“Fight for freedom. Stand with Hong Kong.” È bastato questo tweet, riferito alla protesta di ormai quattro mesi dei cittadini Xiangangren, di Daryl Morey, general manager degli Houston Rockets, squadra di punta della NBA, per scatenare un vero e proprio caso diplomatico con la Repubblica Popolare Cinese.
La condanna proveniente dal mondo cinese è stata, ovviamente, unanime e immediata. Il consolato generale di Pechino a Houston ha rilasciato una nota in cui si dichiarava “profondamente scioccato” e ha espresso “forte insoddisfazione”.
Posizione ripresa fedelmente dal quotidiano di partito (l’unico ammesso per legge tra l’altro), il People’s Daily, fino all’azienda di calzature Li Ning e alla Shanghai Pudong Development Bank.
Tencent, il broadcaster cinese che versa nelle casse della NBA circa 1.5 miliardi di dollari, ha subito comunicato che sospenderà la trasmissione degli incontri delle partite della squadra di Morey.
La Federazione Cestistica Cinese (CBA), il cui responsabile è il celebre Yao Ming, ironicamente uno dei più grandi giocatori della storia dei Rockets stessi, ha sospeso qualsiasi tipo di rapporto con la franchigia di Houston.
Clamorosamente, le prime reazioni interne alla galassia NBA non sono state di solidarietà con il dirigente della squadra texana.
Nonostante il post sia stato quasi subito cancellato, la lega ne ha inizialmente preso le distanze.
Con un comunicato è stato specificato che “il suo [di Morey, ndr] tweet non rappresenta gli Houston Rockets né la NBA, i valori che questa lega incarna supportano la volontà dei singoli individui di istruirsi e poi condividere eventuali opinioni per loro importanti. Abbiamo grande rispetto per la storia e la cultura della Cina”.
È arrivata anche l’immediata e stizzita reazione del proprietario dei Rockets, Tilman Fertitta, e quelle delle star della squadra, James Harden e Russel Westbrook.
Il povero Morey ha dovuto anche chiedere scusa per il suo tweet, si è dovuto dichiarare colpevole di sostenere l’autodeterminazione di un popolo vessato da uno Stato non democratico.
Il cortocircuito per cui un cittadino degli Stati Uniti con una certa visibilità può criticare ferocemente il presidente Trump, ma non chi spara ai giovani nelle piazze, è come minimo allarmante.
Di fronte a una situazione sempre più tesa, è intervenuto Adam Silver, il commissioner della lega, con un comunicato ufficiale.
Silver ha ribadito che non chiederà “mai scusa per il fatto che Daryl abbia esercitato la sua libertà di espressione perché questo è un diritto di cui gode”, ma di essere anche “assolutamente consapevole delle conseguenze legate alla libertà di parola e di espressione”, concludendo che “come lega, siamo chiamati a gestire tali conseguenze”.
Il dato politico della questione, al di là dei dettagli particolari, è che la Cina abbia apertamente e platealmente sfruttato il suo peso economico per condizionare il comportamento di un’organizzazione americana di respiro mondiale, sfruttando proprio il fatto che la NBA sia un brand almeno quanto è una lega sportiva.
Nelle ore in cui si svolgeva regolarmente il match di preseason tra Los Angeles Lakers e Brooklyn Nets a Shangai, c’è stata una manifestazione a Milano, organizzata da Istituto Liberale, per esprimere solidarietà con i cittadini di Hong Kong.
Hanno partecipato più di trecento persone, tra cui giovani liberali, radicali, democratici e addirittura dei rappresentanti della comunità tibetana.
Tutti in piazza per ribadire quanto siano irrinunciabili le nostre radici culturali e i nostri valori fondanti.
L’incursione, apparentemente improvvida, di Morey e la manifestazione di Istituto Liberale sono fondamentali per evitare il sonno della ragione. Entrambi servono a non alimentare l’indifferenza, che genera mostri.