegnanti effettivamente lavoriamo e su quali risultati otteniamo.
Il patto non scritto che il Ministero ci propone è: “Accontentati di 1.493 euro e in cambio non mi faccio più gli affari tuoi”.

Un patto perverso, tutto a danno degli alunni, che per avere un docente dedito al lavoro sono costretti a sperare nella sua benevolenza. O nel suo senso del dovere. Comunque in una scelta etica, senza alcun tornaconto economico.

Ma se il sistema è congegnato per permettere ad alcuni di guadagnare molto più di quanto meriterebbero, costringendo gli altri a guadagnare molto di meno di quanto meriterebbero, l’etica fa presto a vacillare e il “Chi me lo fa fare?” è dietro l’angolo.

Continuando a dare 1.493€ a tutti gli insegnanti, temo che i docenti per i quali 1.493€ sono tanti diventeranno presto molti più di quelli per i quali 1.493€ sono pochi.

Ammesso che non sia già accaduto.

6 comments

quitur 06/11/2021 at 12:31

Sono imbarazzato per l’autore. Difficile davvero mettere insieme una tale serie di non sequitur in un articolo. C’è da augurarsi che a lezione si limiti a leggere i libri di testo in classe.

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Iron Rinn 09/11/2021 at 22:30

È molto più probabile sia tu a limitarti a leggere il manuale in classe, dall’alto della cattedra magari.

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Rosolino 07/11/2021 at 23:06

svelata la grande ingiustizia del sistema scolastico italiano.
Né lo Stato né le OO.SS. vogliono dare seguito all’art. 36 della scuola! Gli sta bene a tutti lasciarci chiusi nelle gabbie stipendiali a guardare ogni 23 del mese due cose nel cedolino: l’importo e il “fine pena” (quando finisce la permanenza in una gabbia per passare alla successiva).
E se poi decidi di impegnarti in attività aggiuntive per il funzionamento didattico e organizzativo ti arriva la grande soddisfazione: circa 10.00 Euro ad ora per una manciata di ore riconosciute in sede di contrattazione di istituto (e se ti lamenti pure ti rispondono “lo hai voluto tu” come fosse una penitenza e non una scelta nella quale mettersi in gioco e provare ad accrescere competenze parallele a quelle didattiche).
E se poi lavori in una scuola che opera in un’area territoriale socialmente e economicamente sofferente ai nostri sindacati che importa? già a loro non importa nulla…siamo tutti uguali!

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Andrea Cecco 08/11/2021 at 15:14

Articolo veritiero e interessante. Però i dati Invalsi non sono attendibili per misurare le capacità e gli aumenti di stipendio di un docente. O perlomeno non dovrebbero essere gli unici. Abbiamo dati ben più reali: numero di alunni, di diversamente abili, di bes, di stranieri di prima alfabetizzazione… ecc. Iniziamo a dare di più a chi lavora in classi con più alte percentuali di difficoltà. Per non parlare del ruolo di coordinatore che alla primaria e all’infanzia non viene neppure incentivato come, con pochi soldi, alle medie e superiori. Cambiamo il contratto introducendo la formazione. Se la fai vieni pagato in più altrimenti nisba. Diamo soldi per le ore passate a fare riunioni con gli specialisti per gli alunni bes. Facciamo fare un esame quinquennale sulle proprie discipline e sulle strategie pedagogiche e didattiche a tutti i docenti. Così possiamo discutere. M francamente aumentare lo stipendio a tutti a prescindere tenendo conto che molti fanno poco per mancanza di voglia o semplice ignoranza, direi proprio di no.

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Giuseppe 09/11/2021 at 23:05

Buonasera, forse bisogna anche parlare con i colleghi. Magari anche uscire dalle proprie stanze, così libere, così free. Ho quasi 64 anni, lavoro da tantissimo nella scuola, sono afflitto da entusiasmi e depressioni dovute al trattamento. Soprattutto al trattamento umano incivile ed indecente, riservato ai docenti che ci credono. Il trattamento economico sappiamo qual è e sicuramente so che diverte qualcuno. Sentito con le mie orecchie, “ tanto quello fa tutto e ti organizza tutto per nulla”.Togliendo soldi alla famiglia faccio formazione all’estero, se interessa al CERN. Notoriamente una cosa da nulla. Non riconosciuta dal ministero. Ho fatto veramente tante cose per la scuola, sono stato ricompensato con lo sberleffo se non con i richiami formali. Ho ancora un richiamo scritto in cui mi si dice che parlo a voce bassa, ed un’altro in cui mi si dice che parlo a voce alta. Ho portato convegni internazionali in Italia e nella mia scuola, ho vinto premi internazionali, ho vinto premi italiani, ho organizzato gare di matematica nella mia regione e nella mia scuola per anni. Mai nessuno nella mia regione l’aveva fatto. E tuttora nessuno lo sta facendo. Ho lavorato per anni spendendo di mio per i ragazzi, per gli uffici locali, per l’Ufficio Scolastico Regionale. Sempre con orario di cattedra pieno, solo un breve periodo di due anni con nove ore di lezione. Una pacchia. Alla fine arrivato ad oggi mi pento dello spirito di servizio e di dedizione che ho avuto nei confronti della scuola, delle istituzioni. Mi pento veramente. I colleghi stanno scappando, i nuovi supplenti ridono quando sentono le offerte di stipendio ed hanno ragione. Una cosa mi resta, la curiosità nello studio, la voglia di insegnare a chi ha voglia di ascoltare e discutere. La bellezza dell’intelligenza dei ragazzi e delle ragazze, vedere che gli dai vita come l’acqua per un fiore. Di tutto il resto, ministri compresi, non parlatemi più. Basta.

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Sandro 24/05/2022 at 13:22

Si potrebbe fare lo stesso discorso per Ufficiali e Sottufficiali nelle Forze Armate e nelle Forze dell’Ordine

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