Si fa presto a dire Turchia fuori dalla NATO, a minacciare sanzioni contro Ankara, a chiedere agli Usa una nofly zone sulla Siria settentrionale come hanno fatto i curdi dopo l’invasione.
A Bruxelles però la bandiera turca continua a sventolare accanto a quelle degli altri Paesi membri nel quartier generale della Alleanza Atlantica.
Il segretario generale Stoltenberg due giorni fa su Twitter ha dato un colpo al cerchio (“Turkey has legitimate security concerns”) e uno alla botte (“I expect Turkey to act with restraint”), chiedendo che la guerra condotta fino ad ora contro lo Stato islamico (“Da’esh”) non si disperda.
Così mentre la Ue valuta come al solito il da farsi, mentre Francia e Germania annunciano lo stop alla vendita di armi alla Turchia, mentre il Consiglio di sicurezza dell’ONU si divide e non passa la linea americana (sarebbe meglio chiarire quale), la NATO resta a guardare.
La distanza fra Ankara e gli Alleati si è allargata dopo il fallito golpe del 2016 in Turchia, con gli arresti di massa ordinati dal Sultano anche nelle file dell’esercito e delle strutture della forza.
Lo strappo di questi giorni complica ulteriormente le cose. Ma il Trattato del Nord Atlantico non prevede che si possa estromettere o punire un Paese che ha aderito al Patto.
La Turchia è nella NATO dagli inizi degli anni Cinquanta. La Alleanza era nata poco prima e Ankara ci entrò insieme alla rivale Atene. Da allora la Turchia riveste un ruolo geopolitico strategico e non secondario nella Alleanza.
Ankara controlla il Bosforo, lo stretto che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e che insieme allo stretto dei Dardanelli segna la frontiera meridionale tra Europa e Asia.
La Turchia può contenere le aspirazioni di Mosca ad avere uno sbocco nel Mediterraneo ed è la porta alle risorse del Medio Oriente, iniziando dal gas. La Via della Seta cinese punta alla Turchia.
Ankara ha il secondo esercito più numeroso dopo gli Stati Uniti tra i Paesi della NATO. È stata per due volte alla guida delle missioni in Afghanistan. Ha impegnato le sue truppe nei Balcani, in Libia e in Siria.
Il porto di Izmir sull’Egeo ospita LANDCOM, il comando di terra Alleato. Ci sono almeno un’altra ventina di centri NATO nel Paese.
Nella base aerea di Incirlik nella città di Adana c’è stoccata una parte dell’arsenale nucleare tattico americano e relativi sistemi di controllo della difesa missilistica.
Può far indignare che Recep Tayyip Erdogan parli di Guerra al terrorismo mentre bombarda i curdi, visto che il presidente della Turchia viene accusato di proteggere lui stesso gli islamisti.
Ma Ankara in questi anni ha pagato il suo prezzo di sangue subendo attacchi terroristici e la Coalizione guidata dagli Stati Uniti ha usato la base di Incirlik per colpire i jihadisti in Siria e in Iraq.
Ankara, come ha scritto la Deutsche Welle, può usare la base di Incirlik come una delle leve per fare pressione sugli Alleati.
Un’altra leva è l’articolo V della NATO che garantisce la sicurezza europea anche rispetto alla minaccia del terrorismo e ai rischi che rappresentano in questo senso i flussi migratori illegali che la UE non riesce a gestire.
Dopo aver ricevuto milioni per contenere i profughi, nei giorni scorsi sia il presidente turco che il suo ministro degli esteri hanno minacciato di aprire le porte ai migranti inondando la Ue.
Che farà Erdogan una volta preso il controllo delle galere dove curdi e americani avevano rinchiuso i foreign fighters che hanno combattuto sotto la bandiera nera del Califfato?
Quando il Sultano dice che si prenderà i combattenti di Isis prigionieri nei campi curdi mostra – secondo il Gatestone Insistute – tutta la sua ipocrisia, perché per gli islamisti sarà una specie di ritorno a casa.
L’alternativa sono i jihadisti che scappano, si riuniscono, ricreano la infrastruttura terroristica. Come sta avvenendo, secondo le intelligence, in Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen. Pronti a nuovi attacchi contro obiettivi occidentali?
Si fa presto a dire Turchia fuori dalla NATO. Erdogan, prima o poi, uscirà di scena. La Turchia sopravviverà a chi la ha governata per anni islamizzandola.
Forse è per questo è auspicabile pensare che le bandiere della Alleanza Atlantica continuino a sventolare tutte insieme a Bruxelles.
Così vanno le guerre, se vi pare: abbiamo sfruttato i Curdi finché sono serviti a combattere lo Stato Islamico. Ora li abbandoniamo a se stessi.
Possiamo fare pressione su Erdogan per evitare un bagno di sangue tra i civili curdi (ieri uno dei capi politici è stato ammazzato da non meglio specificate truppe sostenute dall’esercito turco) ma le proteste sotto le ambasciate non fermeranno la Turchia.
Del resto l’Europa che si indigna per i destini dei Curdi ha inserito il PKK e altri gruppi nella blacklist del terrorismo. Incoerenza totale.
La “Great and Unmatched Wisdom” del presidente Trump traballa come un po’ tutta la politica estera americana degli ultimi 10 anni. Ma “The Donald” sa che i jihadisti più pericolosi per gli Usa sono già stati esfiltrati. E così la Turchia va avanti.
Non si capisce invece cosa otterrebbe l’Europa con una Turchia fuori dalla NATO. Se non il rischio di ritrovarci a casa gente che vuole distruggere la nostra casa.
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